Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Federica Bosisio
Genere: 
Etichetta: 
Invada
Anno: 
2009
Line-Up: 

Justin Greaves (batteria, effetti synth, banjo)
Joe Volk (voce, chitarra acustica)
Dominie Aitchison (basso, effetti)
Kostas Penagiotou (tastiere, piano)
Charlotte Nichulls (violoncello, voce)

Tracklist: 

1. Burnt Reynolds
2. Rise Up and Fight
3. Time of Ye Life / Born for Nothing / Pranoid Arm and Narcopletic Empire
4. Wendigo
5. Littlestep
6. Crossing the Bar
7. Whissendine
8. A Real Bronx Cheer
9. 444
10. A Hym for a Lost Soul
11. A Lack of Common Sense
12. I Am Free Today I Perished

Crippled Black Phoenix

200 Tons of Bad Luck

In poco meno di quattro anni i Crippled Black Phoenix hanno registrato quattro album: A Love of Shared Disaster del 2006, 200 Tons of Bad Luck del 2009, The Resurrectionists/Night Raider (un doppio disc box set comprendente i pezzi del disco del 2009 con diverse e nuove bonus tracks) e I, Vigilante, il capolavoro del 2010.

I Crippled Black Phoenix sono il risultato di disparate esperienze artistiche: "contaminazione" è il sostantivo che meglio inquadra questa band. Basti pensare sia al fondatore, Justin Greaves, storico ed accattivante batterista degli Electric Wizard (titani del doom e dello stoner made in UK), sia al bassista Dominic Atchinson, nonché pioniere delle melodie post-rock degli scozzesi Mogwai, sia a Joe Volk, cantautore folk, militante nel gruppo heavy rock Gonga; il tutto diretto dal genio di Geoff Barrow, responsabile dell'etichetta discografica Invada e, soprattutto, produttore e strumentista dei Potishead.

I CBP nascono dalle ceneri degli Iron Monkey, gruppo sludge metal, attivi dalla seconda metà degli anni '90 e sono spesso associati ai Karate, da Bristol, impegnati nel post-hardcore e nell'alternative rock sound. Insomma, uno “zibaldone” di suoni, di generi e di background musicali differenti che si incontrano,quasi scettici tra di loro, per svelare esiti artistici sempre più rarefatti ed unici.

Il disco si sviluppa in 12 brani in cui aleggiano atmosfere a volte cupe, altre nostalgiche e altre folk con sapienti ed inquietanti incursioni di voci e rumori di ambienti con uso di archi e cori che descrivono scene epiche, medioevali, trionfanti, invocanti inni rabbiosi o deliranti ballate. Una particolarità riscontrabile e sviluppata in tutto il cd è l'incommensurabile ripresa nonché omaggio agli immortali Pink Floyd, subito evidente con decisione fin dalle prime canzoni.

Burnt Reynolds è un blues aggressivo che rimanda a un prog-rock moderno e delicato, Rise Up and Fight, seconda canzone, carica di groove, dà l'impressione surreale di rievocare l'introduzione di One of these days dei sempre imperituri Waters e Gilmour. Emozioni psico-tribali scandite da uno scatto di banjo che litiga con vittoriosi hard blues sono offerti da Time of Ye life/ Born for nothing / Paranoid Arm of Narcopletic Empire, insaziabile suite strumentale di diciotto minuti che, grazie a continui bombardamenti di doom, prog e psichedelia, ci proietta nella Pigs ( Animal 1977) dei Pink Floyd e nel repertorio artistico dei Neutral Milk Hotel, rock band statunitense dalla Lousiana.

Wendigo è un avvolgente tappeto di tradizionali suoni celtici e folk, Littlestep è una ballata intesa e dolce a cui segue Crossing the Bar che accosta un'interessante e solare linea di chitarra acustica e di violoncello poggiando su una coinvolgente ritmica industriale che si interrompe bruscamente al minuto 1:51 con una snervante successione cruda di pianoforte. 444 è forse il brano più incisivo e più grintoso dell'intero album, un martellante doom-rock pulito coronato da una voce sottile, delicata ma decisa; non è forse casuale che questo sia accompagnato all'inizio da A Real Bronx Cheer e infine da A Hymn for a Lost Soul, sottoforma di canto popolare-religioso, quasi a voler bilanciare la carica di 444, in perfetta linea con il banchetto allegorico della copertina del cd.

Infine I'm free Today I Perished, brano di chisura, è un viaggio malinconico di sei minuti prettamente post-rockeggiante che rimanda alle atmosfere candide e pacate dei Mogwai con un sottile anelito dei mistici e profondi Godspeed you! Black Emperor tra effetti fluttuanti e delays orchestrali accompagnati del violoncello.    

É difficile dare un giudizio oggettivo a 200 Tons of Bad Luck proprio per il suo carattere imprevedibile e per la sua indefinzitezza musicale. Sopravvivono ora sfiorandosi, ora allontanandosi melodie ed esiti inclassificabili in un solo genere: ogni singolo brano ha un suo preciso significato che presuppone un'attenta meticolosità di organizzazione, come un perfetto puzzle che chiude un percorso essenziale gospel di aspetto moderno e che riscopre ogni gamma del rock da quello più sperimentale e virtuoisistico alle sane radici dei Pink Floyd. “La fenice nera azzoppata” è pronta per spiccare il volo, come sarà, verso cieli incontaminati e carichi di sprezzanti suoni impegnativi.

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