Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Victory Records
Anno: 
2009
Line-Up: 

:
- John Henry – vocals
- Mike Carrigan – guitar
- Mike Schleibaum – guitar
- Paul Burnette – bass
- Ryan Parrish – drums

Tracklist: 

:
01. "Devolution of the Flesh" – 2:46
02. "Death Worship" – 3:10
03. "The Tides" – 4:19
04. "No God" – 4:47
05. "Bitter" – 1:19
06. "Blessed Infection" – 3:25
07. "Transcendence" – 4:20
08. "A Distorted Utopia" – 2:57
09. "Black Sun" – 3:16
10. "Into the Grey" – 4:34

Darkest Hour

The Eternal Return

Sarebbe il caso di mettersi d’accordo, una volte per tutte, sul significato del termine metalcore, perché se è vero che band quali Bring Me The Horizon, Zao, Architects appartengono a questo neonato genere, allora con quest’ultimo nulla hanno a che fare i Darkest Hour. Per chi non li conoscesse, si tratta di una delle formazioni più apprezzate ed ammirate della musica estrema made in U.S.A., attivi dal 1996 e da ben 8 anni saldamente appartenenti alla scuderia della Victory Records. Proprio il rapporto con quest’ultima, logorato negli anni, ha sancito il mancato rinnovo del loro contratto e la pubblicazione di The Eternal Return, nei negozi dal 23 Giugno, rappresenta il loro ultimo capitolo discografico, in ossequio al loro precedente accordo, sotto le insegne della label di Chicago. Il cambio di etichetta ha dato una buona occasione alla formazione di Washington per celebrare la loro decennale carriera e salutare l’avvento di una nuova stagione artistica, facendo di The Eternal Return la summa più concentrata di quello che è stato il loro inconfondibile stile nel corso degli anni passati. Le premesse certamente non sono state dalle migliori: nel settembre dell’anno scorso, infatti, la band ha dovuto sopportare a malincuore l’abbandono del talentuoso chitarrista Kris Norris, artefice di tutti gli album firmati Darkest Hour sin da So Sedated So Secure del lontano 2001, prima alle prese con un suo progetto solista poi passato alle fila dei God Forbid in sostituzione del fondatore Dallas Coyle. Tuttavia, una dipartita così pesante non ha compromesso né la genesi del progetto né la qualità del risultato, in quanto il contributo del sostituto, l’ex At All Cost Mike Carrigan, già ampiamente rodato in occasione del Thrash And Burn Tour, si è rivelato assolutamente determinante e siamo certi che anche in futuro non farà rimpiangere il suo predecessore. Registrato a Baltimora e prodotto da Brian MacTernan, con il quale i Darkest Hour avevano già lavorato all’epoca del loro debut album The Mark Of The Judas, The Eternal Return si presenta sin dal titolo come il frutto di una precisa concezione artistica: in un’interessante intervista rilasciata ad Hardcore Sounds, la stessa formazione americana ha espresso questo concetto come morte e rinascita della loro stessa creatura musicale, che si proietta nel futuro recuperando le vie più aggressive del passato; un proposito suggerito anche dal cambiamento di line-up e dalla fine del contratto con la Victory Records, eventi che comportano in maniera ben più concreta un punto di svolta nella carriera discografica dei 5 musicisti della East Coast.

Venendo finalmente all’album, tutto si può dire tranne che questo lavoro non rispecchi appieno le qualità già evidenziate dalla band negli episodi precedenti: i Darkest Hour, in piena coerenza con gli intenti manifestati, hanno dato alle stampe un disco compatto, a tratti massacrante, in grado di prendere quota nel giro di un secondo. Le caratteristiche della formazione statunitense, anche per chi ne fosse perfetto neofita, sono evidenti sin dal primo ascolto: a sostegno di vocalità hardcore sempre tirate e martorianti si staglia con rabbiosa prepotenza un drumming martellante, capace di volgere dal blastbeat più oscuro al controtempo più assatanato con estrema disinvoltura e buona precisione, mentre nel sottosuolo più infido serpeggiano riff cupi e insidiosi. E’ in simili circostanze che la definizione di metalcore vacilla, perché in molti frangenti i Darkest Hour sembrano ispirarsi in modo più palese al melodic death metal di stampo nordico o all'indefinibile New Way Of American Heavy Metal come i loro conterranei God Forbid e, forse anche per questa ragione, non presentano né eccessivi breakdown né, a differenza dei precedenti, affabili chorus in clean. La dolcezza e la sinuosità delle partiture sono affidate totalmente a voluttuosi assoli di chitarra (The Tides), che esaltano e catturano come meglio non potrebbero anche l’ascoltatore più distratto (Transcendence): le 6 corde della ditta Mike&Mike (Carrigan e Schleibaum), infatti, si alternano e si intrecciano con semplicità magistrale (Blessed Infection), talvolta esaltandosi vicendevolmente (A Distorted Utopia e Black Sun), talvolta caricando sulle spalle dei loro arpeggi cristallini la disperazione dei chorus (No God, il primo singolo estratto), talvolta insinuandosi con nitidezza eppure pudore fra i colpi di una batteria quanto mai energica e pesante (Death Worship, Into The Grey).

L’unico difetto imputabile ai Darkest Hour è quello di aver proposto un album relativamente esiguo, perché, considerando che Bitter è una violenta sferragliata di neanche un minuto e mezzo, all’ascoltatore non restano che 9 tracce, numero francamente ridotto che ha però il vantaggio non trascurabile di non dissanguare i timpani e di impedire quasi completamente che la successione dei brani, la cui struttura risulta spesso simile, non provochi una fastidiosa sensazione di già sentito. Sarebbe stato veramente un peccato doloroso, giacché, nell’attesa che i Darkest Hour ci facciano sentire il primo frutto della loro seconda vita artistica, noi non possiamo che applaudire ad una band integerrima e fieramente orgogliosa della propria storia e della proprio musica almeno quanto lo siamo noi, di loro.     


NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente