Voto: 
9.3 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Exergy
Anno: 
1992
Line-Up: 

- Tord Lindman - chitarra e voce

- Jonas Engdegård - chitarra

- Thomas Johnson - tastiera

- Anna Holmgren - flauto

- Johan Högberg - basso

- Mattias Olsson - batteria e percussioni



Tracklist: 

1. Jordrök (11:10)

2. Vandringar i Vilsenhet (11:53)

3. Ifrån Klarhet Till Klarhet (8:04)

4. Kung Bore (12:57)

Anglagard

Hybris

Nell’ultimo decennio la Svezia, Paese in cui regna una salda tradizione per le sonorità Metal più estreme, ha visto nascere nuove convincenti realtà del Progressive, come i Pain of Salvation, gli Evergrey, i The Flower Kings e appunto gli Änglagård. Totalmente sconosciuti alla maggior parte degli amanti del Progressive Metal, questi ultimi sono entrati da subito nel cuore degli appassionati del Rock dei Settanta, per le loro venature Dark, gli intervalli tipicamente Folk, tratti con sapienza dalla tradizione scandinava e dagli insegnamenti di Jethro Tull, Yes o King Crimson, spaziando anche sulle parti sinfoniche degli Emerson Lake & Palmer.
La prima pubblicazione, Hybris, risale al 1992 e riassume tutte queste caratteristiche nelle quattro possenti canzoni in cui è strutturato: si presenta come un album dalle ampie strumentazioni, con organi, flauti e percussioni trascinanti, dalle tracce diverse nella conformazione poiché composte da musicisti esperti e capaci di costruire frasi complesse giocando sui tempi dispari. Hybris può perciò essere considerato un master-piece dell’epoca di massimo splendore del Progressive, gli anni Settanta, pur essendo stato concepito relativamente tardi.

La maestosa Jordrok, della durata di undici minuti, apre l’opera con un pianoforte malinconico al quale si aggiungono parti corali, presto raggiunte dall’organo e dalle chitarre, rapidi e improvvisi nei loro tortuosi e intricati riffs, spesso vicini alle produzioni dei nostrani Banco del Mutuo Soccorso: il brano è un continuo alternarsi di sezioni di distensione sonora ad altre più incisive ed aggressive, tutte disegnate dallo strumento portante, l’organo, leggero nelle prime e contorto nelle riprese; non mancano i riferimenti a temi medievali o folkloristici, in cui un flauto suonato alla Ian Anderson delinea motivi collegabili al celebre Thick as a Brick.
Questo avviene anche all’inizio del secondo pezzo, l’atmosferico e cupo Vandringar i Vilsenhet, un I Talk to the Wind (King Crimson) mesto e inquietante, nel quale l’organo guida sempre gli altri strumenti acustici verso la grande apertura sonora centrale: finalmente emerge un cantato, che scompare e riappare, intervallato a riffs simili a quelli del precedente brano.

Ifran Klarhet Till Klarhet assume invece un tono quasi scherzoso, presto abbandonato per far prendere alla canzone un alone rilassante e melodico: nelle sezioni bizzarre e alquanto ridicole si riesce a notare la forte influenza dei Kaipa, altra formazione chiave per comprendere a fondo il Rock/Metal Progressivo svedese.
Più composta e raffinata è Kung Bore, disegnata dagli arpeggi di chitarra e di pianoforte che sfociano in un motivo originale e appassionante, senza mai risultare discostanti o disomogenei con il contesto della traccia, abbastanza riflessivo e misterioso, come la voce di Tord Lindman e i come i passaggi Jazz centrali.

Insomma Hybris rappresenta un viaggio emozionante nelle sonorità di collegamento tra passato e presente, tra antico e moderno, tra Rock Progressivo, Dark e Folk di elevata fattura. Non viene solo mostrata la tecnica dei musicisti, ma attraverso le quattro tracce di cui si compone, riesce ad evidenziare l’enorme abilità di song-writing da parte del sestetto svedese. Hybris è una delle opere più complete Progressive degli anni ’90 e questo fatto è testimoniato sia dai soavi intervalli acustici sia dalle partiture d’organo, ormai non spogliate completamente come nel Neo Prog, ma dotate di una propria anima, che le fa risaltare come strumento portante dell’intera pubblicazione. Gli amanti del timbro del Mellotrom saranno pienamente soddisfatti dell’acquisto, poiché gli Änglagård sono stati capace di eguagliare i grandi capolavori degli anni ’70, come Ys (Il Balletto di Bronzo) e Tubular Bells (Mike Oldfield), pur conferendo colori musicali profondamente diversi.

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