Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Davide Merli
Genere: 
Etichetta: 
Lion Music/Frontiers
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Coste Apetrea - chitarra, voce, tastiera, batteria, percussioni
- Ake Eriksson - batteria
- Santiago Jimenez - violino
- Bobbie - melodica, pianoforte
- Robert A - basso
- Peter Eyre - batteria
- Anders Paulsson - sassofono

Tracklist: 

1. Rites Of Passage
2. Romana Lucia
3. Bagdad Boogie
4. Daily Deja Vu
5. Trickster
6. Conversation With Santiago
7. Bohumils Bolero

Apetrea, Coste

Rites Of Passage

Il nome di Coste Apetrea, chitarrista che alle spalle vanta una carriera di più di trent’anni tra i Sammia Mammas Mania e con la Jukka Tolonen Band, suonerà nuovo a quasi tutti i lettori di questa recensione: infatti almeno in ambito Rock/Progressive/Fusion la sua fama di chitarrista e compositore virtuoso è quasi totalmente sconosciuta. La pecca principale di questo disco, pur sempre valido, è quella di perdersi a volte in parti insipide dal genere non ben definibile, che certamente ammortizzano l’ascolto dei pezzi (molto lunghi mediamente) ma con l’effetto collaterale di annoiare frequentemente.
Questo fatto può essere inteso come un tentativo forse non troppo riuscito in certe parti di emulare quello spirito compositivo assolutamente libero e privo di regole del grande Frank Zappa, guarda a caso uno dei punti di riferimento principali nel disco: per esempio nelle parti vocali del disco, pochissime se guardiamo la durata complessiva, pesa come un macigno l’ombra del buon Frank e del suo (in)fedele Captain Beefheart.
Altro riferimento evidente del disco è il Carlos Santana dei lavori passati, dove mischiava ritmi tipicamente etnici alle melodie della sua chitarra: gli punti più interessanti di questo disco sono infatti molti tacchi tipicamente etnici che si amalgamano bene con il resto della canzone.

Senza dubbio la traccia migliore del disco è la titletrack Rites Of Passage nella quale si mischiano ottimamente parti funamboliche di chitarra elettrica con strumenti come violino o sassofono e percussioni. La durata del pezzo, ovvero otto minuti e mezzo, è giustificata dalle molte e varie parti di chitarra sia acustica che elettrica che si amalgamano bene con il resto degli strumenti.
La successiva Romana Lucia è davvero troppo lunga e varia per sperare di tenere attenti in ogni suo secondo l’orecchio del suo ascoltatore: francamente in questi 11 minuti (troppi) si spazia dal Prog alla musica etnica ma in una maniera troppo poco sfumata e accettabile per esser considerata piacevole alle nostre orecchie. Inoltre pesa troppo il fatto che alla canzone manca un tema principale indispensabile per alleviare la difficoltà di ascolto di un pezzo del genere. Di poco gusto inoltre la breve parte vocale del pezzo cantata nella stessa maniera di Captain Beefheart ma con risultati nemmeno lontanamente paragonabili a quelli dell’originale.
Con Bagdad Boggie torniamo invece a pezzi sempre insoliti ma meglio concepiti, con assoli davvero interessanti, enfatizzati da una capacità esecutiva impressionante. Molto bello è anche il tema che accompagna il pezzo in pieno stile Fusion.
Daily Deja Vu è invece una traccia tratti controversa e varia, fin troppo varia. In questo pezzo si ripresenta lo stesso problema del pezzo Romana Lucia: troppe idee troppo diverse tra loro messe insieme in modo non sempre perfetto. In questo pezzo i difetti appena elencati sono molto meno evidenti rispetto alla traccia numero due e alla fine possiamo considerarlo un buon brano, ma nulla di più del titolo poco azzeccato per la musica che lo compone.

Dopo questi quattro lunghi episodi, il nostro Coste Apetrea ci propone ora due pezzi molto brevi rispetto agli altri: Trickster e Conversation With Santiago.
Il primo è in stile Santana dei tempi che furono, con una voce di sfondo in alcune parti e alcuni percussioni di sottofondo, oltre che alla solita chitarra elettrica del musicista sudamericano. A dire il vero sembra trascurabile, in quanto lascia praticamente indifferente l’ascoltatore per tutta la sua durata. La seconda traccia elencata è un riuscito dialogo tra la chitarra classica di Apetrea e il pianoforte di Bobbie.
La conclusiva Bohumils Bolero lascia sinceramente indifferente l’ascoltatore durante la sua esecuzione, a causa dell’oramai pluricitata varietà del pezzo. La pecca di questa canzone è il sassofono di Anders Paulsson, che stona col resto della composizione, improntata su generi non troppo adatti a questo strumento.

Tirando le somme, questo nuovo lavoro di Coste Apetrea è un buon disco Progressive/Fusion/Rock ma sinceramente è difficile giudicarlo eccellente: troppe sono le parti che potevano esser tralasciate e che non avrebbero fatto altro che giovare al risultato finale rendendolo più leggero e accattivante.
Un disco ottimamente suonato ma che risulta davvero difficile da ascoltare dall’inizio alla fine senza rimanere indifferente a buona parte del suo totale minutaggio.

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