Voto: 
9.8 / 10
Autore: 
Iacopo Fonte
Etichetta: 
Peaceville Records
Anno: 
1998
Line-Up: 

- Vincent Cavanagh - voce, chitarra
- Duncan Patterson - basso
- Daniel Cavanagh - chitarra
- Shaun Steels - batterua


Tracklist: 

1. Shroud of False
2. Fragile Dreams
3. Empty
4. Lost Control
5. re-connect
6. Inner Silence
7. Alternative 4
8. Regret
9. Feel
10.Destiny

Anathema

Alternative 4

Alternative 4 rappresenta il cuore della produzione degli Anathema. Siamo nel 1998 e ormai dopo le prime, appena percepibili ricerche elettroniche sperimentate in Eternity, la band conferma con questo full-length un sound nuovo, più evanescente, per l’appunto alternativo. Le differenze più evidenti riguardano il vocal che è ora solo ed esclusivamente in clean. L’utilizzo di tastiera poi è dominante, proprio come viene espresso dalla breve ma intensissima Shroud of False. Il riff di keyboard è onirico a tal punto che l’ascoltatore spazia attraverso memoria e immaginazione. Questa track annuncia poi il tono su cui si tiene tutto l’album. Si tratta di un’atmosfera malinconica, ma al contempo ricca di dolcezza e anche speranza. Un insieme che è privo dunque della durezza dei precedenti lavori. Si nota anche una produzione molto più curata, ricca di effetti, che trascura la dimensione opprimente del doom.

Dopo questo piccolo, ma significativo intro, si entra pienamente nell’ascolto con Fragile Dream, colosso anathemiano, che stupisce ogni volta l’ascoltatore per il tono sfumato, misterioso, squisitamente underground, che lancia un riffing molto arioso. Con la successiva Empty, la band di Liverpool mette in pratica una serie di soluzioni decisamente più rockeggianti, con parti dinamiche ed euforiche. Lost Control poi gioca su un tenore più riflessivo e grigio con un fragile pattern di piano e un basso che delinea in modo prezioso la melodia. Il vocal si differenzia bene dal sound strumentale e crea quasi una realtà a parte. Questa caratteristica è presente in gran parte dell’album e contribuisce a ricamare attorno ad esso un’atmosfera triste, scostante, per attirare direttamente l’attenzione sulle parole (“Life…has betrayed me once again”). I testi parlano sempre di amori spezzati, di solitudine, di riflessione sulla vita e sulla condizione dell’individuo.

La successiva re-connect attraversa invece sonorità decisamente più alternative con voci sussurrate e tempi molto dinamici. Nonostante ciò, la formazione inglese non va mai oltre un certo limite di sperimentazione, ma preferisce attenersi sempre a uno stile più definito e regolare. Lo scopo di questo mood è ben comprensibile in Inner Silence; l’ascoltatore deve essere spinto alla riflessione da un’atmosfera molto ricca emotivamente, emozionante e triste, che non cerca quindi la complessità sonora, ma una semplicità il più possibile diretta.
Con la settima song si ascolta un altro capolavoro degli Anathema. La title-track, Alternative 4, come tutte le altre degli album della band, concentra in sé le caratteristiche dell’album. In sottofondo si alzano dei cori evanescenti funebri, scanditi da una batteria ciclica che suscita ansia e disagio nell’ascoltatore. E’ un’atmosfera che si potrebbe definire distopica; si raggiunge il culmine della tensione emotiva con un vocal surreale.

Dopo aver raggiunto un alto livello di tragicità, l’ottava track, Regret, proseguendo sempre su un tenore cupo, triste, produce invece rilassamento. Sono canzoni di grande qualità, atmosferiche, quasi da soundtrack (“There’s no escape from this fear, regret, loneliness”). Le lyrics sono sempre ricche di sensazioni, colori, emozioni, speranza, dolori e la loro elaborazione non rimanda solo a una mente, ma a tutti i componenti della band, da Vincent a Daniel Cavanagh e a Duncan Patterson. “Trying to forget tomorrow and all that’s happened” così inizia Feel che introduce un altro tema caro agli Anathema, quello del tempo e della memoria. La delicatezza dello stile del combo è testimoniata proprio dalla perfetta fusione dei testi con il sound che in ogni singolo riff sembra essere stato congeniato apposta per le lyrics.
A chiudere questo prezioso lavoro sta infine Destiny. E’ questo un ulteriore capolavoro per la band il quale sviluppa i toni della precedente Lost Control. Ora grazie a un effetto di tastiera pizzicato e dolcissimo, il vocal, caldo e avvolgente, immobilizza l’ascoltatore in una dimensione dormiente ai limiti del tempo (“Into infinity, Frozen memory”).

Le dieci tracks totali sono squisite, di una delicatezza rara. Significano certo un distacco deciso dal precedente sound della band, ma d’altra parte anche una capacità di approfondire le soluzioni sonore in direzioni molteplici. E’ un cambiamento importantissimo per gli Anathema che abbandonano definitivamente atmosfere pienamente metal e confermano invece una produzione atmosferica che è difficile da definire entro i limiti di un preciso genere musicale.

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