Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Etichetta: 
Drag City
Anno: 
2012
Line-Up: 

Ben Chasny - Guitar, Vocals

Ben Flashman - Guitar, Bass, Vocals

Tim Green - Guitar

Utrillo Kushner - Bells, Drums, Guitar, Piano, Vocals

Ethan Miller - Guitar (Rhythm), Organ, Slide Guitar, Vocals

Noel von Harmonson - Guitar, Guitar (Rhythm), Vocals

Tracklist: 

1. Waswasa - 5:26
2. Close to the Sky - 7:17
3. They Called You Near - 4:20
4. Solar Ascent - 3:25
5. One Thousand Birds - 6:14
6. Your Ghost - 2:58
7. Even If You Knew - 7:12
8. Visions (From Io) - 4:46

Six Organs of Admittance

Ascent

Leggendo da qualche parte una discografia ‘essenziale’ di Neil Young, ho contato ben 48 albums e la cosa non stupisce se si considera l’età e la caratura di Neil Young nonché il fatto che in genere queste appendici monografiche vengono redatte da appassionati, quindi generosi e di parte.

Se un articolo del genere dovesse essere scritto da un cultore di Ben Chasny che pur avendo debuttato ‘solo’ una quindicina di anni fa già vanta una discografia abbastanza ‘complessa’, cosa ne verrebbe fuori?  Un’esagerazione mostruosa, vista la difficoltà a lasciar fuori qualcosa per la paura di perdersi e far perdere quel qualcosa o una stringata e ragionata lista dei soli albums ufficiali, magari solo quelli sotto il monicker  Six Organs Of Admittance? Difficile rispondere, visto che ad ogni sbuffo per ogni nuova e frequente uscita di  un artista così prolifico come il nostro corrisponde altrettanto entusiasmo per la capacità di spiazzare andando a parare altrove dalla volta precedente, pur mantenendo sempre un livello altissimo.

Così successe dopo ‘Luminous Night’. Una volta che ci rendemmo conto che in quell’album (tra i più commoventi e toccanti mai ascoltati dal sottoscritto, alla pari – per intensità emotiva, non per genere - di certe cose di Nick Drake o di Bill Fay) Ben Chasny scese a patti con il formato canzone, mettendo un po’ da parte sia il suo proverbiale fingerpicking che la torrenziale prosa elettrica, uscì Asleep On The Floodplain (era solo l’anno scorso), album che provocò in qualcuno quello ‘sbuffo’ solo perché si privilegiava di nuovo, fortemente, la dimensione acustica e raga.

Personalmente credo che Asleep…sia stato uno degli albums della sua discografia (nonché tra quelli del 2011) più ingiustamente sottovalutato poiché, anche se è vero che Chasny in quell’episodio ripercorreva strade già battute, lo faceva con l’acquisito dono della sintesi, senza l’eccessiva verbosità strumentale che caratterizzava parte del suo passato.

E così dopo aver salutato appena qualche mese fa la superba collaborazione del nostro con i portoghesi Gala Drop, ci siamo ritrovati tra le mani questo Ascent e lo scetticismo d’obbligo è durato meno di due minuti:  alla metà del primo brano ho pensato che Chasny deve essere uno strano ibrido tra genio ed animo semplice.

Perché dopo tali premesse tutto ci si può aspettare ma non un brano come Waswasa, cavalcata strumentale (la voce che affiora è ininfluente in questo caso) di acid-rock iperelettrico, intrigante in quanto supportata da un riff tanto essenziale quanto il contro-riff che gli corrisponde di diversi toni sotto e la solista che si avvita su sé stessa e alle nostre sinapsi per tutta la durata del brano, satura e densa di wha-wha, fuzz ed ogni altra diavoleria analogica seventies. Adrenalinica davvero. Lo stoner a livelli di sacralità. Film già visto con i suoi Comets On Fire? Magari si, i suoni sono anche quelli (del resto in quest’album ci suonano tutti i suoi vecchi amici di quella band), ma c’è una poetica chasnyana, intima e lunare nei brani a venire che è suo trademark a dispetto dell’irruenza polverosa, alcoolica e progressive delle ‘comete infuocate’.  

Infatti nella seconda traccia Close To The Sky il tono della sua voce è molto confidenziale, come l’abbiamo conosciuta e sentita in Luminous Night, ma senza quella malinconia, senza quella tristezza cosmica quasi leopardiana a dominare poiché qui c’è l’afflato più spirituale della miglior psichedelia americana di sempre, come se ci fossero i Quicksilver ad ispirare dall’alto.

They Called You Near è ancor più introversa, il tono è ieratico ed i drones imperano prima di sciogliersi in un raga orientale periodo Dust & Chimes.

Solar Ascent posta al centro dell’album e nodo concettuale dello stesso è una visione che vive degli stessi bagliori accecanti di River Of Transfiguration (da Sun Awakens) con la differenza che in quella vecchia traccia per raggiungere tale stadio occorreva attraversare una buia caverna per ventitre minuti mentre ora a  Ben Chasny bastano solo tre minuti per dirci che il suo nirvana l’ha forse già trovato e lo sta contemplando.

In One Thousand Birds si respira ancora aria d’alta quota: una catarsi hendrixiana vista alla moviola dall’aeroplano Jefferson prima di schiantarci sorridendo nel campo di Woodstock.          

Il folk gentile di Your Ghost prelude ad un altro episodio molto acido, Even If You Knew, brano caratterizzato dal passo sincopato e da una vocalità sconosciuta, quasi un garage-sixties pronto ad esplodere se non fosse che le chitarre in overdrive perenne lo guidano in modo irresponsabile e divino verso una jam infuocata.

La conclusiva Visions (From Io) è quasi una ballad, dolce, melodica e tonda,  e chiudere un album così da parte di Chasny significa solo rendere omaggio ad una tradizione psichedelica statunitense di cui lui ne è parte e forse tra i maggiori esponenti contemporanei,  sebbene finora la abbia lambita solcando i percorsi più ardui del folk sperimentale, quello a stretto contatto con la drone music; ora che il suo linguaggio si è fatto più universale in senso rock, l’evoluzione e la declinazione mistica del flower-power e dell’acid-rock han raggiunto la sua massima albedo.

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