Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Luca Pasi
Etichetta: 
Jagjaguwar Records
Anno: 
2011
Line-Up: 
Justin Vernon
Sean Carey
Michael Noyce
Matthew McCaughan
Tracklist: 
1. Perth
2. Minnesota, WI
3. Holocene
4. Towers
5. Michicant
6. Hinnom, TX
7. Wash
8. Calgary
9. Lisbon, OH
10. Beth / Rest
 
Bonus CD
11. Wisconsin
12. Come Talk to Me
Bon Iver

Bon Iver, Bon Iver

Quattro inverni fa in un desolato capanno del Winsconsin, in mezzo a sconfinate distese di neve, riscaldato ed accompagnato esclusivamente dalla sua voce, Justin Vernon plasmava quel capolavoro d'intimismo minimalista e refrattario al dolore che è For Emma, Forever Ago. La genesi del disco è stata più volte raccontata come un lenitivo alle sofferenze passate, una cura trovata nella musica: un medicinale che, da sempre e per sempre riesce a sciogliere interi blocchi di ghiaccio e tamponare ferite, anche quelle più profonde. Sono passati quattro anni da quel simulacro di perfezione che racchiudeva confessioni recondite tutt'altro che rimandanti ad alcuna realtà sotto-giacente e Bon Iver (storpiatura francese del "buon inverno") torna in veste di messia a curare quelle ferite che si sono trascinate dall'esordio; questa volta, però, sono le nostre.

Possibile che abbandonare il nido che diede natale a For Emma, Forever Ago possa portare un senso di confusione, abbandono o smarrimento in se stessi, ma ci sono tappe nella vita che vanno percorse, passi da affrontare e un ritorno dall'inverno prima o poi sarebbe stato obbligatorio. Tappe per conoscersi, tappe per ritrovarsi, tappe per ricordare. Justin lo fa attraverso queste 10 tracce, che impersonificano un viaggio, fatto di emozioni, di città, di luoghi, talvolta immaginari e inesistenti, ma non per questo meno necessari.

Ci sarebbe da chiedersi quanto forte sia stato l'impatto che Kanye West abbia avuto nella creazione del disco, vista la corposa collaborazione di Justin nel realizzare il quinto LP del rapper americano, ed è lecito pensare che questa influenza, o per meglio dire questo bagaglio, sia stato altrettanto importante perché sia le liriche che la melodia vengono estese su uno spazio più aperto, più completo. "E' diventato qualcosa che non avrei mai pensato di creare solo stando seduto a scrivere canzoni. Viene dal subconscio ed è molto elementare. Ho cambiando il modo in cui scrivo canzoni, ora mi vedo più nella prospettiva del songwriting, è un disco che ho sempre voluto fare nella mia vita". Per affrontare questo ritorno si è quindi circondato di musicisti che lo aiutassero a creare un nuovo suono, tra i quali il sassofonista Colin Stetson (Tom Waits, Arcade Fire) e il chitarrista Greg Leisz.

Per creare un viaggio ideale bisogna procedere per tappe, ma bisogna anche creare la giusta atmosfera e Perth ne è l'emblema adatto. Arpeggio iniziale nostalgico e falsetto che si fa largo tra cori soffusi. Ne esce un suono più corposo, più ampio che porterebbe, invero, ad una disorientazione iniziale, ma scalzata in pochi istanti perché l'aura umorale dell'esordio è ancora pulsante e viva. Nuovi paesi, nuove scoperte, nuovi lidi di sperimentazioni che partono con la successiva Minnesota, WI in cui per la prima volta il falsetto viene abbandonato, ma ripreso in successiva, in favore di un timbro soul assodato. Un disco che vale per quella stessa realtà con cui era partito ma che ne ricerca una perfezione in dettagli che crescono di tappa in tappa, "I will let you grow", tra arrangiamenti curatissimi e una presenza di archi dosati a meraviglia, mischiati con quella vena elettronica che ne contraddistingue le influenze Kanye-Westiane. Riscoprire se stessi in passaggi quali Holocene o Towers è d'obbligo, tappe ermetiche ed accorte nel non darsi subito, capaci di creare un paesaggio mistico che riesce a rallentare il tempo per essere osservato, contemplato. Ma dobbiamo convincerci che esista questo mondo, se non girato l'angolo almeno nel disco che lo secerne lento, che lo ricrea per sensi persi a tutto e che di tutto hanno bisogno, lieve, irreale, fintamente comprensivo, omogeneizzato. Se una volta ci teneva tutti appesi per l'anima a fili che trascendevano dall'orizzonte e scorrevano al cuore, gocciolanti in gemme impossibili come Skinny Love o Creature Fear, questa volta lo fa attraverso la dilatazione vocale in Hinnom, TX e la cigolante Wash, entrambe emblematiche di questo nuovo percorso intrapreso, ma insite di un'emozione che difficilmente è riscontrabile altrove. 

Il parossismo definitivo arriva però con il singolo Calgary, perfezione sublime e tappa estrema di questo viaggio, un viaggio che fortifica e che è capace di curare quelle ferite passate mai completamente rimarginate per arrivare ad una conclusiva, quasi eterna nel suo iperuranio atmosferico, Beth/Rest ("è la parte in cui riprendi la tua canna e la riaccendi. È il brano di cui sono più orgoglioso"). Una meta riappacificativa con se stessi, attraverso un cammino contemplativo e al di sopra delle cose, per scoprire in ultimo cosa non sei, cosa non vuoi, cosa non siamo noi.

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