Voto: 
7.9 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Peaceville Records
Anno: 
1994
Line-Up: 

- Tomas "Tompa" Lindberg - voce
- Anders Björler - chitarra
- Jonas Björler - basso
- Adrian Erlandsson - batteria
- Martin Larsson - chitarra

Guests:
- Peter Andersson - violoncello
- Ylva Wahlstedt - violino
- Alf Svensson - parte del testo del brano 5


Tracklist: 

1. The Swarm
2. Terminal Spirit Disease
3. And the World Returned
4. Forever Blind
5. The Fevered Circle
6. The Beautiful Wound
7. All Life Ends (Live)
8. The Burning Darkness (Live)
9. Kingdom Gone (Live)

At the Gates

Terminal Spirit Disease

Il terzo album degli At The Gates viene partorito in un clima che va differenziandosi da quello degli esordi: la scena di Gothenburg ormai sta iniziando ad emergere agli occhi del pubblico, distaccandosi dai connotati prettamente underground che caratterizzavano le prime pubblicazioni sul finire degli anni '80 e l'inizio dei '90. E' infatti il 1994, i Ceremonial Oath si apprestano ad iniziare il loro terzo (ed ultimo) album, gli In Flames stanno pubblicando l'esordio, i Dark Tranquillity l'hanno già pubblicato da un anno (entrambi inoltre stanno lavorando ad un EP) e preparano il terreno per il secondo, per citare fra i nomi più noti. Insomma, la scena di Gothenburg sta crescendo, e quello che è ancora il melodic death metal propriamente detto inizia lentamente inoltre ad entrare nel sentiero che lo porterà a diversificarsi verso realtà sempre più particolari e differenziate dal principio.
In tutto ciò gli At The Gates contribuiscono con il loro personalissimo ed emozionante modo di intendere il death metal, suonato da nessuno come loro, che in questo Terminal Spirit Disease sviluppano espandendo leggermente una matrice-base thrash (che risulterà in ogni caso più consistente nell'ultimo album e mai dominante) e rendendo relativamente più rifiniti gli arrangiamenti, complice anche una migliore produzione che in confronto al precedente With Fear I Kiss the Burning Darkness suona meno sporca (sempre relativamente parlando, questo rimane in ogni caso un disco di gran lunga più ruvido della maggior parte delle produzioni patinate a cui ci siamo abituati negli anni 2000) e per di più rende le atmosfere più drammatiche e meno macabre. Nonostante la rabbia martellante e bruciosa, questo disco ha la sua dose di pathos, gli At The Gates mantengono tutta la tristezza e l'emozionalità tragica che permeano le loro canzoni, come sempre sentite e vissute. Ed appare per di più chiaro che gli svedesi sono apertamente in territori di grande personalità stilistica nella loro evoluzione musicale rispetto agli ancora acerbi primi passi.
Praticamente poco più di un EP, vista la sua relativa scarsa durata (poco più di venti minuti di inediti!), ufficialmente però Terminal Spirit Disease è considerato un album a tutti gli effetti dalla band, dalle case discografiche e di distribuzione e dai fan; questi ultimi soprattutto spesso si sono chiesti come sarebbe stato questo disco se fosse durato il doppio. Difficile a dirsi, noi azzardiamo che probabilmente avrebbe riscosso un'ammirazione maggiore anche del masterpiece Slaughter of the Soul (che uscì l'anno successivo), ed infatti la qualità di questo platter è davvero alta, ma purtroppo limitata a "soli" sei memorabili brani.

Si inizia dunque con le atmosfere tragiche di The Swarm, introdotta da delle brevi note di violino e violoncello a cui subito si sostituisce la rabbia della chitarra elettrica che segue la linea melodica, mentre il brano ben presto si tramuta in una sfuriata impetuosa, oscura e aggressiva (grazie soprattutto alle urla catarrose di Tompa, forse poco "orecchiabili" ma totalmente esprimenti tutto il dolore di cui sono ricolme le canzoni). La titletrack Terminal Spirit Disease si mantiene su queste coordinate che uniscono velocità, durezza e melodia, la quale è però sofferta e impulsiva, carica di afflizione ma anche di malinconia. Riff micidiali ed impulsivi, tonalità dense e afflitte, furia e tristezza caratterizzano questa prima parte di disco, ma c'è una pausa più meditata, infatti tocca ora ad una breve parentesi strumentale con l'affascinante e atmosferica And the World Returned..., sovrapposizione acustica di anche sei chitarre con l'appoggio di alcuni archi bassi di sottofondo. Si tratta di una delle migliori strumentali acustiche del metal svedese di sempre, semplice ma evocativa e toccante, nostalgica e senza mai scadere nella scontatezza o nella banalità. Torniamo su lidi metal con la prima canzone del trittico finale: si tratta di Forever Blind, ed è nuovamente sofferenza urlata a squarciagola sopra riff rabbiosi e granitici ma che non rinunciano ad una certa relativa orecchiabilità. Si passa poi a Fevered Circle, brano lento, fra i più lenti di sempre degli At The Gates, cupo e straziante anche se spesso poco digerito dai fan metal che vedono questa traccia come debole e monotona (se infatti apprezzate gli svedesi per il lato più veloce e frenetico, forse questo sarà il brano che meno vi convincerà, ma il consiglio è di concedergli almeno una possibilità). Con il sesto pezzo si conclude di già l'album, è The Beautiful Wound, ulteriore espressione di dolore, pena e nichilismo, come è d'altronde sempre percepibile nelle tematiche degli At the Gates, spazianti nella loro breve ma intensa carriera su argomenti come la religione, la tragicità dell'esistenza, la morte, il rapporto uomo-società; sono comunque presenti alcune traccie live aggiuntive in aggiunta agli inediti studio, di sicuro interesse per i fan del gruppo.

Un disco bellissimo e molto significativo, che ha l'unica pecca di essere... troppo breve! Per quel che il gruppo ha saputo offrire in questi neanche trenta minuti di musica (escludendo le bonus track live), c'è infatti rammarico nel pensare che gli svedesi avrebbero potuto offrire ancora di più, perché le materie prime ci sono tutte: songwriting eccellente, perfetta combinazione di violenza, furore e melodia, atmosfere opprimenti e tragiche, e tutta la rabbia che Lindberg sa esprimere con le sue vocals disperate. Possiamo però considerarlo (anche se impropriamente) un ottimo EP d'antipasto per il successivo Slaughter of the Soul, e consigliarlo a tutti gli appassionati del metal svedese che conoscono solo il più celebre album del 1995 ma non la rimanente produzione atthegatesiana, spesso fin troppo immeritatamente dimenticata.

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