Death SS
(Steve Sylvester)
di: 
Jacopo Prada
30/11/2005



 

Intervista esclusiva per RockLine.it a Steve Sylvester, storico leader dei nostrani Death SS. Aspettando l'uscita del nuovo The Seventh Seal, Steve si dilunga in questa sua intervista di presentazione e promozione dell'album. Non un'intervista, ma una vera e propria scheda del personaggio più rappresentativo del Metal targato Italia...


J.P. - Ciao Steve, come va?

Steve - Ciao Jacopo! Tutto bene, grazie. Tu?

J.P. - Bene anche io, grazie. Parlaci innanzitutto del vostro prossimo album The Seventh Seal.

Steve - Sei il primo con cui parlo di The Seveth Seal! Abbiamo recentemente pianificato la data di uscita e si è deciso di rilasciare il disco nel febbraio 2006. Comincio col dirti che giovedì 24 novembre c’è stata una presentazione del disco alla stampa con una specie di studio report che consisteva in un pre-listening dell’album. Alla presenza di numerosi rappresentanti della stampa italiana, ho fatto ascoltare molti pezzi del disco e questa è stata la prima mossa per promuovere il disco, che è in cantiere da più di un anno. A livello di interviste invece questa che faccio con te è assolutamente la prima.

J.P. - Che ci puoi dire sul sound? Sarà quello classico oppure ci saranno nuovi determinanti elementi in The Seventh Seal?

Steve - A livello di sound l’ultima decisione per definirlo spetterà all’ascoltatore perché per me è abbastanza difficile poterlo descrivere. E’ molto variegato: non assomiglia a nessuno dei dischi che abbiamo fatto in precedenza però somiglia anche un po’ a tutti, nel senso che con The Seventh Seal ho voluto chiudere un cerchio. Di conseguenza l’album rappresenta lo stilema musicale dei Death SS dai primi lavori fino agli ultimi. Rispetto a Humanomalies il sound è comunque diversissimo perché c’è stato un approccio sia compositivo che per quanto riguarda le registrazione completamente e volutamente diverso. Si riaffaccia di più a cose dei primissimi tempi, ma anche, soprattutto riguardo agli arrangiamenti melodici, a dischi come Panic per esempio. Potrai trovare in ogni caso, nell’arco delle dodici tracce, elementi che ti rimanderanno un po’a tutti gli album dei Death SS. Ci sarà sicuramente un qualcosa di nuovo in più, con un sound appunto concepito nel 2005.

J.P. - Ho notato che per l’uscita del nuovo disco avete sostituito il logo storico della band con uno nuovo più futuristico. Ci spieghi il motivo di questa scelta?

Steve - No, non è assolutamente vero. Innanzitutto noi abbiamo sempre cambiato il logo di album in album e quindi abbiamo seguito la tradizione anche per The Seventh Seal. Poi non trovo affatto il logo futuristico anzi, esso richiama abbastanza direttamente le rune celtiche e quindi non penso sia definibile come futuristico. Quella di cambiare disco per disco logo è un idea che ho da moltissimi anni, in modo da non fossilizzarsi su di un unico stilema, un'unica immagine, ma avere anche un nome della band che, mutando nella sua forma, rispecchia la musica che suoniamo di volta in volta. E’ stata una precisa scelta, senza doverci per forza fossilizzare in un unico monicker.

J.P. - Il logo di The Seventh Seal potrebbe quindi rappresentare il nuovo sound dei Death SS?

Steve - In un certo modo sì, dipende da che punto di visto lo interpreti. Tutto è stato fatto in un altro modo, ad esempio le S sembrano quasi dei sette rovesciati. C’è stato uno studio, una ricerca ben precisa per questo nuovo logo. E’ una cosa che richiama il passato, ma, allo stesso tempo, potrebbe essere proiettabile anche nel futuro. Non lo definirei però un logo futuristico, senza dubbio è comunque molto originale.

J.P. - In che modo avete lavorato sul nuovo materiale? Hai scritto tutto tu?

Steve - Sì, sì, ho scritto tutto io. Non ci sono cover, questa volte le 12 tracce sono tutte completamente inedite.

J.P. - Niente cover quindi?

Steve - No, niente cover questo giro. Abbiamo registrato una cover, come da nostra tradizione, ma l’abbiamo riservata solo come b-side del singolo Give ‘Em Hell, che è uscito in questi giorni. La cover in questione è Race With The Devil dei The Gun, un gruppo storico degli anni sessanta. Infatti il brano è del ’68 ed è stato già coverizzato da altre band in passato.

J.P. - Come hai trovato l’ispirazione per la nuova musica ed i nuovi testi?

Steve - Le genesi di The Seventh Seal è una cosa che ho in testa già da moltissimo tempo, addirittura dagli esordi, perché si lega ad un preciso episodio della nostra storia. Quando noi abbiamo iniziato a suonare, abbiamo deciso di fare un patto che avrebbe compreso sette sigilli. Questi sigilli rappresentavano dei momenti in cui noi dovevamo comporre determinate cose e fare determinati rituali. Queste cose sono stato fatte puntualmente nell’arco del tempo e non è che un sigillo doveva comprendere necessariamente un album, poteva comprenderne anche più di uno, in quanto comprendeva più che altro un concetto piuttosto che un disco singolo. Ora siamo arrivati appunto all’ultimo sigillo e proprio per questo il disco si intitola appunto The Seventh Seal, cioè il settimo sigillo e rappresenta un summit di tutto il percorso che abbiamo fatto e di tutte le nostre esperienze. Dal punto di vista di concept del disco c’è appunto questo l’elemento apocalittico di un patto che richiama anche al numero sette ed a tutte le varie sfaccettature e significati che questo numero può assumere nella magia. Sette infatti è il numero perfetto ed il numero dell’infinito. Ci sono anche richiami all’omonimo film di Ingmar Bergman degli anni settanta, ricco di elementi appunto apocalittici e pessimistici legati soprattutto alla morte. Tutto ciò non comporta che questo sarà necessariamente l’ultimo disco dei Death SS ma sarà sicuramente un lavoro molto importante perché appunto concepito fin dagli inizi della nostra carriera. The Seventh Seal chiuderà comunque un periodo e quello che verrà dopo non lo sappiamo nemmeno noi.

J.P. - Avete da poco aggiunto tre date al vostro tour. In queste date suonerete anche altri nuovi pezzi del disco oltre al singolo?

Steve - No, queste tre date serviranno solo come chiusura per l’Horned God Of The Witches Tour: ci sarà la formazione vecchia originale, verranno suonate solo le canzoni del primo periodo della band e non sarà eseguito nessun brano del disco nuovo, neppure il singolo.

J.P. - Dopo l’uscita di The Seventh Seal avete intenzione di intraprendere un nuovo tour?

Steve - Sì, abbiamo in programma un tour a supporto di The Seventh Seal, dove suoneremo anche pezzi nuovi. I vecchi classici non mancheranno mai nella scaletta però rinnoveremo completamente il look, lo stage e suoneremo sicuramente qualche brano tratto dal disco nuovo.

J.P. - Cambierà quindi qualcosa nei vostri show?

Steve - Sì, assolutamente. Non sarà più l’Horned God Of The Witches Tour ma sarà un altro tour e quindi anche a livello scenografico sarà tutto diverso. Naturalmente, come ti ho già detto, ci saranno in scaletta anche numerosi pezzi più recenti.

J.P. - Quanta importanza dai agli eventi live rispetto al lavoro in studio?

Steve - Sono due cose ugualmente importanti. Il live è certamente più divertente e distensivo per noi e poi c’è il contatto con il pubblico. Noi siamo a tutti gli effetti una live band perché ci esprimiamo più che altro teatralmente e quindi dal vivo. La teatralità non è che può trasparire più di tanto da un disco. Importante è in ogni caso anche il lavoro su disco, aspetto che noi non sottovalutiamo e curiamo sempre nei minimi dettagli. Per il concepimento di The Seventh Seal ci sono voluti addirittura più di un anno e mezzo. E’ stato arrangiato e preprodotto qui in Italia, poi è stato registrato a Los Angeles, come abbiamo fatto con gli ultimi due dischi. La produzione è stata curata da Fab. Grossi, un italo americano davvero bravo con cui ci siamo trovati veramente bene a livello di feeling. Siamo stati a Los Angeles più di un mese dove abbiamo curato tutto nei minimi dettagli ed il risultato finale sarà quello che ascolterai presto.

J.P. - Un grande lavoro quindi?

Steve - Sì, è stato proprio un grande lavoro. Abbiamo curato tutto nei minimi particolari, ce la siamo presa comoda, infatti dall’ultimo disco sono passato ormai quasi tre anni. C’è stata una cura molto precisa in tutto in modo da offrire un prodotto il più perfetto possibile, perfetto per come lo intendevamo noi. Poi dipenderà dai gusti della gente, io comunque ne sono molto soddisfatto, il prodotto finale è proprio come io lo volevo.

J.P. - E’ importante questo.

Steve - Certamente. Infatti non abbiamo subito pressioni particolari dalla casa discografica e non siamo stati vincolati da contratti commerciali o menate di questo tipo. Lavorando comunque in un ambiente underground ho il vantaggio di fare esattamente ciò che voglio. Per questo io sono in genere sempre soddisfatto al cento per cento dell’uscita di un disco.

J.P. - Hai parlato di underground. Lo trovi molto diverso ora da quello dei vostri esordi? Parlo della scena Metal italiana.

Steve - Eh sì, tutto cambia con gli anni. E’ normale, fa parte del corso della vita. Per l’underground Metal italiano a volte si è trattato di evoluzioni ed a volte invece di involuzioni. Forse si stava meglio quando si stava peggio su certe cose, mi riferisco soprattutto al problema dell’acquisto dei dischi. Come tu saprai, il mercato discografico è a picco, nel senso che ora tutte le varie labels si lamentano del calo delle vendite dei dischi causato dalla diffusione degli mp3 e di internet. Diventa quindi sempre più difficile persino registrare dischi ora, anche perché ci voglio determinati sforzi economici che non sempre possono trovare il giusto corrispettivo con le vendite per via appunto della diffusione di internet e dei brani online. È sicuramente un grosso handicap, figlio di questo periodo, al quale pure le case discografiche non hanno saputo fronteggiare degnamente. Rispetto al passato, oggi risulta molto più difficile trovare delle etichette che siano disposte ad investire sufficientemente soprattutto su gruppi esordienti. Di conseguenza numerosi gruppi, anche di discreto livello, faticano a trovare un contratto discografico.

J.P. - Questa la reputi quindi un’involuzione?

Steve - Sì, sotto questo punto di vista sì. Io però sono sempre stata una persona che ha guardato avanti, che guarda soprattutto al suo presente e non al passato. Penso che non si possa quindi arrestare l’evoluzione delle cose: così è e così deve essere. Del resto sono favorevole ad ogni sorta di evoluzione, bisognerà solo trovare il giusto compromesso in modo che le band possano continuare a fare il loro lavoro e la gente riesca ad ottenere la musica che vuole al minor prezzo possibile. Trovo giustissimo il voler diminuire i prezzi dei dischi, senza però, per questo, danneggiare l’esistenza stessa dei gruppi: è ovvio che se nessuno non ti da più soldi tu non puoi più incidere un disco. La tecnologia per me va benissimo, l’importante è trovare il modo per far contenti tutti.

J.P. - Parlando appunti di esordi, come e perché sono nati i Death SS?

Steve - Questo è un discorso molto lungo che ho affrontato tantissime volte durante gli anni. Chi ha seguito la band fin dagli inizi sa che la storia dei Death SS nasce quando io decisi di unire tutte le mie passioni di allora, che sono comunque anche le passioni di oggi, cioè tutto quello che riguarda l’horror, b-movies, fumetti di un certo tipo e tutta una serie di influenze legate al Thrash, con un'altra persona a livello di musica Rock con una forte caratterizzazione visiva. Tutti questi elementi, legati anche ai miei interessi personali verso l’occulto e determinate filosofie di vita, mi hanno portato a creare questo combo che all’epoca era qualcosa di assolutamente nuovo ed originale. Infatti non c’erano neanche all’estero gruppi paragonabili a noi. In seguito la cosiddetta Horror Music, così come la chiamo io, si è propagata un po’ dovunque. Il tutto è nato comunque da questa unione fra le passioni di un adolescente che è rimasto tale anche adesso.

J.P. - Perché hai voluto, per così dire, “americanizzare” il tuo vero nome?

Steve - No, fin dall’inizio, per nostra precisa scelta, tutti i nomi dei membri della band sono stati tradotti in lingua inglese. Da Stefano Silvestri a Steve Sylvester ad esempio. Non ho mai nascosto il mio vero nome. Tutto ciò per il semplice fatto che abbiamo deciso di cantare in inglese. L’inglese è la lingua più semplice, più musicale e anche per dare un tocco di universalità alla nostra musica. Se canti in italiano sei rilegato semplicemente come riferimento ad un pubblico italiano, contando invece in inglese non ti riferisci solo agli U.S.A. o all’Inghilterra ma a tutto il mondo, dal momento che è la lingua universalmente riconosciuta da tutti. E’ stata una scelta stilista e da lì è nata l’idea di tradurre tutti i nomi dei componenti dei Death SS, non ci vedo niente di strano. Rimaniamo italiani comunque, perché le nostre radici europee traspirano anche dal genere di musica che facciamo. La nostra musica ha influenze a livello di liriche e di atmosfere tipicamente europee. Cosa questa che ci differenzia moltissimo da tutti quelli che fanno un genere legato all’Horror ma che vengono dagli Stati uniti. Loro sono assolutamente figli della cultura americana, noi invece siamo italiani, siamo europei e quindi abbiamo una cultura sinceramente superiore.

J.P. - Pensi che se voi foste stati stranieri avreste avuto maggiore successo in Italia?

Steve - L’Italia è sempre stata storicamente restia a sopportare, sia a livello di vendite che a livello di promozione, band che cantano in inglese e che comunque non fanno musica pop o commerciale. Lo sanno tutti, questa è la piaga della nostra cultura musicale. E’ ovvio che se fossimo nati, proprio in quell’epoca, in una nazione più aperta e pronta a sopportare tematiche di quel tipo, le possibilità di successo sarebbero state sicuramente molte di più. Per successo intendo a livello commerciale. Credo sia stato un preciso disegno del destino quello di nascere qui in Italia e di essere vissuti in questo ambiente, in modo da permettere ai Death SS, nel loro piccolo, di scuotere l’ambiente musicale italiano.

J.P. - All’interno della stessa Italia, hai sentito particolari differenze tra Pesaro, la tua città, e Firenze, dove ti sei trasferito?

Steve - Quello è un discorso legato al mio girovagare per numerose città italiane. Terminato il primo periodo dei Death SS, avevo bisogno di un momento per riprendermi dagli eccessi del passato, sia fisicamente che psicologicamente. Ho così iniziato a girare per l’Italia fino a trovare la città con la dimensione giusta per quello che cercavo io. Mi sono così trasferito a Firenze, dove mi sono trovato sempre benissimo. Sono qui addirittura dal 1982 anche per via dell’ambiente magico che a Firenze è più fervido rispetto ad altre città italiane.

J.P. - Non hai mai pensato di andare a vivere all’estero?

Steve - Ci ho anche pensato sinceramente, ma, come ti dicevo prima, sono orgoglioso di essere italiano e sono molto legato alle mie radici quindi preferisco combattere qui, anche se a volte combattere per affermare un tipo di discorso legato alla libertà, ad un qualcosa di estremo e trasgressivo, in Italia è un po’ come combattere contro i mulini a vento. Però se sono nato qui un motivo ci sarà e vorrà dire che devo continuare a lottare proprio qui.

J.P. - Quali sono i gruppi che ti hanno influenzato agli inizi e quali sono invece le tue band preferite oggi?

Steve - Io ho sempre ascoltato musica di tutti tipi senza mai fossilizzarmi su un determinato genere. Ho sempre cercato di tenere il buono da tutto, a prescindere dal genere. Agli inizi le mie influenze erano legate al punk, infatti i Death SS sono nati nel ’77, anno in cui il punk è esploso. Il punk appunto per tutto quello che riguarda l’approccio violento sia sonico che scenico. La nostra musica degli esordi era influenzata anche dal primo glamour italiano, da tutti quei gruppi vestiti, per la prima volta, in maniera molto trasgressiva e che avevano una presenza scenica a dir poco incredibile. Questa influenza glamour, unita appunto a quella trasgressiva del punk che mi affascinava moltissimo, insieme alla musica di gruppi come Black Sabbath e Black Widow, ha creato il cocktail musicale che mi ha fatto venir voglia di suonare e comporre. La trovo tutt’ora una cosa molto originale. Le influenze di adesso sono sempre le stesse, sono quelle degli inizi, perché non ho mai rinnegato le mie origini in nessun modo. Con gli anni queste influenze si sono naturalmente evolute, dal momento che ho conosciuto altri gruppi, altri generi ed altri stili musicali. Apprezzo tantissimo, ad esempio, i Nine Inch Nails perché penso che siano un gruppo geniale sotto ogni punti di vista.e credo che Trent Reznor sia proprio un grande personaggio e sappia comporre della musica meravigliosa. Ascolto comunque musica a 360 gradi, non cercando mai di crearmi dei paraocchi.

J.P. - Sono proprio curioso di sapere cosa ne pensi dei Lordi. E’ palese che abbiamo preso ispirazione soprattutto dai Death SS. Cosa mi dici a riguardo?

Steve - Guarda, ti dico solo che quando vidi per la prima volta una foto dei Lordi, mandatami da un mio amico norvegese quando ancora qui in Italia non li conosceva nessuno, mi sembrarono la nostra fotocopia ai tempi di Do What Thou Wilt. Te lo dico senza polemiche anche perché non può che farmi piacere. Il loro primo tentativo di make up era abbastanza diverso da quello che utilizzano oggi ed erano tali e quali a noi. C’erano, per esempio, due personaggi, la mummia ed il fantasma, che erano praticamente identici in tutti e per tutto, sia nel make up che nel costume, a due membri dei Death SS. Gli altri componenti dei Lordi erano più ispirati ai Kiss. Li trovo un gruppo divertente, non mi fanno impazzire musicalmente, anche perché non trovo che dicano niente di nuovo, però ti ripeto che ho il massimo rispetto per loro. Che siano stati ispirati dai Death SS è evidentissimo e basta vedere le foto loro e le foto nostre del periodo di Do What Thou Wilt per capirlo. Se c’è qualcuno che ti imita comunque può farti soltanto piacere.

J.P. - Gli abiti ed i costumi che utilizzate sono sempre stati un fattore importante per i Death SS. Quanto pensi abbiano contribuito al successo del gruppo?

Steve - Ho sempre pensato che i Death SS fossero 50 percento di musica e 50 percento di teatralità, senza preferire nessuna delle due componenti. Quando senti un disco, come già ti dicevo, quello che senti è la musica, la teatralità la vedi soprattutto nei concerti dal vivo. Li trovo in ogni caso elementi imprescindibili e per questo ritengo che meritino entrambi molta importanza.

J.P. - Chi curava i vostri travestimenti i primi anni e chi invece lo fa ora?

Steve - Sono sempre stato io ad occuparmene, dagli inizi fino ad oggi. Con gli anni, grazie a maggiori disponibilità economiche, ci siamo avvalsi anche dell’aiuto di esperti e di truccatori ma le idee sono sempre state mie, allora come adesso.

J.P. - Quindi sei appassionato anche di questo?

Steve - Certamente, soprattutto di questo! Curo tutte le coreografie, le scenografie, i costumi, faccio le copertine di ogni disco. Mi occupo io anche del lavoro stilistico e grafico dei Death SS.

J.P. - Quali sono gli altri tuoi passatempi?

Steve - I Death SS mi coinvolgono al cento per cento in tutto il loro sviluppo, a partire dalla promozione fino alla composizione passando per le prove. Questo progetto mi assorbe quindi tutta la giornata, 24 ore su 24. Poi gli altri miei passatempi sono quelli classici: mi piace moltissimo leggere libri, collezionare DVD horror di tutti i tipi, seguo la compagnia italiana di Wrestling e tante altre attività che comunque sono sempre legate a quello che faccio con i Death SS. Mi piace tutto ciò che è estremo, che ha una forte caratterizzazione visiva, che è trasgressivo. Anche i miei passatempi rispecchiano quello che trasmetto nei Death SS.

J.P. - Come è nata questa tua relazione con la federazione di Wrestling italiana?

Steve - Io il Wrestling l’ho sempre seguito, a partire addirittura dagli anni ottanta quando cominciò ad uscire anche qui in Italia. Ho sempre ammirato personaggi come The Undertaker, ma la cosa è abbastanza palese dal momento che il Wrestling è uno sport-spettacolo estremo e tutto ciò che è spettacolo ed è estremo mi piace. Anche i Death SS fanno spettacolo e sono estremi, di conseguenza non poteva non piacermi il Wrestling perché c’erano molte affinità con la band stessa. I wrestlers, oltre ad essere dei bravi atleti, sono anche dei grandissimi interpreti, dei grandissimi attori. Mi piacciono moltissimo questi spettacoli dove si unisce sport e violenza, anche le storie che interpretano i vari atleti le trovo divertentissime. Fortunatamente questa passione ha avuto la possibilità negli anni, visto anche il grande successo che ha oggi il Wrestling, di concretizzarsi in una collaborazione diretta fra i Death SS e la ICW. I dirigenti della federazione italiana cercavano un gruppo che scrivesse per loro l’anthem di entrata e mi sono fatto avanti io. Da qui è nata appunto Give ‘em Hell, brano che è piaciuto tantissimo e che è diventato l’anthem di entrance ufficiale per la ICW.

J.P. - Sei appassionato anche di cinema Horror, vero?

Steve - Certo, proprio ora sto curando una riedizione su DVD di classici italiani scomparsi e faccio in modo di poterli ristampare appunto in formato DVD ad un prezzo economico. Trovo che il cinema Horror italiano sia un nostro patrimonio importantissimo e non credo che debba andare perso.

J.P. - Anche io penso che il cinema Horror italiano sia nettamente superiore a tutti gli altri.

Steve - Verissimo, lo dicono tutti. La cosa più strana, secondo me, è che finora i film classici di culto italiani degli anni sessanta e settanta che fanno parte della categoria Horror si potevano trovare solamente in America, dove sono molto seguiti, ma erano praticamente introvabili proprio qui in Italia.

J.P. - Quali sono i tuoi film e registi preferiti?

Steve - Anche in questo caso l’elenco è sterminato: dai classici di Bava e Fulci si arriva a registi praticamente sconosciuti come Renato Polselli. Sono veramente tantissimi che hanno diretto film italiani di questo tipo in quel determinato periodo storico che sono sconosciuti ai più ma che hanno creato delle autentiche perle. Si parla dei cosiddetti b-movies ma io li chiamerei anche z-movies perché fatti con mezzi molto poveri e proprio per questo motivo diventavano addirittura divertenti. Infatti guardarli è una cosa che mi diverte e mi rilassa moltissimo piuttosto che vedere una mega produzione americana ricca di effetti speciali costosissimi che rendono il film più un videogioco che qualcosa di artistico.

J.P. - Quindi anche il cinema Horror ha influenzato la musica dei Death SS, è così?

Steve - Certo! Da piccolo, prima di ideare questa cosa dei Death SS, andavo al cinema a vedere tutti questi film italiani di cui ti parlavo e mi divertivo cercando di spaventarmi e, sull’onda di questo sentimento, creare appunto le mie canzoni.

J.P. - Quale disco dei Death SS reputi quello meglio riuscito?

Steve - Tutti i sei sigilli pubblicati fino a questo momenti hanno avuto un loro senso e quindi li amo tutti allo stesso modo, perché ognuno doveva rappresentare un determinato periodo storico, un determinato momento magico, una determinata operazione a livello di argomento e di influenze esoteriche. Per cui tutto quanto ha seguito il suo percorso dall’inizio fino ad adesso. Tutta la storia doveva durare circa trent’anni, direi che siamo molto vicini alla conclusione, e tutto fa parte di un disegno del destino ben preciso. Quindi non posso dire se mi piace di più un disco rispetto ad un altro, musicalmente ogni album è figlio del suo tempo, anzi ne è il precursore. Siamo sempre stati più avanti rispetto al nostro tempo e questo te lo dico senza falsa modestia, perché quando uscì ad esempio Heavy Demons nel 1991 l’ondata del Power Metal non era ancora arrivata e all’epoca invece il tipo di produzione scelta per l’album in questione aveva un approccio molto Power. Panic stesso è stato un disco capito qualche anno dopo e pure Humanomalies è un lavoro molto avanti, molto sperimentale e tutt’ora trovo che non sia stato colto nella sua piena essenza e sono sicuro che ciò accadrà in futuro. In un certo senso i Death SS sono sempre stati dei precursori di quello che verrà dopo.

J.P. - Non hai un album preferito dei Death SS quindi?

Steve - No, non posso dire di avere un album preferito. Se dovessi scegliere ti direi che il mio preferito, in questo momento, è proprio The Seventh Seal, perché rispecchia esattamente quello che siamo ora.

J.P. - Sei veramente soddisfatto del nuovo album allora!

Steve - Certamente! Come ti dicevo ci abbiamo lavorato per più di un anno e mezzo ed era un disco che avevo in mente, a livello di concezione, fin dall’inizio.

J.P. - Nei testi di The Seventh Seal di cosa parlerete?

Steve - Non tutti gli aspetti sono necessariamente collegati fra di loro in maniera filologica, però ci sono 12 canzoni, tutte inedite appunto, ognuna delle quali ha un elemento a sé che rappresenta una particolare situazione. Non ci sono storie Horror particolari. Per esempio, la titletrack è un brano che dura più di otto minuti e che si può riallacciare come atmosfere alla nostra vecchia Terror. E’ un pezzo dalle moltissime influenze: dall’Hard Rock, al progressivo, dalle sonorità tipiche degli anni settanta a qualcosa di molto più moderno, tutto miscelato insieme. Si avvale inoltre ben due assoli che, invece di essere stati fatti con la classica chitarra, sono stati fatti con flauto e sax, suonati per l’occasione da Clive Jones, membro originale dei Black Widow e mio grande amico.

J.P. - Ci sono altre collaborazioni all’interno del disco?

Steve - Diciamo che ho cercato di fare tutto in casa, senza troppe collaborazioni, anche perché considero ormai Clive quasi come uno dei Death SS, vista l’amicizia che ci lega da così tanto tempo e la stima che ha verso il nostro progetto. Di conseguenza la scelta di avere lui come ospite nel disco è stata normalissima e quasi obbligata. Poi ci sono altre persone che ci hanno aiutato nelle sessioni di registrazione a Los Angeles ma nessun ospite particolarmente importante.

J.P. - Parlando del tuo progetto solista, per quale motivo hai scelto di intraprendere questa carriera parallela?

Steve - Sotto il monicker di Steve Sylvester, come progetto solista, ho realizzato due dischi che sarebbero stati quello che avrei dovuto fare in un periodo di fermo con i Death SS, mi riferisco al periodo che va dal 1982 al 1988, quando poi per vari motivi, anche fisici, la cosa non è stata possibile. Sono serviti quindi a riempire un buco all’interno di questa storia magica, di questi sigilli appunto. Gli album sarebbero potuti uscire anche come Death SS, perché, nei miei dischi solisti, mi sono avvalso della collaborazione di quasi tutti i membri della band passati e presenti.

J.P. - Sei effettivamente legato a questi dischi?

Steve - Certo, certo! Questi album rappresentano una fase di passaggio e di completamento di alcuni vuoti che sono nati durante la storia dei Death SS.

J.P. - Che rapporto hai tu personalmente con la religione e la spiritualità?

Steve - La spiritualità è una cosa molto importante, tutti noi abbiamo una propria spiritualità. La religione, come associazione monoteistica organizzata, francamente non mi interessa. Odio tutto ciò che è organizzato, odio tutto ciò che è monoteistico o dittatoriale in un certo senso. Io sono per una libera interpretazione della propria spiritualità. Ognuno si deve trovare la sua disciplina di vita, che non deve essere necessariamente una religione, ma più una filosofia, attingendo da tutte le varie cose che il mondo ti può offrire e tutte le varie influenze di vita. Il modo migliore per trovare la propria spiritualità è studiando, informandosi e ricercando soprattutto una via spirituale, senza sconfinare per forza in un organizzazione o nel fanatismo. Nel disco c’è una canzone, intitolata Psycosect, che parla proprio di queste cose qui. Tutto ciò mi sta molto a cuore. Esiste appunto il Chaos Magic, cioè la possibilità di attingere e prendere, da tutto, solo le cose che fanno bene a te stesso e personalizzare quindi la propria religione. La filosofia di vita è un qualcosa di solamente tuo, non è mai uguale a quella di un’altra persona, che serve a farti star bene ed a farti cresce spiritualmente, senza seguire un dogma o determinate regole e obblighi.

J.P. - Come reagisci alle stupide, secondo me, dicerie che ti vogliono come eterno porta-sfortuna?

Steve - Mi divertono moltissimo! A quelli che mi dicono che porto sfiga rispondo che è verissimo, porto sfiga a chi se la merita! Sei uno sfigato e io ti porto sfiga semplicemente perché te la meriti. Però è anche vero che porto molta fortuna a tanta altra gente.

J.P. - Non pensi che questo fatto possa aumentare anche benevolmente l’alone oscuro presente intorno ai Death SS e alla tua figura?

Steve - Sinceramente non me ne è mai fregato nulla. Dopo quasi trent’anni di carriera non ho bisogno di questi mezzi per alimentare, bene o male, la leggenda sulla band. Anche se noi siamo un gruppo che non hai mai sfondato a livelli commerciali, cosa questa che non mi è mai interessata, siamo comunque conosciuti a livello internazionale ed in Italia siamo gli unici a cui hanno dedicato un tribute album e questa è già una grossa soddisfazione. Inoltre ho sempre fatto quello che volevo fare e questa è un’altra soddisfazione non da poco. La gente pensi quel che vuole, io tirerò avanti comunque per la mia strada.

J.P. - E’ vero che da giovane, per vincere la paura, passavi alcune notti all’interno di un cimitero?

Steve - E’ verissimo! Oltretutto sto scrivendo una biografia dove racconterò tutta questa fase della mia vita, questo primo periodo, che potrà essere penso interessante per molte persone, dal momento che può far capire il perché del mio modo di vivere. Si, io da bambino andavo appunto a vedere questi film Horror in genere ricorrendo ad ogni tipo di sotterfugio. Io infatti non avevo ancora 14 anni e per poter vedere quel genere di film bisognava avere un età minima appunto di 14 anni. In ogni caso riuscivo quasi sempre ad entrare , guardare rigorosamente da solo questi film e poi, all’imbrunire, andare dentro un cimitero, magari scavalcando anche un muro di cinta. Tutto ciò aumenta moltissimo l’adrenalina dentro di me ed è una cosa un po’ masochistica se ci pensi, ma la paura è comunque una forza, una forza che ti fa aumentare l’adrenalina e grazie a ciò riuscivo a compiere i miei primi atti di auto magia.

J.P. - Che rapporto avevi con la paura? Ora cosa è cambiato?

Steve - Oggi è sempre più difficile avere paura, se non altro per quanto riguarda la paura catartica e liberatoria che ti posso dare spettacoli forti o la stessa musica. Ora le paure sono più materiali, riguardano il mal di vivere quotidiano, sono legate alla salute, all’economia e alla situazione politica mondiale. I problemi e le paure del mondo che si vedono nei telegiornali non hanno nulla a che fare con la paura sana dell’Horror, del Wrestling, del cinema e della musica. La timore vero di tutto ciò che è orrore ed oscurità al giorno d’oggi viene rovinato anche da stupidi videogiochi che distruggono tutta l’influenza romantica che poteva avere in passato la paura.

J.P. - Hai parlato poco fa di una biografia, puoi anticiparci qualcosa?

Steve - La cosa è già in cantiere da tempo, non so ancora quando sarà terminata. Si tratta appunto di un libro dove racconterò storie ed aneddoti su tutto ciò che riguarda il primo periodo dei Death SS.

J.P. - Bene Steve, ti ringrazio per averci dedicato un po’ del tuo tempo. E’ stato un unore per me poter scambiare qualche parola con te, speriamo di vederti presto su RockLine.it per discutere del vostro nuovo album! Buona fortuna per l’uscita di The Seventh Seal. Alla prossima, ciao!

Steve - Grazie mille, farò sicuramente visita al sito. Non rimarrai certamente deluso da The Seventh Seal. A presto allora, ciao!

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