Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Vintersorg (Andreas Hedlund) – Voce
- Øystein Brun – Chitarra
- Asgeir Mickelson – Batteria
- Lars Nedland – Synth

Guests:
- Tyr - Basso
- Sareeta - Violino
- Thomas Nilsson - Violoncello
- Steinar Ofsdal – Flauti

Tracklist: 

1.Earth Imagery
2.Grains
3.Oceans Rise (Acoustic Version)
4.Signs
5.White
6.Cynosure
7.Human Nature
8.Acclimation
9.The Spirit of Nature

Borknagar

Origin

“Origin” è la recentissima fatica acustica dei Borknagar, band norvegese dedita da tempo a sperimentare nell’ambito del Metal estremo e d’avanguardia, nonostante un inizio di carriera (il debutto omonimo “Borknagar”, 1996, e il successivo “The Olden Domain”, 1997) durante il quale il gruppo era legato a doppio nodo con i suoni tradizionali del Black e del Viking Metal.
Uscito dal gruppo il primo cantante Garm (ex-membro di Arcturus e mastermind degli Ulver) ed entrato al suo posto ICS Vortex (ora nei Dimmu Borgir e negli Arcturus), il gruppo virò verso sonorità più progressive con “The Archaic Course” e “Quintessence”, rispettivamente del 1998 e del 2000; persi nel corso degli anni tutti i membri originali ad eccezione del leader Øystein Brun, i Borknagar hanno ulteriormente approfondito le sonorità avanguardiste con gli ultimi due dischi, “Empiricism” ed “Epic”, guidati nell’esplorazione di questo universo dal nuovo cantante, l’eclettico svedese Vintersorg, particolarmente appassionato di temi cosmici, scientifici e spaziali.

Presentato da una copertina grigiastra, orrida come da triste tradizione in casa Borknagar, “Origin” è un progetto da molto tempo nel cassetto di Øystein Brun, che da sempre infarcisce le sue performance chitarristiche con partiture acustiche: l’idea di un disco completamente acustico è venuta infine a realizzarsi in questo 2006 in cui la band ha finalmente creato “Origin”, coadiuvata da uno stuolo di guests: sono della partita, infatti, anche l’ex-bassista Tyr, rientrato nei ranghi, il violoncellista T. Nilsson, la violinista Sareeta e il flautista S. Ofsdal.
La spinta classica data dagli impeccabili archi e dal flauto (fondamentale il suo contributo) è particolarmente importante per la buona riuscita di questo disco, visti i deliziosi arrangiamenti di cui “Origin” è dotato; essi sono ulteriormente impreziositi dai tocchi alla tastiera e ai sintetizzatori di Lars Nedland, membro dei fenomenali Solefald, e dalle sublimi armonie acustiche di Brun, che ora può finalmente permettersi di esibire tutta la propria abilità anche al di fuori delle ruggenti chitarre che caratterizzano il Metal. La delicata batteria del talentuoso Asgeir Mickelson è solitamente relegata in secondo piano (anche a livello di mixing), mentre il basso di Tyr si fa sentire più frequentemente, dando profondità e corpo alle composizioni del gruppo, facendosi notare in particolare in “Oceans Rise” con una prova davvero ispirata.

Fin qui tutto bene, anzi benissimo, ma questa medaglia finemente decorata presenta anche un rovescio. E spiace dirlo, per un ‘aficionado’ di Vintersorg come il sottoscritto, ma i problemi principali, quelli che impediscono al disco di arrivare all’eccellenza, li incontriamo nelle linee vocali.
Andreas Hedlund (questo il vero nome del singer svedese) ha cercato di dare un taglio più sperimentale ai brani utilizzando spesso un tono di voce molto acuto, tanto alto quanto poco espressivo; nelle sezioni in cui la scelta dello stile ricade su un approccio più profondo e intimo, invece, assistiamo alla prova di un vocalist di prim’ordine: inspiegabile quindi il ricorso a scelte vocali così “al limite”, che se potevano andare bene (e, anzi, erano un valore aggiunto) per dischi pazzi, personalissimi e teatrali come “The Focusing Blur” (ultima fatica solista del singer svedese), stonano decisamente con l’atmosfera raffinatissima e soffusa di “Origin”.

La band è d’altronde molto dipendente dall’estro del suo frontman, visto che le due strumentali presentate (“Signs” e “The spirit of Nature”) sono assolutamente anonime, e considerato anche che quando il vocalist si esprime al meglio non teme confronti con nessuno; tuttavia, il cantato di Vintersorg viene assimilato completamente solo dopo un numero davvero elevato di ascolti, rendendo “Origin” un disco più difficile di quanto fosse lecito aspettarsi.
E nonostante si riesca, dopo molta dedizione, ad apprezzare lo stile di Andreas su questo disco, rimangono comunque alcuni dubbi sulle sue scelte, specialmente se si va ad analizzare quali sono i brani meglio riusciti, ovvero la terza “Oceans Rise” e la quinta “White”: nel primo caso ci troviamo di fronte alla rielaborazione di un vecchio brano della band, originariamente presente su “The Archaic Course”, le cui linee vocali erano quindi state ideate da Vortex: Vintersorg qui si limita ad addolcire quanto fatto dal collega, e, re-interpretando nel suo stile senza ‘tirare troppo la corda’ il brano, lo trasforma in un vero gioiello epico, capace di rivaleggiare e superare l’originale. Nel caso di “White” invece, salutiamo con malcelato sollievo l’inserimento della voce di Lars Nedland a donare un pizzico di varietà in più, per uno dei capitoli più peculiari: l’arpeggio acustico iniziale è splendido, ma nell’evoluzione della song si faranno sentire, preponderanti e maestose, le influenze della musica Classica: una piccola gemma, poco dopo distrutta in mille pezzi dalla quasi inascoltabile “Cynosure”, in cui la capacità interpretativa di Vintersorg tocca il fondo: un’ostinata e strozzata rima in “-ation” risulta davvero irritante, e fa passare inosservata la poetica e docile sezione centrale.

I restanti brani esplorano coordinate più teatrali (“Human Nature”, a tratti con reminiscenze da “La Masquerade Infernale” degli Arcturus) o più descrittive e poetiche (“Earth Imagery”), ma in generale si dibattono, altalenanti, tra momenti ispirati o discutibili, in relazione all’ispirazione del singer e della performance della band: talvolta di livello squisito, ma talvolta stucchevoli, con una sensazione di pedante artificiosità che raffredda le potenzialità emotive del disco.
Probabilmente più un'occasione persa che altro, nonostante i momenti di grande poesia che qui e là riscono a fare capolino.

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