Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Alfredo Capozzi
Genere: 
Etichetta: 
Blue Plate
Anno: 
1987
Line-Up: 

- Steve Jansen - batteria, percussioni, tastiere e voce
- Richard Barbieri - tastiere e sintetizzatori
- Phil Palmer e David Rhodes - chitarra acustice ed elettrica
- Danny Thompson - contrabasso
- Clive Bell - flauto Tai, khene, crumhorn
- Carrie Booth - piano

Tracklist: 

1. Catch the Fall
2. Shining
3. Second Sight
4. Love Tht You Need
5. Real Life, Real Answers
6. Lost to the Holy
7. My Winter
8. Pushing the River

Dolphin Brothers, The

Catch the Fall

La musica pop-rock degli anni ’80, a chi ha voglia di approfondire e non si fida della “vulgata”,  riflesso di più o meno giustificate antipatie per la vita politico-sociale di quel decennio, o dei bignamini parziali e raffazzonati che la MTV di turno gli propina, sa riservare sempre delle meravigliose sorprese. Il pop, in particolare, ha espresso in quel controverso decennio una gamma estremamente vasta di espressioni, a volte quasi antitetiche, che, però, danno vita, in ultima analisi, ad una sorta di “coincidentia oppositorum”. Si va, infatti, da alcune delle “prove” più “leggere” e “plastificate”, anch’esse in odore di riabilitazione, che la storia del genere ricordi, al sound oscuro, ricco di spleen, pensoso di case discografiche come la 4AD, dal pop-rock alla Rough Trade-The Smiths al jazzy dei Working Week o dei primi Style Council.

Un posto a parte, in questa caleidoscopio di proposte, occupa la divisione dei Japan, non solo con la mirabile produzione solista del leader David Sylvian, ma anche con i progetti degli altri membri Mike Karn, Steve Jansen (il fratellino) e Richard Barbieri. Uno, in particolare, andrebbe ricordato, che vide protagonisti il duo Jansen-Barbieri: The Dolphin Brothers.

I “delfini” purtroppo presero subito il largo, lasciandoci, però, con un’esibizione memorabile, come capita di vedere a qualche fortunato al largo. Un unico, impedibile album, Catch The Fall (1987), riuscì a fotografare l’attimo; a registrare lo stato di grazia dei due musicisti; a dar conto del passaggio di questa luminosa quanto poco conosciuta meteora, che spesso non compare neanche in alcune delle più diffuse e vendute opere sul pop-rock con intenti enciclopedici. Catch The Fall, che vede anche la partecipazione di Robert Bell, una delle rare apparizioni al di fuori dei suoi Blue Nile, oltre all’inconfondibile basso di Danny Thompson e alla chitarra di David Rhodes, è un album che desta rammarico; non solo per il mancato seguito, ma soprattutto per la sensazione di una strada che forse non è stata esperita fino in fondo, di una pietra miliare che, invece di invogliare al cammino, ha finito per essere un “fine corsa”.

L’album, infatti, riesce nella difficile impresa di coniugare poesia, soft sonorità elettroniche, avanguardia, rimanendo sostanzialmente un disco pop, leggero e fruibile. Due delle famiglie più prolifiche della musica degli ’80 si riuniscono qui in Catch The Fall; e ciò avviene in armonia, in  un’atmosfera onirica, suggestiva, eterea, con il fratello-papà David che osserva compiaciuto.

La prima facciata del caro vecchio LP è quella dove la bilancia pende a più a favore della canzone, del pop di più facile presa; ma non ci sono, non ci potrebbero mai essere dati i soggetti, approssimazioni, arrangiamenti dozzinali, strizzate d’occhio. La title-track del resto, posta all’ingresso di questo giardino delle delizie, chiarisce ogni cosa: un brano obliquo, fascinoso, dal retrogusto mediorientale, molto percussivo, da mettere accanto, udite udite, alle cose migliori del fratellone. I quattro brani della facciata B sono, invece, più sperimentali, ma senza astruserie cerebrali; il suono risulta sempre caldo, avvolgente, con il basso di Thompson protagonista in Host To The Holy, una delle vette dell’album. La voce del piccolo Jansen, che mai fa rimpiangere quelle del più noto David, svetta in My Winter duettando con gli astratti accordi del sodale “manidifata” Barbieri.

Un pezzo unico in tutti i sensi Catch The Fall, una pietra preziosa di quelle poco appariscenti ma di grande valore; otto composizioni che, pur se influenzate di certo dal tempo in cui furono scritte, risultano ancora attuali e godibili, un vero must per chi ha un’idea alta della musica pop.

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