Voto: 
6.4 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Peaceville Records
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Fenriz (Gylve Nagell) – Batteria
- Nocturno Culto (Ted Skjellum) – Basso, Voce, Chitarra



Guest:

- Grutle Kjellson [Enslaved] - Voce in “High on Cold War”



Tracklist: 

1. Too Old, Too Cold

2. High On Cold War

3. Love In A Void (Siouxsie and the Banshees cover)

4. Graveyard Slut (Alternate Version)

Durata: 14 minuti ca.


Darkthrone

Too Old Too Cold

Confermando la loro solita media, dopo due anni dall’ultimo buonissimo Sardonic Wrath, tornano sulle scene i maestri del black metal, i Dark Throne. Se esiste un gruppo, tra i famosissimi prime-movers d’inizio anni ’90, che ha continuato a sfornare la propria musica incurante di trends o sperimentazioni, quello è il duo di Fenriz e Nocturno Culto, negli anni confermatisi come una solida realtà del panorama Black e non come dei “nobili decaduti”.
Too Old, Too Cold è il primo singolo in assoluto pubblicato dai Darkthrone in oltre 15 anni di onorata carriera: si può discutere sulla bontà e la sincerità dell’operazione in questione (così come del ritorno alla Peaceville o dell’apertura del website), ma discorsi del genere li lascio volentieri a chi preferisce il fumo all’arrosto: e l’arrosto di cui vado ad occuparmi è fatto di 4 canzoni, di cui due andranno a comparire sul full lenght di prossima pubblicazione (The Cult is Alive).
Badiamo quindi al sodo e andiamo a vedere (anzi, sentire) che cosa buttano dentro questo minestrone Ted e Gylve.

Una delle influenze più marcate per la ricetta è quella dei seminali Motorhead, evidente nei brani d’apertura e di chiusura: lasciate cuocere questo ingrediente a mid-tempo su riff d’annata, versate un po’ di cari vecchi Darkthrone, un pizzico di primissimi Celtic Frost e un’attitudine da consumati rockers, mescolate con la solita produzione approssimativa e uno scream gracchiante: avrete Too Old Too Cold.

La prima novità, evidentissima, è dunque uno spirito Rock’n’Roll coraggioso e sprezzante, che si lega con l’abituale sound grezzo e marcissimo tipico dei due norvegesi.
I Darkthrone, con una simile storia alle spalle, si permettono quindi anche di fare spallucce quando si parla di catalogare la loro musica : “depends on who’s listening” scrivono sul loro sito. Come a dire: noi suoniamo, tutte le chiacchiere di contorno le lasciamo a voi.

Partiamo dalla titletrack, brano che comparirà anche sul prossimo cd; l’opener fa da portabandiera per tutte le caratteristiche elencate prima: pezzo che soddisfa, divertente da ascoltare e dotato di un buon “refrain” (se così lo si può definire).
La ventata di caos e ritmi sostenuti portata da High on Cold War spezza l’atmosfera: nel pezzo sono presenti anche alcune guest vocals nientemeno che del signor Grutle Kjellson, vale a dire la fantastica voce screaming dei seminali Enslaved, incentivo in più per ascoltare questo brano. Che è peraltro di medio/discreto livello, con reminiscenze Carpathian Forest (He’s Turning Blue docet) che fanno capolino da tutte le parti dietro ai riffoni e alle chitarre soliste impazzite.

L’opera continua con una cover punk (e chi ha avuto da dire sugli Scum di Samoth e Faust vediamo cosa azzarderà ora) di Siouxsie and the Banshees. Ribassata e reinterpretata, la versione black di Love in a Void è alquanto divertente, con una voce “quasi-pulita” a volte forzata e maligna, oppure potente e caricaturale, vagamente rassomigliante a quella usata da Fenriz negli Isengard in pezzi come “Our Lord Will Come”.

Graveyard Slut (qui presente in una versione alternativa cantata da Nocturno Culto, mentre sul full dietro al microfono comparirà Fenriz) chiude: i Darkthrone si lanciano ancora all’arrembaggio, con Fenriz che prosegue imperterrito il suo tu-pa-tu-pa dietro le pelli e Culto che vomita marcio e grezzume in un microfono registrato con precisione grossolana; il tutto sopra ad un riff di quelli che profumano di cantina lontano un miglio.
Un breve assolo (che su un disco dei nostri è quasi un evento) a metà canzone ci porta verso il finale, in cui ci si lascia definitivamente trasportare dalla carica dei due norvegesi, rimpiangendo la breve durata del singolo.

I Darkthrone si riconfermano trascinanti quanto marci: non fanno altro, ma lo fanno bene, e questo può bastare.

Posso quindi consigliarvi di prenderlo, SE lo trovate in giro a poco prezzo e apprezzate questa vena Rock mischiata al Black – in questo caso alzate il voto di qualche punticino. Too Old Too Cold è garanzia di un buon black’n’roll, ma (per la durata esigua e la comunque non strepitosa qualità) non sazierà completamente gli appetiti degli amanti del grezzo: aspettiamo, ingolositi, The Cult is Alive...

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