Foxx, John
di: 
Edoardo Baldini
31/03/2007



 

Esclusiva intervista a John Foxx, pioniere del Synth-Pop e dell'elettronica britannica, nonché ex-leader degli Ultravox, la band che ha cambiato la visione del Punk, adattandolo al contesto dell'emergente New Wave. John si racconta a RockLine.it concentrandosi sulle tappe fondamentali della propria carriera e svelando alcuni aspetti inediti del suo passato...


E.B. - Ciao John, è un vero piacere poter parlare con te. Come stai?

John - Ciao Edoardo! Qui va tutto bene, grazie!

E.B. - Possiamo iniziare l’intervista parlando della tua carriera negli Ultravox!: cosa ricordi principalmente di quegli anni in cui stavate contribuendo alla creazione di un nuovo stile musicale, partecipando alla scena post-punk londinese?

John - Facevamo parte di un gruppo di persone che vivevano in quella Londra – a dirla tutta, una Londra ancora Pre-Punk. Molte di queste persone divennero poi musicisti in gruppi come Clash, Sex Pistols, PIL, The Damned: c’era indubbiamente un feeling di cambiamento nell’aria. Noi eravamo quelli a cui piacevano i suoni dei Velvet Underground, dell’Elettronica e della Psichedelia tanto quanto Iggy Pop, quindi eravamo leggermente fuori contesto rispetto agli altri.

E.B. - Tu formasti il gruppo nel 1973: ti ricordi quali furono le tue prime aspettative per il progetto? Avresti mai pensato di poter raggiungere un successo simile, negli anni?

John - No, la longevità della mia carriera è una completa sorpresa: creai la band quando ero alla Scuola d’Arte, e volevo semplicemente incidere un disco, per poi mettermi a fare il pittore.

E.B. - Puoi dirci qualcosa a proposito dell’opportunità che tu ebbi di unirti ai Clash tra il 1974 e il 1976? Perché rifiutasti?

John - Perché Mick Jones non me lo disse, al momento, ma solo qualche tempo dopo: noi suonavamo già al Marquee come gruppo di supporto e in una “back room” ad Islington. Mick (e, penso, anche Glen Matlock) vennero a vederci un paio di volte: questo accadde immediatamente prima che i Sex Pistols e i Clash si formassero. Mick voleva chiedermi di entrare nel gruppo, ma credeva che noi fossimo in qualche modo più avanti di loro, in quanto avevamo già alle spalle diversi concerti, e iniziavamo ad avere un seguito di fans. Quindi pensò di non essere nella posizione più adatta per venire a parlarmi: ripensandoci, è decisamente buffo... Ci incontrammo qualche tempo dopo, e lui mi raccontò questa storia; Mick mi piaceva molto, era uno dei migliori personaggi della scena Punk: molto intelligente e ottimo compositore. Anch’io amavo il Punk, ma provavo interesse anche in sonorità che non erano certo ‘arrabbiate’ - ero affascinato sia da alcune nuove correnti, come l’elettronica, che dall’ancora vivace mercato della Psichedelia e della musica sperimentale: era verso questi suoni che mi stavo dirigendo.

E.B. - Qual era il significato dei due nomi Tiger Lily e Ultravox!? E perché eliminaste il punto esclamativo da quest’ultimo?

John - Tiger Lilly non era altro che un nome temporaneo – ne avemmo moltissimi, tra cui The Zips, The Fire of London, The Plims – praticamente cambiavamo un nome alla settimana in quel periodo: ma questo non era un grosso problema, visto che comunque nessuno sapeva chi fossimo! Quando finalmente arrivammo ad un nome che ci piacesse (Ultravox), aggiungemmo il punto esclamativo come tributo alla band tedesca dei Neu! – la loro musica ci piaceva moltissimo in quel periodo; lo abbandonammo, più tardi, per rendere le cose più semplici.

E.B. - Il vostro primo sound mischiava Punk, Elettronica e New Wave. Ti consideri un pioniere dell’elettronica? In fondo, solo un manipolo di bands stava sperimentando con quei suoni, a quel tempo.

John - In quel momento, non c’era nessun altro nella nostra zona che lo facesse: tutti gli altri suonavano Punk, puro e semplice. Poi alcune bands adottarono elementi simili nell’approccio – i New Order, i Magazine - ma lo fecero solo in seguito; dopo ciò, nel corso degli anni ’80, con l’esplosione dell’Elettronica i Depeche Mode e tutti gli altri divennero gruppi ‘electro’. Guardandosi indietro, è interessante notare anche altri elementi che ebbero importanza, oltre all’inserimento di suoni elettronici. Lo stile chitarristico di Robin fu molto influente: prima di lui, nessuno suonava a quel modo, mentre ora lo fanno tutti. Praticamente ha inventato la chitarra moderna, nei suoni delle bands di oggi puoi ascoltare molte delle sue idee; allo stesso modo, puoi sentire come la chitarra affilata e ruvida di Stevie abbia avuto un impatto notevole sulla musica odierna. Se a tutto questo aggiungi anche le innovazioni nel campo dell’Elettronica, penso di poter dire che abbiamo influenzato molto la musica d’oggi.

E.B. - Avevi altri progetti musicali, al tempo, oltre agli Ultravox?

John - Registravo musica continuamente: avevo accesso a un sintetizzatore e a un registratore a cassetta a due tracce; Queste registrazioni venivano poi elaborate ai Garden Studio.

E.B. - Com’era l’atmosfera dei vostri primi concerti a Londra? E il pubblico come rispondeva, c’erano molti amanti di Punk, Glam e Wave ai vostri concerti?

John - Suonammo diverse volte al Marquee, e furono performances pazze, fantastiche. Manteniamo ancora oggi il record di affluenza, perché il dipartimento dei pompieri stese un nuovo regolamento per evitare una simile concentrazione di persone. Ad un certo punto, suonammo tutte le sere per due settimane di fila e il locale ne risultò devastato. C’era sudore che pioveva dal soffitto, tutti erano completamente fradici e c’erano dei cali di tensione della strumentazione che rendevano il tutto molto pericoloso, quasi suicida. Luci stroboscopiche, musica elettronica ululante, distorsioni: Billy suonava come un vero diavolo, e l’intera band si trasformava in qualcosa di completamente nuovo. Dall’audience di quei concerti sarebbero nate poi una dozzina di nuove scene musicali: tutto si stava incrociando per diventare Elettronica, Cyberpunk, Goth, Glam, New Wave. A un certo punto, tra il 1977 e il 1978, tutti sentivano come il Punk fosse oramai non più un genere di ‘rottura’, ma conservativo: si stava strangolando da solo, ecco perché durò solo un paio d’anni. Tutti volevano espandere i propri orizzonti e non conformarsi all’oramai limitante Punk, che fu quindi rigettato. Penso che questo fu un vero peccato, perché se esso si fosse ampliato in più direzioni, come successe alla scena newyorchese, avrebbe potuto durare molto di più ed essere decisamente più divertente e ricco.

E.B. - Parliamo adesso di Tiny Colors Movies. Perché hai scelto questo titolo, e quali film ti hanno ispirato nella composizione di queste quindici tracce ambient?

John - Ho visto qualche proiezione di collezionisti a Londra e in America, e ho realizzato che la New Wave del cinema sta arrivando. Arnold Weiczs Bryant è un intelligente collezionista d’arte, come Charles Saatchi (è un collezionista che ha dato valore a cosa fin’ora estranee all’arte). Egli ha visto l’unicità e la bellezza dei frammenti di film che vennero realizzati senza tener conto delle esigenze di mercato, per l’amore delle masse. Credo che il cinema stia cambiando radicalmente. Presto saremo filmati e riassemblati, proprio come facciamo per la musica. Hollywood sarà filmata e riassettata, formando nuovi film. Possiamo inoltre iniziare a vedere la bellezza cruda dei film quando sono digitalizzati e proiettati in maniera più grande. Diventano qualcos’altro, soprattuttto la percettiva collezione Super 8mm di Weiczs-Bryant. Sono rimasto molto colpito dai film che ho visto e mi sono sentito obbligato a dover comporre musica per loro. In seguito, siamo stati capaci di prenderne in prestito qualcuno e copiarlo per formare una serie di quattordici film, che sono stati mostrati al Film Festival in Inghilterra. La cosa è ancora in sviluppo e siamo autorizzati a usare la collezione di Mike Barker e qualcun’altra, come quella di Weiczs-Bryant a Baltimore.

E.B. - Vorrei sapere se hai ancora lo studio di registrazione costruito nel 1982, The Garden. E come va con la Metamatic Records?

John - Ho venduto il Garden a Matt Johnson intorno al 1990. La Metamatic Records è ancora fieramente indipendente e incorporata nella Metamedia che si occupa anche dei film.

E.B. - Parliamo adesso del tuo lavoro grafico. So che hai creato la copertina di Lightbulb Sun (dei Porcupine Tree) sette anni fa, e poi tutte le vostre cover. Come definiresti il tuo lavoro e quali tecniche prediligi?

John - E’ diviso in due parti: la prima è una sorta di moderna psichedelia, costituita da strati di immaginazione, un equivalente grafico di Cathedral Oceans. Un altro aspetto è completo, grigio e urbano (un ulteriore parallelo con la musica bizzarra fatta con Louis). Entrambi hanno un origine fotografica.

E.B. - Quali sono i tuoi progetti ora? Stai lavorando su del nuovo materiale?

John - Al momento sto rivisitando alcuni vecchi lavori della Metamatic, sto lavorando a del nuovo materiale e sto facendo alcune cose con un ragazzo dei Leftfield. Ho scritto dei testi per il nuovo materiale di Vincent Gallo e sono stato a New York di recente.

E.B. - Qual è il tuo rapporto con l’Italia?

John - Film, musica, arte, storia, cibo, architettura, idee. Hai centrato in pieno. C’è ben poco di me che non sia affezionato all’Italia in qualche modo. Molte delle immagini in Cathedral Oceans provengono dall’Italia. Sento sempre una sorta di riconoscimento visivo. Deve essere colpa di un gene, o due. L’antica Armata Romana è chiaramente passata da Chorley.

E.B. - Hai annunciato che suonerai a Milano (al Transilvania) qualche settimana fa, ma la data è stata cancellata. I fan italiani potranno rivederti presto nel nostro Paese?

John - Sì, abbiamo stabilito che io non sono una tribute-band.

E.B. - Cambieresti qualcosa della tua carriera passata?

John - No, non ho rimorsi.

E.B. - Cosa ti piace ascoltare al momento? Hai qualche progetto parallelo o stai lavorando con alcuni musicisti al di fuori della tua carriera solista?

John - Adoro ascoltare musica tranquilla fatta col pianoforte, ed elettronica primitiva e intelligente. Mi piace inoltre la musica capace di circondarti e specialmente il cinema. La musica, il cinema e l’architettura sono le tre più grandi forme d’arte di questo secolo. Vorrei fare della musica architetturale e musica cinematografica. Collaborazioni…c’è una lista lunga e in crescita…progetti con Vincent Gallo, Steve Jansen, Robin Guthrie, More Harold Budd (con Rubin Garcia) e molti altri di cui non posso ancora parlare. Il Tiny Colour Movies Project sembra avere una vita tutta sua. Altri festival, musei e gallerie stanno iniziando a mostrare i film. Ne sono molto fiero. Pensa che Arnold è sempre più reticente.

E.B. - Sei ancora in contatto con gli altri membri degli Ultravox? Sarà possibile vedere John Foxx suonare di nuovo con gli Ultravox (in una reunion) un giorno o le cose stanno diversamente?

John - Non credo ci sarà una reunion, ma parlo ancora con Robin e Billy. Mi piacerebbe lavorare con loro in certe situazioni, probabilmente su cose differenti, quando il progetto va bene a loro. Penso che siano veramente originali, dei musicisti con talento e anticonformisti. C’è ancora una connessione tra tutti noi.

E.B. - Una domanda personale: “John Foxx” è il nome che hai sul palco e ora sei famoso in tutto il globo con questo nome. Perché l’hai scelto e qual è il suo significato?

John - Due cose mi hanno fatto scegliere questo nome: ho visto una volpe urbana vivere a Londra (ha incrociato il mio cammino e mi ha guardato) a Spitalfields, nella Londra orientale verso le 3 di un mattino invernale. Poi c’erano Charlie e Inez Foxx, due fantastici cantanti neri che ho visto a supporto dei Rolling Stones nel loro primo tour. Sembravano provenire da un altro mondo, molto urbani, vestiti scintillanti, tutto perfetto come una Cadillac (puoi vederli a loro agio dentro alcuni grattacieli brillanti). Mi ricordavo il nome.

E.B. - Grazie mille per l’intervista! Spero di vederti presto in Italia! Puoi finire l’intervista come preferisci. Ciao da RockLine.it!

John - Piacere mio.

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