Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2000
Line-Up: 

- Mikael Stanne - voce, testi
- Anders Jivarp - batteria, percussioni
- Martin Henriksson - chitarre
- Niklas Sundin - chitarre
- Michael Nicklasson - basso
- Martin Brändström - tastiere, sintetizzatori, programmazione

Guests:
- Christer Lundberg - assistenza creativa per le tastiere del brano 1
 

Tracklist: 

1. The Wonders at Your Feet
2. Not Built to Last
3. Indifferent Suns
4. Feast of Burden
5. Haven
6. The Same
7. Fabric
8. Ego Drama
9. Rundown
10. Emptier Still
11. At Loss for Words

Dark Tranquillity

Haven

Si tende nell'ambiente metal a far coincidere Projector con l'inizio della "fase elettronica" dei Dark Tranquillity, ma questa è una considerazione impropria. Esso è un disco di puro metal orecchiabile ma bruciante con notevoli aperture melodiche e atmosferiche, però non un platter dalla radicata componente elettronica, anzi, togliete il radicata: la sola presenza di un brano costruito su di un battito cupo e atmosferico e di pochi, marginali intermezzi di synth non sono sufficienti per considerarlo un album "elettronico" nel senso che gli viene generalmente attribuito nell'ambito dei dischi metal. Però è vero che anche da questi spunti comincia la svolta vera e propria.

Il lato elettronico del gruppo comunque esplode dopo solo un anno: ecco Haven, capitolo importantissimo per la discografia dei Dark Tranquillity, che mostra una notevole evoluzione del loro stile (nonostante rimarrà quasi una parentesi, ma lo vedremo successivamente). Questo cambiamento è dato, oltre che dall'entrata come membro fisso del gruppo del tastierista Brandstrom, anche e soprattutto dalla mancanza nelle composizioni del chitarrista Niklas Sundin, che per mancanza di tempo è presente solo in studio di registrazione. Il suo stile, veloce, graffiante e personale, non marca le il songwriting, delegando tutto al neo-chitarrista Henriksson (in precedenza al basso, che ora viene affidato a Nicklasson), il cui stile ha su questo lavoro un personale approccio meno estremo e più melodico. Le chitarre rimangono comunque dotate di una buona vena catchy e d'impatto, vicino al gusto dei gruppi heavy inglesi per certi versi, con qualche muro sonoro che rifà invece al goth melodico nordico (ma con le dovute proporzioni e discostandosene per i fondamenti), ma anche con una certa incisività sonora più dura e simil-thrashy in alcuni punti, retaggio del loro appartenere alla scena musicale di Gothenburg.
Non troverete certi riff ronzanti o costituiti da sequenze ripetute e accelerate di note, né quelli più fisici e martellanti: Haven privilegia chords lenti e molto melodici che contornano la canzone e brevi giri di note orecchiabili e d'effetto a fare da punte della lancia, occasionalmente accompagnati da muri sonori più veloci ma sempre molto godibili.

Le differenze dal punto di vista stilistico con i precedenti dischi sono quindi ampie e non solo per la componente elettronica. Gli svedesi si adagiano ora verso un metal melodico le cui composizioni, nonostante la forte vena orecchiabile, si fanno più ricercate, al punto da lasciare ogni tanto anche alcuni spazi in cui le chitarre cedono il posto agli altri strumenti privilegiando passaggi più meditati e atmosferici, cosa che richiama alla mente artisti come ad esempio i Sisters of Mercy di Floodland, influenti anche nella corposità delle linee di basso (come per altri acts della new wave) e in alcuni tratti dell'effettistica della tastiera.
In ogni caso, i primi a venire in mente riguardo ciò che l'elettronica tocca sono naturalmente i Depeche Mode, ma è riduttivo fermarsi solo ad essi, il bagagliaio personale di Brandstrom introduce novità nel disco che traggono spunto da un aggiornamento personalissimo del synth-pop e della wave degli anni ottanta al periodo moderno (reinterpretando il tutto nell'attitudine melodica scandinava e filtrandolo dal punto di vista del supporto tastieristico di un album metal), spaziando dai Dead Or Alive ai Pet Shop Boys, ma passando anche per gruppi elettronici più recenti come i Melotron e, in parte e con le dovute proporzioni, i VNV Nation più melodici - ma potremmo spaziare in altri ambiti e citare anche figure come i metallers Paradise Lost, nella parentesi elettronica di Host, per aver stimolato ad incrementare tale lato musicale e menzionare fino ad arrivare persino a Roddy Bottum da un certo punto di vista (prendendo il riferimento con le pinze). Inoltre vengono dati alcuni suggerimenti dall'amico Christer Lundberg, che di lì a breve avrebbe fondato gli Universal Poplab, gruppo synth pop svedese: il booklet lo cita infatti per aver dato "assistenza creativa" nel primo brano, The Wonders at Your Feet.
Haven è un album che suona al tempo stesso moderno e richiamante gli eighties, apparentemente semplice compositivamente parlando (ed in effetti i brani sono tutti un po' potenziali hit melodiche), ma curatissimo nella produzione e negli arrangiamenti: da questo punto di vista è anzi un album molto più significativo ed elaborato della maggior parte delle release metal, anche e soprattutto.
Grande carica, energia e melodia ne costituiscono l'anima, ma l'intento di fondo si basa su di una lodabile volontà di sperimentare nuove sonorità per il gruppo, portando ancora avanti l'intento di slegarsi dal passato (ricordiamo il "non volevamo più essere considerati una semplice melodic death band" rilasciato da Stanne in un'intervista riguardo gli intenti della formazione svedese nel 1998). A completare il tutto, i testi di Stanne si fanno sempre più ermetici e profondi, donando inoltre un retrogusto malinconico, non percepibile direttamente, al disco.

Il primo pezzo, The Wonders at Your Feet, è la hit principale del disco. Melodicissima e molto divertente, introduce subito riff ultra-catchy e tastiere orecchiabili di contorno, mostrandoci fin da subito il cambiamento stilistico dei Dark Tranquillity. E' anche uno dei brani più eseguiti live, a riprova del suo impatto, e l'assolo è semplice ma memorabile.
Si prosegue quindi con Not Built to Last dove il ritmo si fa più serrato, ma trovano maggiore spazio brevi passaggi atmosferici perfettamente sposati con la carica delle chitarre.
Indifferent Suns inizia con delle linee di basso cadenzate mentre la tastiera dipinge sequenze sonore semplici ma dirette; ben presto un'energica chitarra si insinua nell'ascolto, offrendo riff leggeri ma distorti che scorrono in tutta scioltezza nel brano.
Il tutto si fa più heavy con Feast of Burden, sempre mantenendo una forte caratterizzazione melodica ed una presente partecipazione tastieristica di sottofondo.
La titletrack Haven ha un inizio dal forte impatto, che si dissolve poi per lasciare spazio a curiosi effetti di chitarra, una tastiera che riproduce un'arpa, al basso lento ma corposo e a placidi arpeggi in lontananza, fino al pre-ritornello dove riprende l'intensità delle distorsioni.
The Same ha fra i riff più orecchiabili del disco, soprattutto quello del ritornello che, unito alle brevi strings sognante che lo seguono, è forse il più easy-listening dell'album. La vera perla però è Fabric, picco di intensità, ricercatezza sonora ed emozionalità del disco, fra un imponente riff novembreiano per certi versi e carismatici tappeti di tastiere.
Ego Drama inizia con un'interessante introduzione orecchiabile e spensierata, in contrasto con i testi introspettivi (in realtà l'effetto dolceamaro generato dal loro essere accostati a sonorità molto orecchiabili rende il disco particolarmente interessante e significativo) che si tramuta poi nei consueti muri distorti di chitarre, fino al breve intermezzo malinconico.
Rundown a questo punto non aggiunge molto al disco: semplicemente un ulteriore pezzo orecchiabile e accattivante, pienamente godibile soprattutto dal vivo, ma niente più.
Emptier Still invece si fa notare maggiormente, è il brano più elettronico di tutti, in cui Stanne inoltre ripropone il canto pulito (unico caso nel disco) alternato a quello in growl, conferendo un retrogusto particolarmente malinconico dietro alle atmosfere eletctro-gotiche avvolgenti, alle chitarre distorte e ai synth acidi.
Infine, l'ultima traccia, At Loss for Words, in cui si intrecciano chitarre e tastiere in un'orchestrazione di effetti e strumenti, concludendosi inizialmente con un assolo di tastiera di grande effetto che lascia strada poi ad un suono stridente e riverberato davvero suggestivo. Una bella chiusura d'album davvero..

Nel corso degli anni si è parlato a lungo di Haven. Nonostante si possa comprendere che, a gusti, certe sonorità possano non essere gradite, l'accoglienza iniziale riservata al disco è facile da intuire: mentre molti trovarono interessante la verve e l'originalità del full-lenght, alcuni vecchi fan si sentirono traditi per la lontananza dalle sonorità degli esordi e gridarono alla commercializzazione, alla morte artistica della band "vendutasi" allo sporco gioco della melodia e della tastiera, nonché ormai prossima al compiere azioni infami come diventare sempre più popolare, andare su MTV, entrare nelle chart pop, mangiare bambini, rubare caramelle, truccare partite, intercettare telefonate e così via. Dei farabutti, insomma. Qualcuno ha ironicamente definito Haven come "Iron Maiden + Depeche Mode", definizione fin troppo riduttiva perché in questo disco c'è molto di più, completamente reinterpretato dalla classe e dalla personalità dei Dark Tranquillity fino ad ottenere un disco dallo stile unico. E' davvero divertente notare la contraddittorietà e l'incoerenza con cui il popolo metal ha interpretato quest'album negli anni successivi: a volte considerato come un album povero e piatto, nonostante la ricercatezza compositiva e la ricchezza di idee mostrata nel percorrere questa evoluzione (non è che diminuire la prevalenza delle chitarre e aggiungere le tastiere equivalga ad appiattirsi). Altre volte, considerato invece troppo complesso e intricato per risultare riuscito appieno, facendo un po' di confusione fra un disco ostico e poco accessibile e un disco dalle sonorità poco digeribili per i propri gusti personali. E poi, di colpo, tutti ad elogiarlo, poi a criticarlo di nuovo, a seconda delle tendenze. Chiaramente non è un album per tutti i gusti, soprattutto per i fan più intransigenti del vecchio corso che rimarrebbero sicuramente inorriditi da questo lavoro, e chi semplicemente non ama i lavori easy-listening e preferisce cose più intricate. Chi invece non disdegna certe sonorità rimarrà piacevolmente intrattenuto da Haven.
E ora, parlando di un certo Damage Done del 2002...

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