Fish
di: 
Lorenzo Iotti, Francesco Iannuzzi
31/03/2008



 

La pubblicazione di The 13th Star ha rappresentato un nuovo traguardo per Dereck Dick, alias Fish, colui che ha condotto per tutto il primo periodo l'intera produzione dei Marillion. Nell'intervista live concessa a Milano a RockLine.it, Fish si sofferma puntualmente su parecchi aspetti della sua carriera, esprimendo il profondo significato dell'ultima opera...


L.I. - Ciao Fish! Grazie per averci concesso la possibilità di intervistarti. Per noi è davvero un onore poter scambiare qualche impressione con un musicista storico del Progressive come te. Prima di tutto, come stai?

Fish - Bene bene, sono bello riposato. Sono stato fortunato ad andarmene in Vietnam per un paio di settimane all’inizio dell’anno, e mi sono diframmentato, è stato fantastico. Come per i computer, “ta-ta-ta-ta-ta” e tutto lo schifo è uscito dal sistema e mi sono trovato con la mente libera. E’ l’occasione giusta per fare un po’ di promozione quando si ha la mente libera.

L.I. - Perfetto, cominciamo a parlare del tuo nuovo album The 13th Star. Innanzitutto, il testo della canzone omonima sono piuttosto misteriose: che cosa significa la tredicesima stella per te e perché l’hai scelta come titolo per il tuo nuovo album?

Fish - Il tredici è un numero che considero fortunato. Questo sarebbe stato il mio tredicesimo album, quindi il tredici sarebbe comparso nel titolo. Inoltre, esattamente due anni fa ero in Egitto, nel giorno di San Valentino, e stavo facendo una crociera romantica con la mia ragazza di allora. Andai a visitare la Valle dei Re, dove ci sono le grandi tombe, e quando entri in quelle tombe, i soffitti sono dipinti di blu. E hanno migliaia di queste piccole stelle gialle, tra cui quella che vedete nella copertina dell’album, a cinque punte. Nel novembre di quell’anno, quindi novembre 2006, io e la ragazza con cui uscivo al tempo avremmo festeggiato un anno assieme, ma decidemmo di lasciarci nonostante ci amassimo ancora. Avevamo obiettivi diversi, lei era più giovane, voleva una famiglia. Ci siamo lasciati e io ho cominciato periodo introspettivo e retrospettivo, pensavo alle relazioni, e a come stavo conducendo la mia vita, e a quello che volevo, e capii che c’erano state dodici donne tra cui mia mamma, mia figlia e la mia ex moglie Kayleigh che hanno avuto effetto sul mio cuore e che l’avevano scolpito, quindi la tredicesima stella divenne la ricerca dell’amore finale e l’album parla di questo, di un viaggio di una persona che è intrappolata, che ha paura di farsi coinvolgere dalla vita, che ha paura di farsi male, ma che viene trascinato fuori dalla sua prigione, trova l’amore e cerca di tenere quell’amore assieme, ma non ci riesce. Tuttavia, facendo questo, egli capisce di darsi una mossa, e quindi il viaggio ha improvvisamente una direzione, e la direzione diventa ricerca per l’amore finale…il Nirvana, il vero spirito.

L.I. - Hai sempre scritto dei testi molto personali. Come vengono creati?

Fish - Credo che la maggior parte siano stati creati in serra, ahahah! Dunque, Steve Banks, che è il coautore principale nel nuovo album, ha cominciato a lavorare con me circa l’anno scorso. Lui non aveva scritto niente prima di allora, e venne fuori con una scatola piena di idee. Le esaminammo e scoprimmo che c’erano cinque o sei set che pensavo di poter usare. Quindi cominciammo a metter assieme tutti i pezzi, e quindi a quel punto avevo gia dei testi dove disponevo di una strofa, forse di un ritornello, di un’idea o di un’immagine. Come cominciammo a sviluppare le tracce, ci trovammo per esempio con una canzone da tre strofe dove però il testo ne aveva solo una pronta; quindi mentre la composizione continuava il suo percorso, Steve sarebbe stato in studio a sviluppare una canzone, io invece nella serra in giardino e quindi ogni tanto io tornavo dentro da lui e gli dicevo “guarda qua, mi è venuta un’idea”. Lui era sempre molto aperto ai suggerimenti proprio perché era la prima volta che lavorava come compositore. Grazie anche alla tecnologia a nostra disposizione, computers con ProTools, era facile capire se qualcosa funzionava e cambiare le cose immediatamente.
Quindi durante Gennaio, Febbraio, Marzo e Aprile mettemmo assieme l’album e siccome era la prima volta che ci trovavamo a comporre assieme, volevo che fosse un processo molto disciplinato; prima di entrare in studio siamo stati quattro mesi a comporre per esempio ogni lunedì, martedì e mercoledì. Una volta si stava svegli fino alle tre di notte, altre volte finivamo alle sette,ma alla fine ho deciso che si sarebbero fatte due settimane con il gruppo in pre-produzione. Volevo usare un produttore famoso, qualcuno conosciuto, in prima linea, e questo fu Calum Malcolm. A me era piaciuto molto il suo lavoro con i Blue Nile, ed è una persona che ha orecchio per queste cose, sente certe cose che neanche i pipistrelli riescono a percepire! E lui diventò una parte fondamentale delle performance, dato che sia Steve che io lo rispettavamo e credo che quando hai due compositori così è bene avere un produttore rispettato da tutti e due: in tal modo, se ci fosse stata qualche litigata, sapevamo di avere qualcuno li che avrebbe detto “Penso che possiate provare questo.”, ed era fantastico, un’ottima squadra.
Tutti i pezzi erano al posto giusto, c’erano le persone giuste, Gavin Griffiths, il batterista, era la prima volta che lavorava in studio con me ed era appena tornato da un tour di sei settimane con un altro gruppo (quindi era fisicamente preparato), e tutti quanti erano al corrente di quello che stavamo facendo in un determinato momento: quindi quando entravamo in studio sapevano già tutti che cosa avremmo fatto. Foss Paterson, il tastierista, aveva già lavorato con me in passato, e avrebbe lavorato con John Martin, che ha una testa completamente diversa, ma Foss ha un sacco di suoni diversi e possiede una tecnica fantastica: quando componi con un bassista sai già che ti troverai a lavorare su pezzi groovy, e pertanto hai bisogno di un tastierista che sia capace di dare ombre e luci a questi brani. Le ombre, le luci e le dinamiche furono i tre ingredienti principali di quest’album, per quando riguarda lo sviluppo complessivo. Dovevamo trovare i pezzi dove si faceva rock e i pezzi dove ci si poteva lasciare andare: quando mi metto a comporre non mi interessano le tracce mp3 bensì mi interessa scrivere un album.

L.I. - Ho trovato il sound di The 13th Star molto moderno ed elettronico, continuando sulla strada intrapresa con Field of Crows. I tuoi album di adesso sono molto diversi dai primi, ch erano molto più simile ai Marillion. Cosa mi pui dire della tua evoluzione musicale?

Fish - Sì sì, è tutto vero. Le idee dei primi album erano idee che avevo in mente prima che lasciassi i Marillion e che a loro non piacevano: Quindi lasciai loro e lasciai Mickey Simmons, l’altro co-autore. Con Internal Exile era più difficile perché c’erano più autori nel processo, ma non sapevo esattamente cosa stessi facendo: gli elementi avevano lo stesso sound dei Marillion, che si muovevano attraverso quel filone più rock dove mi stavo dirigendo. Quindi con il passare degli anni, specialmente da Sunsets and Empire, il sound è diventato più pesante, più rock, più groove, mentre per quanto riguarda The 13th Star, credo che sia il migliore che abbia mai fatto, e penso che ogni pezzo o parte di quell’album siano le migliori che abbia mai scritto. Ho 50 anni ed è divertente riuscire a guardare il passato, capendo che il miglior album che hai scritto l’hai scritto a 50 anni! E’ anche bello pensare che sto suondando musica più pesante adesso di quando avevo 30 anni! Credo che sia dovuto alla “rabbia del vecchio”!

L.I. - Parliamo della copertina, credo sia davvero fantastica: l’artwork contiene molti simboli, come la nave, l’albero, o l’uomo...che cosa significano e come ti è venuta l’idea per questo artwork?

Fish - Beh ci sono state delle discussioni a riguardo, perché sapevo che questo album avrebbe avuto un sound diverso e volevo trattare l’artwork diversamente rispetto al passato. Tutte le altre copertine del passato erano caratterizzate da un artwork per certi versi abbastanza epico, ma questa volta mi sono detto “voglio la stella, voglio un disegno semplice, voglio una sola stella da quel soffitto”. Fu così che fotografammo la stella e la ridisegnammo, cambiandola un pochino. E quella era la prima cosa che volevo, qualcosa che fosse davvero semplice, davvero pura, e che fosse un simbolo che chiunque avrebbe potuto capire. La stella rappresenta la luce, la verità, oltre ad essere un simbolo di navigazione, fra tanti altri. La prima idea tuttavia riguardò la nave, e la donna sulla nave, nella quale non si sapeva se stesse cercando qualcosa, se se ne stesse andando da qualcosa. Inoltre ci fu il dilemma riguardante lo stile della nave: io volevo che avesse uno stile mediterraneo, come le vecchie navi greche ed egiziane e volevo che la stella apparisse sulla vela, di modo che uno avrebbe capito che si parlava di un viaggio. Quando giri la copertina vedi l’uomo sulla spiaggia, ma non si sa ancora se l’uomo proviene dalla nave o se la sta aspettando. Quello che volevo era un tocco di fantasia, ma volevo anche che allo stesso tempo fosse abbastanza reale. Con lo sviluppo dell’album successero molte strane cose: per esempio l’idea della nave diventò qualcos’altro, oppure l’albero può essere connesso alla leggenda delle streghe e de i rapporti romantici che ne scaturiscono. Mark disegnò quest’albero senza sapere che ne avessi uno così nel mio giardino: in quel periodo stavo costruendo un’area speciale nel mio giardino, dove sarei potuto andare a sedermi con la mia ragazza. Avevo chiesto a quella ragazza di sposarmi il giorno di San Valentino e lei se ne andò durante la prima settimana di registrazione dell’album: quindi tutto quanto cambiò e tutti ne furono toccati.

L.I. - Hai sempre lavorato con Mark Wilkinson per creare le grafiche dei tuoi album. Come lavorate assieme? Nel primo periodo dei Marillion come emerse l’idea del giullare?

Fish - Con Mark quest’anno c’è stata tutta l’idea della nave, visto che la stella era già decisa. Io feci uno schizzo della nave com’è rappresentata adesso e gliela mandai, lui la ridisegnò e me la rimandò. Notai che c’era qualcosa che non andava e glielo dissi. All’inizio la nave era molto chiara e splendente e la ragazza era vestita di bianco, e io gli dissi che non mi piaceva e che volevo che risultasse più Goth. Quindi da lì arrivammo a quello che abbiamo adesso, con la stella scura.
Riguardo al giullare, fu una mia idea tanto tempo fa. Dato che nessuno di noi era bello abbastanza da apparire su una copertina, avevamo bisogno di un personaggio che ci rappresentasse. Volevamo qualcosa che potesse essere associato al progressive classico, come le copertine di Roger Dean (che dipinse le copertine degli album degli Yes da Fragile a Relayer N.d.R.). Un’agenzia ci fece conoscere gli artworks di Mark e ci fece a tutti una bella impressione. Fu lì che decisi che volevo il giullare, perché dava un’idea di tempi antichi oltre a rappresentare bene il gruppo. L’idea era di disegnare qualcuno che desse l’immagine di una persona sola (tema principale dell’album) e fu così che nacque il giullare che suona il violino. Per Fugazi invece c’erano due persone nella stanza: c’è il ragazzo sdraiato sul letto, ma si capiva che c’era stato qualcuno in precedenza nella stanza e se ne era andato. Da lì passammo al tema di Misplaced Childhood, e il giullare era gia stato abbandonato e fu da quel momento che secondo me nacquero i Marillion. I primi due album erano ancorati saldamente alle nostre influenze, mentre con Misplaced Childhood le abbandonammo e capii che era giusto che anche il giullare scomparisse. Ma si sentiva sempre la sua presenza, un po’ come un fantasma, e quando lavorai al progetto Return to Childhood, il giullare fece la sua ricomparsa: quindi non se n’è andato. Abbiamo scritto un libro, si chiama “Masque”: lo vendiamo attraverso il sito. Parla della nostra storia, di come Mark ed io ci scambiammo tutte le nostre idee.

L.I. - Dunque, qual è stato il responso di 13th Star dopo la sua pubblicazione?

Fish - Con tutta questa storia delle copie pirata e dei download gratis uno deve cercare di presentare qualcosa di diverso. E’ facile scaricarsi qualcosa gratis, ma quello che uno deve cercare di offrire è qualcosa di simile ai vecchi album, con tutto il package: quando l’ascoltatore lo tiene in mano sente che è qualcosa di reale, qualcosa di vivo, qualcosa di personale; non è solamente una scatola per i gioielli, c’è qualcosa di più di un disco argentato, e credo che questa sia l’unica soluzione per il futuro, specialmente per artisti che hanno uno stretto rapporto con i loro fan. Se loro comprano il prodotto direttamente da noi, ci aiutano ad andare avanti, a svilupparci. La stessa cosa quando comprano il merchandise perché serve a sostenere un tour. È un business completamente diverso da quello a cui presi parte nel 1981, è un industria molto diversa. Non sopporterei essere un nuovo artista in questo periodo, è così difficile affermarsi. Ci sono davvero tante schifezze e la gente non sa quali album comprare perché crede sia difficile trovare le vere gemme. Ritengo che un album che vende tante copie per passaparola valga di più di qualsiasi altro album. Ci sono dei dischi che vengono presentati come fuochi d’artificio dalle major, ma basta che qualcuno ci butti un fiammifero sopra per farli esplodere ed autodistruggersi. E la gente è diventata più diffidente, non si fida della promozione di questo periodo: quando leggono le riviste, non penso che la gente dia un’occhiata alla pubblicità, non credo che essa li porti a comprare un album. Penso che quello che invece dia una vera scossa sia una persona che dice a un amico “Ho appena ascoltato un album ed è meraviglioso, ascoltalo!”. Ed è quello che stiamo facendo con questo album, che è uscito a Settembre in edizione limitata digipack (di cui abbiamo venduto novemila copie su diecimila). Siamo andati a vedere il sito e la gente ha cominciato a dire che era un album fantastico, e la cosa ha portato altra gente a visitare il sito. Noi vedevamo le vendite moltiplicarsi non solo per questo album, ma anche per quelli precedenti, sempre col metodo del passaparola. Abbiamo la copertina per i singoli, siamo trasmessi sulle radio, la gente può scaricare The 13th Star dal nostro sito con tre bonus track dai concerti italiani dell’anno scorso, ne parla anche la stampa, ci vogliono intervistare parecchie riviste, torniamo a fare concerti in giro. Ce ne sarà probabilmente uno a Maggio, vogliamo andare in America a Giugno, torneremo poi in Europa e pubblichiamo un altro singolo… Onestamente parlando, è fantastico.

L.I. - Quindi tu sostieni che la scena degli anni Ottanta fosse di gran lunga migliore di quella attuale…

Fish - Oh sicuramente. Molta gente dice che gli anni Ottanta facevano schifo, ma non è vero! Era fantastico perché c’erano i soldi! C’erano circa dieci-quindici case discografiche, e la gente comprava ancora gli album, non esisteva la pirateria. Non c’erano persone che rubavano album. Quindi una volta pubblicato un disco, si pensava sempre di vendere cento o duecentomila copie. Ai giorni nostri questa quota equivale alla vendita di cinquantamila album.
Ai nostri tempi c’era più libertà perché i contabili se ne stavano zitti e gli A&R ci dicevano: “Questa musica ci piace: punteremo su di voi.”. La maggior parte delle riviste erano settimanali, il che vuol dire che c’era una scena live molto accesa: se c’era un concerto fantastico un mercoledì, ci sarebbe stata una recensione di il venerdì successivo. Una band aveva più possibilità di emergere, gli studio erano molto meno costosi. Al giorno d’oggi è tutto caro: per comprare spazi pubblicitari su riviste mensili si paga parecchio. Ora ti ritrovi con diecimila sterline di spesa per comprarti uno spazio pubblicitario a colori su un settimanale nel Regno Unito, ora gli stessi contabili di una volta ci dicono “Qui comandiamo noi.”.
Con i Marillion i primi due album vendettero circa settantamila copie, ma il terzo fu quello del boom, fu il disco di platino. Quanti gruppi di oggi hanno la possibilità di arrivare a pubblicare un terzo album? Gli artisti devono avere la possibilità di svilupparsi, uno non può mettere cinque ragazzi in uno studio e dirgli “Ok, fate il miglior album di sempre.”. Qualcuno ci riesce al primo album, ma la maggior parte cresce, impara a comporre, impara a suonare, impara i trucchi in studio, i trucchi della composizione e solo allora si arriva a scrivere canzoni davvero belle! Solo che adesso non esiste questa possibilità, perché la pressione finanziaria fa in modo che le etichette abbiano bisogno di artisti che esplodono subito e con un gran botto. Ci sono gruppi come i Killers o i Kasabian che hanno un grande seguito, ma con il secondo album ti ritrovi con copie scolorite di qualcosa che era davvero bello. Quello che succede ai giorni nostri è che ti ritrovi una band con tre singoli, tre canzoni davvero forti, e il resto dell’album è deludente.
Voi fate anche le recensioni, no? Sono sicuro che siete stanchi di vedere album dove dite “Tre canzoni discrete e tutto il resto fa schifo.”. E usano ottimi produttori per quelle tre canzoni e il resto le produce qualche altro sconosciuto. Quindi un gruppo acquisisce un proprio sound, un proprio stile, per poi venire licenziato dalla casa discografica.

L.I. - I primi album dei Marillion furono visti un po’ come una rinascita del Progressive Rock… Come pensi siate riusciti ad avere successo con una musica che non era più di moda?

Fish - Fu la stampa a dire che non andava più di moda, come negli ultimi tre anni è stata la gente a dire che il rock non ha futuro. Invece è tornato di moda il classic rock: pensate solo ai Foo Fighters, con le loro influenze degli Who e dei Led Zeppelin.
I miei figli hanno tutti e due 17 anni e adorano le Faces, i Led Zeppelin, i Pink Floyd: questo succede perché si sono accorti che la musica di adesso fa schifo! E quindi rimangono impressionati quando qualcuno fa loro ascoltare The Dark Side Of The Moon! Perché deve esserci per forza qualcosa di nuovo? Nuovo non vuol dire per forza migliore. Perché non possiamo tornare indietro e dire “Un momento, i Free sono un ottimo gruppo, con un ottimo sound.”? E’ perché le riviste e la gente fashion insistono che deve esserci per forza qualcosa di nuovo e di trendy.
Un altro problema con la musica di adesso è che sembra essere più importante la quantità rispetto alla qualità. Per esempio in un album della PFM la musica è complessa, le strutture sono complicate, c’è del virtuosismo e il sentimento è incredibile. Ascolti il nuovo progressive ed è composto solo da numeri e il sound è quello tipico di qualcosa che è stato incollato assieme: non ha sentimento. Ci sono troppi businessman con le chitarre: io sono contento di non essere come loro e di fare quello che faccio. Quando io compongo un album i tre ingredienti fondamentali per me sono il sentimento, l’anima e il groove. Ottienili tutti e tre e poi vedrai che le cose funzioneranno.

L.I. - Sei famoso per le tue performance live molto carismatiche. E’ una tua attitudine naturale, o piuttosto una reazione ai gruppi Progressive tradizionali, tutti molto statici sul palco?

Fish - Non penso a nessuno quando sono sul palco, faccio quello che faccio, voglio vedere che la gente sorrida, che si diverta. Quando sono sul palco, la libertà che mi viene regalata è fantastica. L’energia che mi regala il pubblico è fantastica. Ho sempre pensato ad un concerto come una comunione: è quando un pubblico viene a darti dell’energia, tu raccogli quell’energia e la conferisci nuovamente, ritrovandoti alla fine in uno spazio magico. Non capisco come dei musicisti possano stare lì senza muoversi. C’era una barzelletta famosa negli anni Novanta e fa più o meno così: “Da cosa si capisce che un musicista è britannico? Dal fatto che conosce benissimo i propri piedi”.

L.I. - Nell’album Misplaced Childhood parli della tua infanzia, periodo molto importante per te…

Fish - Il “Misplaced” è un atteggiamento e credo che quando si è bambini si sia molto più curiosi: si hanno molte più reazioni a contatto con la vita e l’album parla di questo. Ci sono inoltre molti collegamenti con The 13th Star, perché tutti e due parlano di un viaggio, tutti e due parlano di direzioni, tutti e due sono caratterizzati da un rapporto che si ha o si sta distruggendo…

L.I. - Cosa puoi dirci riguardo alla tua infanzia? Quando hai incominciato ad interessarti alla musica e quali furono le tue prime band?

Fish - Mi ricordo i Beatles alla radio, ma in realtà ero troppo piccolo. Il primo singolo che comprai fu Lullaby dei Kinks, il primo album fu Electric Warrior dei T-Rex. Nella mia collezione di cassette a 12 anni c’erano gli Yes, i Genesis, i Pink Floyd, i Deep Purple, le Faces, Elton John, Paul McCartney, tanti artisti diversi. Se mi piace qualcosa mi piace e basta, e se mi piace davvero tanto allora prenderà parte nella mia arte, diventerà parte del modo in cui compongo. Sono molto aperto a tutti i tipi di musica.

L.I. - Ultima domanda: come descriveresti la tua carriera da musicista, cosa pensi sia cambiato e che cosa è rimasto lo stesso dall’inizio di essa?

Fish - Il problema è sempre lo stesso: quando uno entra nel mondo della musica pensa che tutto seguirà un percorso lineare. Non è così. È come le montagne russe! Alle volte ti ritrovi sul fondo di un pozzo, e ti chiedi perché lo fai, e che cosa farai in futuro, mentre l’anno dopo ti ritrovi con una gemma. È successo anche a me, soprattutto nella mia carriera da solista, che è stata un incubo certe volte, con momenti dove mi chiedevo perché facevo il musicista e se avevo perso la ragione, per poi accorgermi che a 50 anni avevo scritto il mio miglior album. E’ così, e gli artisti devono essere pronti agli “ups & downs” di queste montagne russe, mantenersi focalizzati e crederci sempre.

L.I. - Grazie mille per il tempo che ci hai dedicato. Ti auguriamo un futuro di altrettanto successo! A presto da RockLine.it!

Fish - Grazie mille a voi! E’ stato un vero piacere!

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