Opeth
(Mikael Akerfeldt)
di: 
Edoardo Baldini, Lorenzo Iotti
31/05/2008



 

Esclusiva intervista per RockLine.it, che raggiunge a Milano il front-man degli Opeth, Mikael Akerfeldt, per parlare dell'imminente album Watershed, nono capitolo discografico della band svedese. Mikael si sofferma anche sulla sua carriera, raccontando sia le soddisfazioni di tutti questi anni, sia le difficoltà che il gruppo ha dovuto affrontare per rimanere a contatto con il panorama Rock attuale...



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E.B. - Ciao Mikael e grazie per averci concesso quest’esclusiva! Allora, cominciamo a parlare del nuovo album Watershed: come al solito è molto valido, ma ho notato un approccio differente in fase di composizione; cosa puoi dirci?

Mikael - Beh, più o meno ho lavorato nel solito modo, ma la differenza sostanziale è stata di aver lavorato con Pro Tools; ho sempre lavorato da solo a casa mia per comporre gli album precedenti, ma avevo a disposizione solo apparecchiature economiche. In questo modo la composizione è stata molto più semplice, soprattutto per quanto riguarda la drum machine, e ho avuto più tempo a disposizione per lavorare su ogni singola canzone; con questo nuovo studio ho potuto dedicarmi molte giornate consecutive su una singola canzone, e quindi è stato molto più semplice completare la composizione dell’album. Alla fine dunque ho registrato da solo il primo demo dell’album, e poi l’abbiamo registrato in studio.

E.B. - Hai prodotto tu Watershed, vero?

Mikael - Sì, anche se mi ha molto aiutato lavorare con Jens (Borgen, co-produttore di Watershed, N.d.R.), che mi ha dato molti giudizi importanti sulle varie registrazioni per scegliere quali fossero le migliori da tenere. Quindi, posso dire che l’album l’abbiamo prodotto insieme noi due.

E.B. - Parliamo del titolo dell’album; è connesso con l’attuale situazione della band?

Mikael - In un certo modo sì, Watershed (lett. Spartiacque, N.d.R.) indica un evento importante che ti porta ad un cambiamento...mi sembrava molto appropriato come titolo, anche un pochino ingenuo. Mi piaceva molto come parola, e si adattava bene sia con il periodo che stiamo vivendo sia con il concept espresso nei testi.

E.B. - Ecco, cosa ci puoi dire sui testi delle canzoni?

Mikael - Questa volta non ho intenzione di parlarne; sono troppo personali, e troppo importanti per me, quindi non le stamperemo nemmeno nel booklet. Anzi, ci saranno, ma saranno “in codice”, quindi la gente avrà da lavorarci su! (ride, N.d.R.)

L.I. - Proprio ieri ho visto l’artwork, cosa ci puoi dire su di esso? Come si collega con la musica?

Mikael - Beh come avrete visto è molto oscuro, come al solito del resto. Per quanto riguarda la musica penso ci fossero moltissimi artwork che si sarebbero ben adattati ad essa, ma ho pensato a qualcosa che esprimesse un’immagine di completo isolamento. Mi piaciono soprattutto le immagini nel booklet della special edition, ad esempio una che raggigura un uomo che alza un bicchiere di vino per brindare, e ha di fronte a sè una sedia vuota...credo renda molto bene questo sentimento di mancanza.

L.I. - Come lavori con Travis Smith?

Mikael - E’ molto bello lavorare con lui, è molto veloce, basta che gli dai un’idea e subito comincia a lavorarci sopra e tirare fuori qualcosa. Rende tutto molto facile, è un genio...posso uscire con le idee più strane e lui riesce subito a svilupparle!

E.B. - Nella prima canzone, Coil, per la prima volta nella vostra storia appare la voce femminile; puoi dirci il perchè di questa scelta?

Mikael - Beh, in passato avevo detto che non avrei mai avuto voci femminili...ma del resto avevo anche detto che non avremmo mai avuto delle tastiere, haha! Diciamo che ho lavorato nell’interesse della canzone, senza avere da subito l’idea di inserire la voce femminile; avevo questa canzone, e sentivo che c’era qualcosa che mancava quando la cantavo io...poi ho sentito per caso la voce di Nathalie Lorichs in una registrazione che aveva fatto con Ax Ludlum, e ho deciso di usarla per Coil. Amo la sua voce, ha solo 21 anni ma ha una voce davvero matura, piena di passione, davvero meravigliosa; non appena l’ho sentita mi è venuto in mente che avrei potuto usarla per questa canzone.

E.B. - Parliamo dell’inizio della tua carriera; come hai cominciato a suonare e a comporre?

Mikael - Ho cominciato a suonare la chitarra con un libro di accordi di mia nonna, c’erano su alcune canzoni come House Of The Rising Sun, canzoni popolari svedesi e così via. Mi piaceva davvero molto, e ho cominciato a sognare di diventare un chitarrista serio; per un po’ sono andato avanti a suonare la chitarra acustica, poi ho cominciato a perdere interesse e ho preso la mia prima chitarra elettrica, una Les Pauls non originale, pagata qualcosa come 40 euro! Avevo undici o dodici anni...ho cominciato ad imparare i primi riff, Smoke On The Water e così via, e pian piano ho cominciato a scrivere qualche canzone, all’inizio erano davvero molto semplici. Poi ho incontrato gli altri ragazzi e abbiamo messo su gli Opeth, e così abbiamo cominciato a suonare.

L.I. - Avete da poco pubblicato il vostro ultimo live album The Roundhouse Tapes; perchè avete deciso di registrare un’altro live dopo Lamentations?

Mikael - Beh, come saprai in Lamentations avevamo delle restrizioni per i pezzi e abbiamo potuto solo suonare brani pubblicati dalla Music For Nations, quindi tratti da Damnation, Deliverance e Blackwater Park; quindi non era veramente rappresentativo di un nostro concerto tipico. Già da allora pensavamo di registrare un live album più adeguato, alla fine ci siamo decisi a farlo e abbiamo trovato posto al Roundhouse a Londra, è un posto davvero leggendario per suonare.

L.I. - Com’è stato suonare sul palco sapendo che dovevate essere il più perfetti possibile?

Mikael - Guarda, ti dirò che non è stato uno show fantastico, ne abbiamo fatti molti di migliori. Io avevo problemi alla gola e ho dovuto chiamare un dottore per prendere degli steroidi prima di cantare, è un classico che succeda....in ogni caso è stata una bella esperienza, anche se eravamo ben lontani del meglio. Il giorno dopo abbiamo fatto uno show fantastico al 100%, quello al Roundhouse è venuto così e così, ma mi sembra che dopotutto suoni molto bene quando lo si ascolta. Certo si è molto nervosi quando di ha una telecamera davanti alla faccia, e l’atmosfera è meno intima, ma è venuto fuori un bel lavoro.

L.I. - Parliamo di un altro dei recenti avvenimenti negli Opeth, l’arrivo di Frederick. Come l’hai trovato, e qual è attualmente il tuo rapporto con lui?

Mikael - Siamo amici da un paio di anni, non ci frequentavamo spesso ma ci bevevo volentieri qualche birra insieme quando ci trovavamo ad un festival. Sapevo che fosse un gran chitarrista, la prima volta l’ho visto in un pub in Svezia, mentre suonava cover di King Diamond, Judas Priest e così via, e mi è piaciuto molto come suonava. Dunque quando è successo quel problema con Peter è stato il primo e l’unico che ho chiamato, sapevo che era appena uscito dagli Arch Enemy e quindi era perfetto. Gli ho chiesto semplicemente se voleva lavorare con noi, e lui ha detto sì, certo! Ora siamo davvero molto amici.

L.I. - Ho visto che ti ha anche aiutato a comporre una canzone, Porcelain Heart...

Mikael - Sì ecco, mi ha chiamato dicendo che aveva un riff da farmi sentire, e mi sono piaciuti subito, quindi l’abbiamo usato per cominciare la canzone, e poi siamo andati avanti a scriverla insieme. Mi piace molto comporre insieme ad altre persone, come facevo con Peter nei primi tempi; allora scrivevamo insieme le canzoni, uno proponeva e l’altro dava la sua opinione sulle armonie...ma dopotutto non è mai stata una vera e propria cooperazione, più che altro lui mi dava alcune idee. Il fatto è che facevo fatica a concentrarmi con qualcun altro nella stanza, e abbiamo smesso di comporre con insieme e lui ha smesso del tutto di scrivere canzoni, circa dieci o undici anni fa. Quindi è stato bello tornare ad avere un po’ di idee da qualcun altro, come già era successo con Per (Wilberg, tastierista, N.d.R.) per The Grand Conjuration; insomma, mi piace avere qualcuno che mi aiuta, c’è meno lavoro da fare, ma la cosa migliore per me rimane sempre scrivere le mie canzoni da solo.

E.B. - Confrontando l’ultimo periodo con la Roadrunner, con il primo periodo di Morningrise e Orchid, si può dire che siate diventati una celebrità nel rock; qual’è il segreto del vostro successo?

Mikael - Ahah! E’ piuttosto difficile da spiegare...un giorno ti svegli e ti rendi conto di essere entrato nel business! Sai, questa band l’ho creata dal nulla, anzi non l’ho nemmeno formata, mi sono unito dopo in realtà...posso semplicemente dire di aver scritto delle canzoni, penso che tutti si riconduca all’amore per la musica, e alla forza di osare seguire i propri sogni. Però devo dire che in certi momenti è davvero dura, e mi capita di pensare di smettere di fare tutto questo...non mi vedo affatto come una celebrità, sono solo un musicista, e amo solo la musica. L’amore per la musica, e il piacere di scrivere canzoni, è stato così forte in me che non mi sono mai immaginato a fare un lavoro normale...

E.B. - Ecco, qual è stato il miglior periodo nella tua carriera e quale il peggiore?

Mikael - Guarda, posso dirti che ci sono moltissime cose su questa band che la gente non sa, e che la gente non saprà mai. Abbiamo avuto molti anni davvero di merda, e a dire la verità non riesco a ricordarmi di aver avuto un periodo davvero molto molto bello (ride, N.d.R.)...però posso dire che nel periodo di Still Life eravamo una band realizzata...eravamo una band nuova, Anders se ne era andato e Johan avevamo deciso di farlo uscire...eravamo giovani e avevamo tanta voglia di suonare, e abbiamo fatto un bell’album, e con quello è arrivato il nuovo contratto. Sai, in quel periodo non avevo proprio soldi, ero davvero povero, non avevo un posto dove vivere...alla fine ho trovato un appartamento in affitto, ma non avevo il telefono, e dovevo mettere via le monetine per comprarmi da mangiare e per prendere dei dischi! Però mi capita di rimpiangere quei giorni, era un bel periodo... Poi è venuto il business, e quindi sentimenti ambivalenti per cose come queste, interviste, promozione e così via; vuol dire dover andare via dalla mia famiglia, e non avere tempo per dedicarmi alla mia musica. Insomma questi giorni sono abbastanza felici, ma ho anche i miei impegni di padre a casa, e questa è la cosa più importante per me al momento, vorrei poter essere sempre lì; mia moglie non mi metterebbe mai davanti ad una scelta tra la band e la famiglia, ma per me rimane una cosa davvero importante, quindi voglio suonare in giro per il mondo finchè posso, e in futuro magari smettere di girare e dedicarmi solo alla mia musica in privato.

L.I. - Tornando ancora ai concerti; sul palco sei sempre molto sciolto e ti lasci andare a commenti e battutine; come ti trovi nei live?

Mikael - Ahah è vero, sono abbastanza originale per quello...beh devo dire che il pubblico prende questa cosa in modi differenti, alcuni pensano che sia positiva perchè distoglie un po’ dalla serietà della nostra musica, altri pensano che dovremmo rimanere seri al 100%, ma a me non sembra davvero il caso! Mi piace molto suonare live, e mi piace se riesco a suonare alla perfezione, ed esprimere al meglio le emozioni della mia musica al pubblico che l’ascolta. Semplicemente mi sono trovato un giorno a fare questi commenti...beh non sono certo il tipo che si mette sul palco a urlare “Fuck you let’s go sucking people fucking rock” (ride, N.d.R.)...davvero non lo sopporto! Io voglio parlare con la gente come adesso sto parlando con voi, e dire quello che mi passa per la testa; poi mi piace quando la gente mi odia perchè parlo tra una canzone e l’altra! Non è che voglio che la gente venga a vederci perchè suoniamo e perchè dico qualche stupidata tra un pezzo e l’altro, l’importante è la musica, ma mi piace avere un rapporto personale con il pubblico, mi sento molto più a mio agio.

E.B. - Grazie ancora per la tua gentilezza. Ti auguriamo un futuro tutto in discesa con gli Opeth e ci vediamo all’Evolution Festival!

Mikael - Grazie a voi e a presto, RockLine.it!

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