Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Etichetta: 
Universal Republic
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Jesse Hasek - Voce
- Ryan "Tater" Johnson - Chitarra
- Matt Wantland - Chitarra
- Lewis "Big Lew" Cosby - Basso
- Brian Vodinh - Batteria

Tracklist: 

1. Actions & Motives (03:23)
2. Just Can't Win (03:35)
3. Beautiful (03:17)
4. 11:00 AM (Day Dreamer) (05:09)
5. Dying Youth (03:50)
6. Russian Roulette (03:49)
7. Focus (03:13)
8. Drug of Choice (03:38)
9. Picture Perfect (In Your Eyes) (06:20)
10. All Your Lies (03:46)
11. So Long, Good-bye (03:43)
12. Alabama (03:54)
13. Proud of You (5:51)

10 Years

Division

Gli americani 10 Years tornano alla carica, dopo tre anni dal debutto, con il loro secondo album Division (Universal, 2008).
La formazione è rimasta invariata, mentre la formula musicale si è trasformata sensibilmente, nel complesso levigandosi ed annacquandosi (e quindi peggiorando).

L'apertura del disco inganna, infilando di seguito quattro delle sei tracce degne di nota di tutto il lavoro: l'opener Actions & Motives (una sorta di incrocio tra A Perfect Circle e Jimmy Eat World, con un chorus distorto ma dal retrogusto decadente), la più che buona Just Can't Win (che avrebbe potuto figurare senza problemi sul debut dei Chevelle), il singolo di lancio Beautiful (una ballad malinconica e vibrante che coniuga melodie alla A Perfect Circle con suggestive chitarre post-grunge che sembrano uscite dal primo disco dei Crossfade), e 11:00 AM (Daydreamer), che può ancora competere in melodie (specie nelle parti aggressive) e suggestioni (l'ottima coda finale di chitarra e pianoforte) con i pezzi precedenti, seppur mezzo gradino sotto.

Si prosegue quindi l'ascolto con aspettative positive, eppure le speranze vengono infrante da una parabola quasi totalmente in discesa.
La voce di Hasek aveva stupito nell'opener Action & Motives, mostrando una nuova dimensione canora (se nel disco di debutto sembrava solamente un imitatore di Maynard James Keenan, ora si limita ad imitarlo a sprazzi, preferendo degli acuti dal timbro a metà tra la voce di Robert Smith e quella di Jim Adkins), ma quella novità vocale torna poi nel disco in una miriade di salse identiche, così come si ripetono senza idee anche le strutture dei pezzi e le melodie chitarristiche, finendo per stancare e irritare (in Russian Roulette, Drug of Choice e Alabama pare di ascoltare i The Cure che suonano emo-core diluito, e non a caso trattasi dei tre pezzi più scadenti del lotto). Qualche leggera variazione a questa stanca formula è presente in Focus (scritta assieme a Dean DeLeo, ex chitarra degli Stone Temple Pilots), che tra percussioni orientali e vocalità catchy suona come un plagio di Who Feels Love? degli Oasis (1999); al contrario Picture Perfect (In Your Eyes), scritta assieme al produttore Travis Wyrick (presente anche nei credits della precedente Beautiful), è un esperimento di alternative-rock tedioso e sbiadito, e So Long, Good-bye una banale e non coinvolgente ballad acustica sul tema dell'addio.

Dying Youth avrebbe invece potuto essere una buona ballad, cupa al punto giusto (come dimostra l'incipit), ma viene poi travolta e rovinata dall'arrivo del distorto e di una stanca litania emo-rock.
La qualità del disco viene risollevata con ancora solamente due pezzi: All Your Lies (finalmente con un chorus azzeccato e delle variazioni ritmiche e sonore, mentre le tracce appena precedenti sono affogate in staticità e mancanza di inventiva) e la conclusiva Proud of You, malinconica ballad guidata solo da voce, pianoforte ed effetti, con una coda che mostra ancora buone potenzialità emotive (mentre, al contrario, in quasi tutto il resto del disco è scomparsa la suggestione viscerale e profonda che animava le migliori tracce del debut, per abbracciare piuttosto un'estetica più simile all'emo, cosa davvero intollerabile; tanto più che siamo nel 2008, e tali virate stilistiche modaiole verso l'emo-pop sarebbe ora finissero per tutti).

Sei tracce ascoltabili su tredici non possono salvare il ritorno di una band che, nel disco precedente, aveva fatto mostra di potenzialità ben più interessanti.
Produzione (di Rick Parasher) pulitissima e annacquata, ovvero perfettamente in linea con il mood generale: altro rimpianto se confrontata con quella del primo disco (energetica e d'impatto, a cura di Josh Abraham).
 

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