STORIA DELL'ELETTRONICA I

L'ECO NEL RESTO DEL CONTINENTE
 
Dopo le grandi esperienze di Colonia e Parigi, il fenomeno elettronico incominciò ad espandersi in tutta Europa: nuovi studi radiofonici sorsero con impressionante rapidità nelle maggiori città del continente, permettendone una propagazione vigorosa, nonché inaspettatamente omogenea, in quanto in molti paesi sussisteva ancora un orgoglioso senso di appartenenza alle proprie tradizioni musicali uscite massacrate dalla strage generale delle due Grandi Guerre. Nel vuoto sociale ed esistenziale in cui il nostro continente sprofondò a partire dal secondo dopoguerra, la musica elettronica fu la voce che innalzò il patologico bisogno umano di seppellire le vecchie tradizioni per proiettarsi verso una nuova rinascita, brusca e violenta, ma che d’altra parte necessitava di un totale distacco da ogni forma di passato per una sua netta emancipazione.
Schaeffer, Eimert e Stockhausen fornirono le basi per tale diffusione, grazie a quelle scoperte ed invenzioni senza le quali il processo di evoluzione del genere si sarebbe bruscamente esaurito. Le esperienze elettroniche nelle altre città europee assunsero infatti i caratteri di “filiali del suono” della grande azienda elettronica tedesca ( e in scala minore di quella francese), rappresentando esse la numerosa progenie dello studio di Colonia. Per molti anni la musica elettronica si sviluppò nel resto del continente come un’obbligata imitazione delle sue espressioni primordiali: soltanto in pochi Paesi, tra cui l’Italia milanese di Bruno Maderna e Luciano Berio, si riuscì ad elaborare il Nuovo Suono in maniera originale e peculiare, nonostante le contaminazioni di scuola sia francese che tedesca rimanevano alla base di ogni tipo di esperimento sonoro. Il fermento elettronico ela sua conseguente diffusione raggiunse il suo apice all’incirca verso l’ultimo biennio degli anni ’50, con il fiorente sorgere di nuovi studi come quello di Varsavia (1956), in cui la musica elettronica si riempiva di costanti riferimenti politici e sociali come accadde anche più tardi con Luigi Nono, il centro Apelag di Bruxelles (1958) con Henry Pousseur (grande teorico oltre che musicista), il laboratorio della Philips ad Eindhoven (1954) con Henk Badings (in ogni caso ininfluente per gli esiti della musica elettronica futura), senza contare poi i già citati studi tedeschi di Darmstadt, Baden-Baden e Monaco. Ma anche fuori dal territorio europeo la musica elettronica prese vita, principalmente negli Stati Uniti, terra in parte già attiva grazie alle precedenti sperimentazioni rumoristiche di John Cage ed Edgar Varèse nonché passata alla storia per la creazione del primo sintetizzatore di suono, e in Giappone, dove comunque le maggiori esperienze si presentavano come scadenti emulazioni delle ricerche tedesche.
Gli studi di Milano e Bruxelles furono gli unici che non solo riuscirono a seguire delle coordinate proprie e distaccate, ma rimasero attivissimi anche negli anni ’60, costituendo l’unica valida alternativa alla supremazia che rispondeva al nome di Karlheinz Stockhausen.

Nello studio milanese nacque infatti una delle testimonianze più libere e naturali del panorama elettronico d’allora: a metà strada tra il concretismo parigino e il purismo della scuola di Colonia, Berio e Maderna coniarono un linguaggio compositivo che non solo approfittava e traeva vantaggio dai primi errori e dalle incertezze in cui lo studio tedesco e quello francese inciamparono durante i primi anni di sperimentazione, ma si poneva come un’espressione nuova e sapientemente distaccata dagli esempi che la precedevano. Ritratto di Città è la prima grande collaborazione dei due musicisti che nel 1954 forgiano un’opera dal grande valore storico, soprattutto per il fatto che si trattò della prima composizione elettronica in terra italiana: una danza inquietante e spesso disordinata di voci, rumori ed effetti elettronici che descrive una Milano distorta in questa marea di tumulti sonori. Il pezzo si pone come emblema dei primi anni di vita dello studio milanese, in quanto vi si possono trovare all’interno chiari elementi di derivazione futurista (l’estetica del rumore di Luigi Russolo), di matrice concreta (il caotico accostarsi di materiale registrato nella realtà) e di leggero richiamo purista. Su queste basi venne portato a termine il primo esperimento di Berio e Maderna, ma si trattava ovviamente della prima esperienza, di un antipasto sonoro che nel tempo avrebbe conosciuto delle evoluzioni sempre più complesse e migliorate. Man mano che gli studii sul materiale elettronico andavano avanti, il duo milanese si allontanò di pari passo sia dall’influenza di Schaeffer sia da quella dei maestri tedeschi: in Musica su Due Dimensioni (1958) Maderna sperimenta infatti un’interessantissima fusione tra strumenti classici dal vivo e generatori di suono, come del resto fece anche il collega Berio, sempre nello stesso anno, con Differencès, in cui la sezione strumentale (flauto, violino, viola, violoncello, clarinetto, arpa) e il nastro magnetico si riproducono in continui accavallamenti melodici e strutturali, ampliando vertiginosamente il raggio d’espressione e di varietà atmosferica della musica. Portandosi in tal modo a distanza sempre crescente dai due poli principali che avevano occupato lo scenario elettronico a partire dal secondo dopoguerra, Berio e Maderna rappresentarono il volto nuovo di un genere che, senza le loro intuizioni, molto probabilmente sarebbe rimasto brutalmente vincolato ad un’estetica di sola tecnica, ad una sperimentazione sonora svuotata però delle sue componenti più affascinanti e profonde, come dimostra l'altro capolavoro di Berio, Thema - Omaggio a Joyce per sola voce, rielaborata e filtrata elettronicamente.
La storia ci ha dimostrato che per distaccarsi o per dimenticare una tradizione, una concezione passata o un determinato tipo di valore culturale, è quasi sempre necessario fare tabula rasa, azzerare senza ripensamenti ogni collegamento con ciò che non appartiene all’”oggi”, per migliorarsi in seguito sui propri errori e rielaborare, modificare ed ampliare ciò che di nuovo si è costruito. L’esperienza elettronica seguì un percorso simile, partendo dapprima come una disordinata (e spesso insensata) necessità di distruzione dei dogmi tradizionali, per trasformarsi poi in un universo culturale estremamente variegato, esteso e affascinante.
Con gli anni ’60 il panorama cambiò completamente, si uniformò man mano che il tempo si dilatava, permettendo alla musica elettronica di stabilizzarsi, di esprimersi non più come linguaggio di sola rottura e di “avanguardia a tutti i costi”, bensì come un genere musicale vero e proprio, una concezione rivoluzionaria ma adesso anche cosciente di se stessa, della sua importanza storica e delle sue innovazioni tecniche che, come tutti sappiamo, sono adesso alla base di una grande fetta della musica contemporanea.



 

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente