Jon Oliva's Pain
(Jon Oliva)
di: 
Annarosa Moroni
23/03/2008



 

A pochi giorni dall'uscita del nuovo album del suo progetto solista, Global Warning, Jon Oliva ci concede un'intervista telefonica in cui parla del nuovo cd, della delusione datagli dal pubblico americano e delle sorti del capitolo Savatage, a cui si sono sostituiti i Trans-Siberian Orchestra....

A. M. Prima di tutto, è un onore per me Jon poterti intervistare. Cominciamo parlando del tuo rapporto con il nostro Paese, visto che i tuoi nonni erano italiani. Allora, cosa ne pensi dell’Italia?

Jon - Mi piace molto, le persone sono molto simpatiche, ho un paio di buoni amici in Italia e anche due dei ragazzi che lavorano nella mia crew sono italiani. E’ davvero un bel posto, con un ottimo vino!

A. M. Con quali parole presenteresti te stesso e la tua carriera al mondo di oggi?

Jon - Ah questa si che è una bella domanda! (ride, N.d.R.) Non saprei, non mi è mai stata chiesta una cosa simile. Sono sempre stato il tipo di persona che dice “Prendetemi come sono”, sono sempre stato con i piedi per terra. Sono quel che sono senza fingere, giudicatemi per come mi relaziono con gli altri. Quindi credo che mi presenterei come un bravo ragazzo, sempre meglio che essere considerati degli stronzi!

A. M. Puoi essere tranquillamente annoverato tra i “veterani” della musica. Cosa ne pensi della scena musicale attuale, con tutte queste nuove band che si fanno conoscere attraverso internet?

Jon - Alcune di queste band sono valide e offrono qualcosa di positivo, ma altre sono altrettanto incompetenti quindi ritengo sia soltanto una questione di gusti. L’unica cosa che secondo me manca davvero alla scena musicale odierna è proprio l’”essere musicisti”. Oramai quasi tutti cercano le scorciatoie per imparare a suonare, senza sapere realmente quello che stanno facendo. Potrebbe sembrare strano, anche perché io appartengo alla vecchia scuola per quanto riguarda questo discorso, ma sono una persona che crede nel duro lavoro, nello studio e nella pratica del proprio strumento, non nell’apprendimento frettoloso finalizzato soltanto a poter dire “Suono in una band” e sentirsi fighi. Sento la mancanza dei grandi chitarristi e dei grandi cantanti, delle band storiche. Oramai tutti si credono il nuovo Freddie Mercury o Van Halen, ma non c’è più nessuno che gli possa davvero assomigliare. E’ finita l’epoca delle rockstars, non ci sono più i ragazzi che davvero si meritavano di essere chiamati così. Non fraintendetemi, ci sono alcune ottime band in circolazione, ma quello che mi manca davvero è la qualità. Non c’è più qualità, anche per il fatto che le band di oggi impiegano molto meno tempo a lavorare su un album di quanto si facesse prima. Ora i budget richiesti sono molto inferiori, chiunque ha un mini studio di registrazione a casa e tutti cercano di spendere il meno possibile rimettendoci ovviamente in qualità. Gli album vengono completati in 3 o 4 settimane invece di 6 mesi. Ma comunque non mi sento di giudicare nessuno, questo è solo quello che penso, se queste persone si divertono suonando e fanno divertire chi li ascolta allora che Dio li benedica! Ovviamente se vendono, è perché a qualcuno piacciono. I tempi sono cambiati.

A. M. Parliamo un po’ del tuo progetto Jon Oliva’s Pain, come hai cominciato?

Jon - Ho cominciato quando mi sono reso conto che i Savatage non avrebbero più concluso nulla e ho dovuto fare una scelta: aspettare per vedere se c’era ancora una possibilità per me di lavorare con i ragazzi dei Savatage o prendere il tutto nelle mie mani e andare avanti. Ho optato per la seconda possibilità, e alla fine la musica di Jon Oliva's Pain non è molto diversa da quella dei Savatage (ancora presenti con il nome di Trans-Siberian Orchestra), ovviamente con un nome diverso. E’ stata una mia decisione, non volevo più aspettare. Dopo Poets And Mad Men ho aspettato per quasi quattro anni che i Savatage facessero un altro album, ma ogni volta c’era qualcosa che non andava soprattutto perché cercavamo di gestire contemporaneamente due band con gli stessi componenti e alla fine si è dovuta sacrificare una delle due. Sfortunatamente sono stati i Savatage, ma fa tutto parte del mestiere che facciamo. Devi scegliere ciò con cui puoi avere successo, con cui puoi pagare le bollette e fare un po’ di soldi e i Trans-Siberian Orchestra stavano guadagnando dieci volte tanto quello che guadagnavano i Savatage. Abbiamo dovuto scegliere la band che ci avrebbe permesso di pagare le bollette e prenderci cura delle nostre famiglie, i Savatage sono quindi stati messi da parte. Se avessi avuto vent’anni avrei potuto aspettare e vedere cosa sarebbe successo, ma di anni ne ho quaranta e non mi va più di aspettare quindi ho preso la mia decisione, ho fondato una nuova band, i Jon Oliva's Pain, che gestisco come gestivo i Savatage quando ancora c’era mio fratello.

A. M. Secondo te perché i Savatage hanno smesso di fare musica assieme?

Jon - A dir la verità i Savatage non hanno mai smesso di fare musica, hanno solo cambiato nome. I Savatage sono ancora una band, solo che si chiamano Trans-Siberian Orchestra, basta guardare la line-up di un qualsiasi cd dei TSO. Anzi, direi che ora le cose stanno andando decisamente bene. Il nome Savatage non era più ben visto qui in America, né le radio né le tv avrebbero più passato un nostro pezzo perché ci collegavano ancora alla heavy-metal band degli anni ’80. Sfortunatamente è così che funzionano qui le cose, il pubblico americano non ha la fedeltà del pubblico europeo. So che per voi può risultare strano proprio perché non siete così, non vi importa in che anno si è formata la band, se vi piace, continua a piacervi. Mentre qui in America ogni 5 anni bisogna cambiare, è così che vogliono far andare le cose. Band che 5 anni fa erano famosissime, ora non lo sono più, quindi capisci che ci siamo trovati con le spalle al muro. Chiunque al nostro posto avrebbe fatto la nostra scelta. Mettiamola così: se tu facessi un lavoro per cui vieni pagata 8$ all’ora e ti venisse offerto lo stesso lavoro, ma per 10$, tu cosa faresti?

A. M. Quindi, se alla fine i Savatage hanno solamente cambiato nome, non ti ha dato fastidio venire a sapere che con un solo singolo i TSO avevano guadagnato molto più di quanto i Savatage avessero mai fatto?

Jon - No non mi ha dato fastidio perché comunque noi sappiamo di non essere cambiati, sappiamo di essere sempre la stessa band. Certo, ci avrebbe fatto molto piacere se fosse successo con il nome con cui avevamo cominciato, non avremmo mai voluto cambiarlo. Siamo rimasti fedeli ai nostri principi e alla nostra musica per più di vent’anni, ma ad un certo punto, quando abbiamo toccato il fondo potevamo andare ogniuno per la propria strada o cambiare nome e cercare di arrivare a fine mese. Se non l’avessimo fatto probabilmente ora lavoreremmo per Burger King. Abbiamo preso l’unica decisione logica per sopravvivere, o la band si sarebbe sciolta. Recentemente molte persone si sono dette dispiaciute per la “fine” dei Savatage, ma dov’erano queste persone negli anni ’90, quando avevamo veramente bisogno del loro supporto? Nessuno ci è stato vicino, tutti ci hanno voltato le spalle. Invece devo ringraziare un piccolo gruppo di fan dei Jon Oliva's Pain che ci sono sempre rimasti fedeli, a loro va tutto il mio affetto, ma sono comunque molto pochi. I Savatage erano molto di più una band underground che un “big name”, e dopo vent’anni che cercavamo di trasformarla nel contrario abbiamo semplicemente finito i soldi. Gli ultimi tour erano completamente a spese nostre perché nessuno veniva più a vederci. Posso solo ringraziare chi c’è sempre stato, ma ho anche una famiglia da mantenere e non credo che cambiare un nome sia una cosa così tragica. I Savatage sono ancora insieme, solo si chiamano Trans-Siberian Orchestra e quello che faccio con i Jon Oliva's Pain è continuare sulla stessa strada che avevo intrepreso con mio fratello.

A. M. Parliamo un po’ del tuo nuovo album, Global Warning. La maggior parte degli album firmati Savatage erano dei concept, si può dire la stessa cosa per Global Warning?

Jon - No, solo le prime tre canzoni potrebbero essere definite un concept perché sono collegate tra loro ed è da queste che ho preso il tema principale dell’album. Il disco parla di argomenti per tutti i giorni: i computer, la religione, il terrorismo, la guerra, la situazione mondiale. I temi si ripetono, ma non è un concept, però le prime tre canzoni possono essere interpretate come un mini-medley.

A. M. Lo definiresti un album più sinfonico o heavy?

Jon - Penso sia più sinfonico, anche se ho incluso un paio di canzoni più heavy. Comunque l’album comprende più generi, ci sono strumenti e stili diversi. Direi che c’è un po’ di tutto, quindi non devi essere un fan dell’heavy metal perché ti piaccia, basta solo che ti piaccia la musica e se un paio di canzoni non ti aggradano, basta mandarle avanti. Lo definirei un album molto versatile, ed è proprio questo che mi piace.

A. M. C’è una canzone a cui ti senti particolarmente legato? Perché?

Jon - Firefly, perché è quella su cui ho maggiormente lavorato e di cui mi piace molto il messaggio. Parla di due giovani soldati sul campo di battaglia che alla fine della canzone scoprono di essere uguali, anche se avrebbero dovuto spararsi a vicenda. Per registrarla abbiamo voluto che suonassero dei veri archi e dei veri corni. E’ stata la traccia più difficile, sicuramente, ma quando ora la ascolto rimango stupito. Il pezzo in screaming alla fine è stato probabilmente una delle performances più difficoltose di tutta la mia carriera, ma anche per questo è una delle parti dell’album che preferisco.

A. M. Nel tuo ultimo album era inclusa una canzone, Pray For You Now, a cui hanno collaborato anche membri della tua famiglia.

Jon - Sì, mio fratello maggiore, mio nipote e mio padre. L’ho scritta per mio fratello, come Ode To G (presente in Global Warning, N.d.R.) che è stata scritta per un nostro amico che è recentemente mancato. Era parte della nostra live crew e coproduttore ed è morto una settimana prima che iniziassero le registrazioni. Si chiamava Greg, ma noi lo chiamavamo G. Alla fine il testo di Ode To G può essere riferito a chiunque abbia perso un amico o una persona cara.

A. M. Quanto influisce il ricordo di tuo fratello nella tua musica?

Jon - E’ molto importante, ho ancora dei suoi appunti che integro con quello che scrivo io per comporre. Mi è capitato di dover modernizzare qualcosa, come i testi, ma almeno sei delle nuove canzoni vedono in un certo senso la sua collaborazione.

A. M. Che progetti hai per il futuro? Ti dedicherai completamente ai Jon Oliva's Pain e Trans-Siberian Orchestra?

Jon - Si continuerò a fare quello che sto facendo ora. Andrò avanti a lavorare con i ragazzi dei Savatage, perché siamo ancora molto legati, e con i Jon Oliva's Pain per dare libero sfogo alla musica mia e di mio fratello. Effetivamente per me i Jon Oliva's Pain sono ancora più i Savatage di quanto i Savatage lo siano mai stati. Non ho alcuna intenzione di andare in pensione, non vi libererete mai di me! (ride, N.d.R.)

A. M. Come ti immagini tra vent’anni?

Jon - Morto! (ride, ndr) No, starò sicurmente facendo qualcosa. Mi piacerebbe scrivere una sinfonia, quando sarò troppo vecchio per fare rock’n’roll. Hai presente, uno di quei pezzi classici con 150 strumenti.

A. M. Bene, questa era l’ultima domanda. Grazie molte Jon per questa intervista.

Jon - Grazie a voi e buona fortuna. Probabilmente ci vedremmo all’inizio di Maggio, perché in quel periodo abbiamo in programma qualche concerto in Italia!

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