Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Iacopo Fonte
Genere: 
Etichetta: 
Misanthropy Records
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Varg “Count Grishnackh” Vikernes – tutti gli strumenti

Tracklist: 

1. Dauði Baldrs (08:45)
2. Hermóðr Á Helferð (02:37)
3. Bálferð Baldrs (06:01)
4. Í Heimr Heljar (01:59)
5. Illa Tiðandi (10:52)
6. Móti Ragnarokum (08:58)

Burzum

Dauði Baldrs

La Misanthropy Records con Burzum ha ottenuto sempre grandi successi. E così nel 1997 è pronta a distribuire il sesto lavoro del norvegese Varg Vikernes. Dauði Baldrs ormai rispecchia completamente un nuovo modo di intendere la musica, che il one man-band ha sviluppato nella prigione di Bergen. Ambient, ambient e ambient. E’ tutto ciò che emerge dall’ascolto di un disco che apparirà monotono a chi disprezza le misteriose e magiche atmosfere a cui il Count ci ha abituati. Dopo tutto nelle sue condizioni, non essendogli permesso l’uso di strumenti per registrare un album in modo tradizionale, ma solamente un computer, non può fare altro che creare dei MIDI con il pc. Nonostante l’estrema semplicità e banalità di tutte le tracks, ogni song conserva sempre tutta la carica emotiva che aveva caratterizzato l’artista più controcorrente del scenario black mondiale.

Basta solo la copertina per poter già intendere come la produzione sia intrecciata a motivi di stregoneria, paganesimo, folclore nordico. Ne sono evidenti tracce le immagini raffiguranti un’investitura cavalleresca e una danza di streghe. Tutte queste caratteristiche sono poi immerse in un sound che di sicuro non sarà uno dei più vari, ma che dopotutto riesce a trasmettere sensazioni di mistero nella title-track, serenità in Hermóðr Á Helferð, aulicità in Í Heimr Heljar e di tristezza come in Illa Tidandi. Questa quinta track è poi molto particolare come song. Molto riflessiva, introspettiva grazie a note di piano molto pesate, che indugiano quasi a proseguire.
Prepara oltretutto spazio e tempo all’ultima e colossale Moti Ragnarokum. Sono nove minuti di estenuante malinconia che arriva addirittura a trasmettere ansia per il suo andamento così rilassato. Ogni singola nota di pianoforte ti strappa via un brandello d’anima. L’aspetto evocativo di questa song prevale nettamente e riconduce a un ossessivo presente di decadenza, grazie a stacchi di raffinato violino. E’ una danza eterna e bellissima che ti culla e paradossalmente, staccandosi dalla realtà, ti tiene soggiogato ad essa. Gli stacchi di violino fungono poi da chiave di Dauði Baldrs. Arricchiscono il sound regalandogli un tono di eleganza e depressione per il presente.
Emerge dal tipo di intreccio sonoro il più esasperato nichilismo e un completo distacco da tutto l’umano.

Come tutti i lavori di Varg Vikernes, anche questo ha dietro una propria filosofia che va oltre il solo modo di intendere la musica. Si cela sempre dietro la storia di un uomo, il suo modo di relazionarsi alle persone, alla vita. E ogni lavoro del Count rispecchia in pieno questo atteggiamento. Il settimo full-length di Burzum piacerà poi sicuramente a chi predilige un metal atmosferico, che preferisce magari l’efficienza del sound e il livello emotivo creato, piuttosto che l’abilità e la complessità tecnica.

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