Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Genere: 
Etichetta: 
Columbia/Sony
Anno: 
2016
Line-Up: 

David Bowie – voce, chitarra acustica, chitarra elettrica
Tony Visconti – archi
James Murphy – percussioni
Ben Monder – chitarra elettrica
Jason Lindner – pianoforte, organo, tastiera
Tim Lefebvre – basso
Mark Guiliana – batteria, percussioni
Donny McCaslin – sassofono, flauto

Tracklist: 

-Blackstar

-Tis A Pity She Was A Whore

-Lazarus -Sue (or In A Season Of Crime)

-Girl Loves Me

-Dollar Days

-I Can’t Give Everything Away

David Bowie

Blackstar

Recensire Blackstar consapevoli che Bowie non è più in transito terreno lascia troppo spazio a una fastidiosa sensazione di 'retorico' che comunque ci accolleremo non per atto dovuto ma semplicemente perché Blackstar sarebbe stato il nostro disco del mese a prescindere dagli eventi.

Lasceremo agli esegeti analisi dei testi e congetture da un lato fin troppo facili visto che si parla dell'ultima opera di un artista probabilmente consapevole che questo album sarebbe stato il suo ultimo, dall'altro inutili, poiché cimentarsi nell'interpretazione delle liriche del visionario definitivo della musica moderna è sì operazione intellettuale stimolante ma quantomeno pretenziosa.

Blackstar, dall'inizio ieratico, dalla voce che ricorda una litania alla Scott Walker, con il sax di Donny Mc Caslin che vaga nel buio e un testo che i Mars Volta adoreranno è una marcia funebre cosmica, è una processione notturna, è una coperta dai colori oscuri analoghi a quelli del jazz più spirituale dei sixties.
Il brano dall'enorme portato esoterico vede Bowie dover sostenere il doppio peso dell'attore protagonista e dell'officiante di questo rito il cui livello di sacralità sarà ulteriormente innalzato da Lazarus, altro perno del disco, forse ancor più esplicito nel suo messaggio di liberazione e che sta alla già citata Blackstar come una veglia sta al requiem (una veglia che le radio mainstream nonostante la sua natura ferale e solenne si sentono costrette a passare, diremmo con ghigno provocatorio, quasi fosse un ulteriore regalo di Bowie).

Ci sono poi due episodi non del tutto nuovi, il singolo del 2014 Sue (or In A Season Of Crime), nevrotico cold funk che concludeva anche la compilation (sempre del 2014) Nothing Has Changed e la sua b-side Tis a Pity She Was A Whore, canterburyana entropia di fiati su ritmiche motorik.

Gli altri tre brani restanti sono Girl Loves Me, Dollar Days e I Can't Give Everything Away: andamento enigmatico, quasi marziale e sempre sul punto di implodere il primo, struggente, triste, toccante come solo una ballad bowiana di questo ultimo Bowie può esserlo la seconda e romanticamente, disperatamente luminosa l'ultima.

Ora che Bowie se ne è andato, come tutti i 'differenti' e a differenza dei 'diversi', più che lasciarci qualche cosa è come se ci avesse restituito qualcosa. Ce lo ha riportato indietro da chissà quale abisso, ecco perché era sempre così avanti, molto più avanti del nostro stesso futuro.

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