Voto: 
4.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Aural
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Marta Innocenti - voce
- Alex Guadagnoli - chitarra, voce
- Andrea Zanetti - basso
- Luca Canali - batteria


Tracklist: 


1. Lethal
2. Target
3. The Reason You Can’t Sleep
4. See Me Again
5. Make A Sense
6. Along The Way
7. Shove
8. Signs Of Living
9. Hangin’ In The Air
10. Ride On Liars
11. To The Core
12. Surrounded

Addiction Crew

Lethal

Cambiare etichetta e rivoluzionare la line-up sono molto spesso premesse ottimali per produrre un lavoro più che valido: gli Addiction Crew sono, per l’appunto, l’eccezione che conferma la regola. A onor del vero quanto anticipato finora non è del tutto esatto: è verissimo e assolutamente inatteso il passaggio dall’imponente Earache Records (incapace, a detta della band, di valorizzare al meglio il loro potenziale artistico) alla più attenta Aural, ma, nel caso della formazione, è più corretto parlare di ridimensionamento, dato dal clamoroso abbandono del tutt’altro che indispensabile vocalist/screamer Yuri Bianchi. A tutto questo va, infine, aggiunta la scelta di affidarsi ad un nuovo, secondo (oltre all’imprescindibile Alex Guadagnoli, già chitarrista della band), produttore: l’emergente britannico James Dunkley, già al lavoro coi Soil.

Lethal
si presenta, quindi, come un album per molti versi definitivo, in quanto, trascurando l’ingresso di Marta dopo Doubt the dosage e la seguente uscita di Yuri dopo Break in life, si tratta del terzo full length firmato Addiction Crew, ovvero l’album della piena maturità: peccato che, pur con tutta la buona volontà, non sembri proprio. Inoltre, in tutte le interviste rilasciate a quotidiani, riviste o siti internet, i membri del combo bolognese hanno sempre tenuto a ribadire che quest’ultimo lavoro rappresenta un solidissimo ritorno alle origini più aggressive e metalliche della loro carriera, sconfessando di fatto la natura più easy-listening e nu-metal del precedente Break in life (2003); allo stesso tempo, hanno sempre manifestato il più categorico disappunto nei confronti dell’essere troppo spesso frettolosamente etichettati come gruppo nu goth, per lo più in base alla sola presenza di una vocalist femminile (e indubbiamente attraente) come l’imolese Marta Innocenti, esigendo che sia esclusivamente la loro proposta musicale a fare da unico giudice delle loro fatiche. Peccato che la loro stessa produzione discografica trovi proprio in Lethal la più efficace smentita a tutti questi rimbrotti: è certamente vero che non si può non storcere il naso di fronte al termine goth (effettivamente, se avessero un frontman anziché una frontwoman, a nessuno verrebbe mai in mente di classificare gli Addiction Crew in questo pur ampio genere), ma, considerato l’uso massiccio della strumentazione elettronica (a titolo esemplificativo si ascolti l’intro di Target), tenuto conto della presenza, seppur in dosi misurate, di strofe rap/hip hop (su tutte l’interessante To the core, nella quale persino Marta si cala nel ruolo temporaneo di rapper), verificata la pressoché costante impostazione strutturale data alle tracce (tralasciando le linee di drumming, alle volte indistinguibili l’una dall’altra già nelle sezioni introduttive dei pezzi), la collocazione nu-metal calza loro veramente a pennello.

Tuttavia, far parte di un determinato genere musicale non significa affatto essere sufficientemente adeguati a produrne lavori in grado di valorizzarne le peculiarità: Lethal, nel nostro specifico caso, è sì perfetto rappresentante del nu-metal, ma ne estremizza e al contempo banalizza tutte le linee guida sopra indicate con una pochezza di idee e di inventiva (non mi azzardo a parlare di originalità) davvero estenuante. Non sono le qualità tecniche a mancare (sebbene siano rarissime le occasioni in cui quest’ultime possano realmente esprimersi), né tantomeno la facilità di ascolto (anzi, forse quest’ultima è in assoluto uno dei maggiori pregi di questo full length): il difetto essenziale del disco, che sgretola in partenza tutte le spade che si potrebbero spezzare in suo favore, è una piattezza diffusa e generalizzata che, se da un lato finisce col connotare profondamente tutti i pezzi dello stile Addiction Crew, dall’altro non lo fa certamente in maniera positiva, in quanto il suo ascolto non lesina affatto noia e attacchi di sonnolenza. Per verificare quanto si sta dicendo è sufficiente ascoltare una volta di filato tutte le 12 tracce: nessuna riesce ad esaltare, a sorprendere, a far sobbalzare, ma tutte quante scivolano via dal lettore con una facilità ed una leggerezza davvero esecrabili.

Ovviamente non mancano alcuni momenti ben riusciti: la titletrack introduttiva è un piccolo compendio nu-metallico (manca giusto un inserto rapcore e sarebbe un Bignami pressoché completo); Make a sense, per quanto palesemente ruffiana, si distingue per un buon uso delle tastiere e delle modalità acustiche nelle chitarre (essenzialmente nelle sezioni di intro e outro) e per un inciso pulitissimo, cantato finalmente dalla sola vocalist (ugualmente rimarchevoli le interazioni duettali fra quest’ultima e la voce maschile); Hangin’ in the air è una malinconica (più che altro nelle intenzioni) ballad con un singolare bridge elettro-acustico che, per quanto assolutamente scontata, riserva pur sempre un discreto gradimento, anche se si sarebbe potuto evitare di inserire quella sciocca base hip-hop a metà del brano; To the core, infine, è un vago ritorno alle sonorità di Break in life, con strofe semi-rappate, chitarre distorte, atmosfere metalliche decisamente sporche e, in parecchi frangenti, quasi confusionarie. I restanti brani si situano invece, in un’ipotetica scala di valori, sul mediocre tendente al “malapena decoroso” e, nonostante l’esagerata brevità temporale (solamente 2 pezzi su 12 superano i 3 minuti e mezzo di durata), ripropongono le identiche linee melodiche (drammaticamente monotematica la sezione ritmica): citarne uno o l’altro non farebbe proprio alcuna differenza.

Il più cocente rammarico che si può provare a seguito di un più attento ascolto di Lethal è quello di rinvenire come l’evidente maturazione canora e interpretativa della singer Marta Innocenti non sia stata doverosamente accompagnata da un altrettanto considerevole crescita della band: la straripante versatilità della prima, perfettamente a suo agio sia su linee melodiche tenere e squillanti che alle prese con registri più graffianti e opachi, si infrange miseramente sulla già ampiamente illustrata ripetitività delle strutture ritmiche. Dalla Innocenti non possiamo certamente aspettarci quelle evoluzioni canore poderose e allo stesso tempo acute proprie delle cantanti di impostazione lirica, tuttavia i numerosi spunti che la sua prestazione vocale ha così notevolmente sviluppato (da sottolineare anche l’abilità di adattamento nei cambi di velocità del testo che, nonostante un inglese alle volte un po’ maccheronico, le consente di potersi concentrare al meglio sull’interpretazione) meriterebbero un supporto strumentale decisamente più vario e adeguato.

Per concludere, Lethal è un album più che dignitoso che certamente seminerà alle sue spalle sciami di sostenitori, in grado di saziarsi appieno della sua immediatezza, della sua finta potenza, delle (reali) doti vocali ed estetiche della frontwoman: troppo poco, però, per non essere dimenticato a breve come ogni grande occasione sprecata.


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