Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Genere: 
Etichetta: 
Autoproduzione
Anno: 
2004
Line-Up: 

- Mr. Purple - voce
- Mr. Black - chitarra
- Mr. White - basso
- Mr. Grey - batteria
- Mr. Pink - tastiera


Tracklist: 

1. Il Dolore
2. The Faceless One
3. Full Color Revelation
4. Northernstar
5. Rusted River
6. Sutra 100.9

17 Days

Recreating the World in Seventeen Days

Da Bergamo ci giunge una realtà alquanto diversa nella scena underground italiana, un gruppo che cerca di avvicinarsi il più possibile ad un Doom intriso di influenze Psichedeliche, Dark Progressive e Death, i 17 Days.
Recreating the World in Seventeen Days è il nome della loro prima uscita discografica, un album molto interessante sotto vari punti di vista, poiché tanti sono i collegamenti con stili musicali assai differenti: dagli spunti settantiani alla Black Sabbath e alla Black Widow, fino ad influssi più moderni legati a My Dying Bride o Officium Triste.

Massicci i riffs che caratterizzano ognuna delle sei tracce dell’album e la lentezza che pervade l’intera composizione non appare monotona o stancante in quanto la voce, penetrante nei suoi diversi timbri, si inserisce a sprazzi nei punti più azzeccati. Dall’introduzione atmosferica Il Dolore, inquietante e buia, in cui si odono cori medievali, rumori di tuoni in lontananza e la voce di Ungaretti che recita l’omonima poesia, si passa alla colossale The Faceless One, che si snoda in dieci minuti di riffs potenti e cadenzati. La registrazione è buona e mette in luce sia gli strumenti portanti, cioè chitarre, basso e batteria sia le spruzzate di tastiere sinfoniche di sottofondo.
Da evidenziare con particolare attenzione la voce del cantante Mr. Purple, che si adatta al contesto della canzone e riesce ad essere determinata e diretta nelle parti clean e quelle growl, senza peccare in espressività.
Nella sezione centrale del brano, il ritmo si spegne, gli organi da chiesa si arrestano, per lasciare spazio ad un intermezzo acustico di notevole rilievo, che permette all’ascoltatore di comprendere la qualità del song-writing raggiunto dalla band lombarda. Elementi che non sono per niente collegati al Doom proposto dalla formazione riescono a riconnettere le due parti del pezzo e le scale vorticose di pianoforte incastrano un livello Progressivo di ottima fattura.

Sulla scia del finale di The Faceless One ecco presentarsi anche Full Color Revelation, vicina al Rock settantiano per gli organi Hammond aggiunti qua e là, che, come gli assoli fugaci di chitarra, impreziosiscono il tessuto compositivo. Gli effetti tipicamente Sabbathiani perdurano per tutta la lunghezza della traccia e la voce del cantante non perde colpi, risultando sempre convincente e ottima nell’interpretazione.
Northenstar è invece il capitolo più estremo di questo Recreating the World in Seventeen Days, dotato di pura decadenza musicale alla My Dying Bride e Cathedral; la batteria di accompagnamento si libera in certe soluzioni in doppia cassa, unendo tocchi Death all’intera composizione.
Le conclusive Rusted River, in cui il timbro del clean è molto simile a quello di Aaron Stainthorpe (My Dying Bride) e Sutra 100.9 non sono al livello delle precedenti, poiché il sound è piuttosto confusionario rispetto alla struttura ordinata di canzoni come The Faceless One e Northernstar.
L’ultima Sutra 100.9 è però una specie di outro sempre cupa e desolata, il cui si distinguono solo note sparse di chitarra e la voce tormentata e carica di dolore, in pieno stile Doom.

Dopo la comparsa di formazioni italiane quali Thunderstorm e L’Impero delle Ombre, ecco che anche i 17 Days possono porre un frammento importante per cercare di raggiungere un successo nazionale ed estenderlo a livello europeo. Il primo album Recreating the World in Seventeen Days fa ben sperare per le uscite future e costituisce un buon esempio di Doom targato Italia.

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