Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Warner
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Danny Griffiths - sound effects, keyboards, programming
- Darius Keeler - keyboards, choral arrangments, orchestral arrangments, programming, engineering
- Pollard Berrier - vocals, guitar, keyboards, sound effects, choral arrangments, orchestral arrangments
- Dave Pen - vocals, guitar, keyboards
- Maria Q - vocals
- Rosko John - vocals
- Steve Harris - guitar
- Smiley - drums
- Jonathan Noyce - bass, moog bass
- Graham Preskett - choral arrangments, orchestral arrangments, additional piano
- Pete Barraclough - guitar, engineering
- Steve Davis - bass
- Ella Cook - backing vocals
- Eltham Choral Society - choir
- Regional Orchestra of Cannes Provence Alpes Cote d'Azur - orchestra
- Philippe Bender - orchestras artistic director
- Jerome Devoise - engineering

Tracklist: 


1. Pills
2. Lines
3. The Empty Bottle
4. Remove
5. Come on Get High
6. Thought Conditioning
7. The Feeling of Losing Everything
8. Blood in Numbers
9. To the End
10. Pictures
11. Lunar Bender

Archive

Controlling Crowds - Part IV

Il seguito di Controlling Crowds viene pubblicato dagli Archive dopo sei mesi dall'uscita dell'originale.
Questo breve periodo è stato probabilmente dovuto da due fattori: innanzitutto gli inglesi non se la sentivano di rilasciare in una sola volta un massiccio e probabilmente indigeribile doppio CD che supererebbe le 2 ore di riproduzione (che difatti è stato rilasciato solo in seguito in edizione limitata), ma preferivano separare le cose (e forse c'è stata anche qualche pressione dalla label dietro le quinte); inoltre il nuovo episodo seppur ricco di potenziale ha molta meno organicità del predecessore, fattore che avrebbe potuto minare l'economia del doppio album rendendolo meno efficace.
Difatti Controlling Crowds Part IV suona più disomogeneo, piuttosto che eterogeneo o eclettico, rispetto alle altre tre parti. Fortunatamente ciò non comporta un lavoro sbrodolato, ma alla lunga il divario fra, per esempio, momenti più ottantiani e altri più gospel/elettronici, avendo in mezzo passaggi downtempo ed elementi ereditati dai gruppi post-rock, risulta più sconnesso ed indefinito che negli altri tre capitoli del concept.
Sostanzialmente la Part IV prosegue con naturalezza il discorso del precedente disco ma al contempo gioca a ricongiungerlo con particolari momenti della discografia el gruppo, a riassumere e rivedere, musicalmente, molti stilemi già adottati dal gruppo in passato, a scomporli e a ricomporli, trovandovi così spesso nuove idee (e anzi, a volte si aggiungono novità) ma perdendoci l'equilibrio e la compattezza risultanti trovati con Controlling Crowds, e quindi piazzandosi alle sue spalle.
Diluito e nuovamente ridimensionato il trip hop nel complesso, l'influenza solita dal post-rock è molto forte nei suoi ormai stereotipati climax, e anche occasionalmente con piccoli spunti strumentali di certi gruppi, ma spesso arrivandoci tramite pulsazioni elettroniche, stratificazioni sintetiche e ballate emozionali immerse in trip onirici e spaziali.
Il mood è generalmente disteso e sognante, con i picchi romantici di Noise reinterpretati con gli arrangiamenti malinconici più elaborati di You All Look the Same to Me e le armonizzazioni e gli amalgama stilistici di Controlling Crowds.
Non manca qualche interessante, anche se forse un po' fuori posto, escursione fuori dagli schemi rispetto ai binari principali dell'album.

Si comincia dunque con Pills che catapulta direttamente negli anni '80 con synth notturni, bassi pulsanti, beats incalzanti, atmosfere avvolgenti e la voce suadente di Maria Q che riecheggia per le strade di una viva metropoli illuminate dai lampioni, dai fari delle automobili e dalle insegne luminose dei club; un crocevia fra l'electro-pop e la dance di quel decennio con un più energico electro-rock e le sfumature indietroniche degli attuali Archive, oltre che il consueto crescendo sonoro. Sicuramente una hit molto melodica, ma anche un pezzo dotato di più spessore compositivo e caratterizzazione negli arrangiamenti di quel che la sua intrinseca orecchiabilità sembrerebbe suggerire.
Lines si distacca dagli eighties e gioca di più con effetti sonori stranianti, distorsioni acide e rimescolamenti vari, facendo una summa di diversi momenti della carriera degli Archive: ci sono refrain taglienti a metà fra i bassi allucinogeni di storiche hit come You Make Me Feel e la parte intermedia di Finding It So Hard, la batteria alterna battiti filtrati e sintetici ad attacchi acustici, e poi si intrecciano in sinergia il rap duro di Rosko John e gli effetti acidi di pezzi come Razed to the Ground. Le basi sono in alternanza ora più oniriche, ora più corrosive, queste ultime sono predominanti e presentano anche un accattivante riff che occasionalmente emerge con prepotenza e carisma (ma senza sovraddosaggi). L'elettronica di sfondo dipinge scenari apparentemente tesi da un punto di vista psicologico, ma fra le note emerge anche un'energia più rocciosa e impetuosa.
La lunga The Empty Bottle è una continua progressione sonora soft/loud secondo le consuete influenze dal mondo post-rock, con un susseguirsi di tastiere dolci e atmosferiche a cui si aggiungono beats più dinamici, ma nel climax c'è persino un pizzico di shoegazing nella stratificazione rumoristica (ma sempre melodica), corposamente onirica e dai bassi intermittenti.
Invece Remove, sempre comunque utilizzando come coordinate di base una variante più rarefatta ed elettronica del post-rock come nella precedente canzone, è molto più mesta e meditata in quanto a tonalità, con tastiere rarefatte, hammond malinconici ed un battito rallentato e sintetico a far d'accompagnamento. Il climax è abbastanza prevedibile in ogni caso, con batteria più jazzy, basso dub e apice emotivo.
Riprendiamo suoni più psichedelici (e ripeschiamo alcuni effetti di Collapse/Collide) con Come on Get High, dove l'influenza dei Pink Floyd ed un'attitudine maggiormente ambientale vengono mescolate al trip hop e all'elettronica spaziale di Controlling Crowds. Il finale soprattutto è mesmerizzante e toccante, ma di base permane ancora lo schema orientato verso il crescendo per enfatizzare questi picchi emozionali.
Thought Conditioning è un trip hop liquido, portato avanti dal rap mordace accompagnato dalle tastiere inquiete e dal battito incalzante. Notturna, avvolgente e intrigante, è forse la canzone più convincente fino a questo punto assieme ai due brani iniziali.
La successiva The Feeling of Losing Everything inizia come un duetto fra la voce malinconica di Dave Pen ed un pianoforte in lo-fi che conferisce un tocco retrò al pezzo efficace nel dare un retrogusto dolente al tutto. Verso metà traccia c'è una trasformazione in un elettro-ambient cosmico, denso ed etereo, con tappeti di strings ad accompagnare spruzzi elettronici che ricordano in parte il Vangelis di Blade Runner e i Kraftwerk.
Ma il battito morbido e sintetico di Blood Numbers serve ad introdurre invece suoni più dolci, anche se permane una generale inquietudine di fondo. Complessivamente sembrerebbe un tentativo di mediare fra certi elementi del dubstep, il trip hop ed il post rock, ma i droni rumoristici che emergono ad un certo punto e la progressione ossessiva a ripetersi portano anche oltre lo spessore del pezzo, a cui però mancano la verve tipica del gruppo e l'immediatezza delle altre canzoni.
To the End è una parentesi con un duetto fra le linee vocali tendenzialmente gospel di Pen e il pianoforte, godibile anche se forse un po' troppo sentimentalista.
La successiva Pictures presenta un denso tappeto di tastiere ambient di sottofondo, con strings che raggiungono poi un'esplosione emotiva, d'accompagnamento alla voce mesta ed in contrasto con le frenetiche e quasi ballabili ritmiche. Ricorda alcuni aspetti dei Bark Psychosis, quelli però di Hex.
Infine l'album viene concluso da Lunar Bender, dolce ed etereo viaggio fra space-ambient e le consuete influenze dai gruppi post-rock, con arpeggi delicati, elettronica vellutata e vaste distese celestiali dipinte dalla musica.

Non ci sono picchi particolari che svettino all'interno della discografia per posizionarsi fra le pietre miliari composte dal gruppo, anche se una buona dose di buoni pezzi, godibili e catturanti, ci sono.
La sensazione quindi è che gli Archive abbiano più che altro concluso il discorso intrapreso con Controlling Crowds senza preoccuparsi di eccedere o adagiarsi sugli allori, anche se i capitoli I-III risultano maggiormente riusciti.
Ora vediamo cosa ci serberanno in futuro.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente