Tankard
29/09/06 - Rainbow - Milano
I Vichinghi solevano dire: 'Voglio morire con la spada in pugno!'...ma che ne direste di un 'Voglio morire con una birra in pugno...Grazie!'. Se siete di questo avviso allora avreste dovuto esserci venerdì 29 Settembre allo storico Rainbow di Milano, per la data lombarda del The Beauty And The Beer Italian Tour 2006 capeggiato dai re del demential-alchoolic-thrash Tankard. Supportati da quattro formazioni italiane, tra le più promettenti in ambito thrash/death, il quartetto di Francoforte ha come al solito dato il massimo sul palco....e dietro il bancone! Ma passiamo alla cronaca di un concerto come, sfortunatamente, se ne vedono pochi, per atmosfera rilassata ed allegria!




Aprono le danze i milanesi Dystopya, four-piece dedito ad una miscela di thrash Bay-Area classico, Pantera-style (di cui proporranno anche la cover di Domination) ed occasionali aperture melodiche. Qualche problema di suoni all'inizio, durante il brano P.I.L., che provoca anche qualche sbavatura al chitarrista Ivan sulle parti di pulito. Superata, però, questa fase di assestamento, i suoni migliorano ed i Dystopya possono mostrare tutti i punti a loro favore; buona energia sul palco, una discreta coesione ed un songwriting interessante, che punta molto sull'interpretazione, in pezzi come Timanfaya e Alameida, del singer Luca, abile nell'alternare le raw-vocal thrash a parti più melodiche per i passaggi di atmosfera (qui si nota il miglioramento rispetto ad altre esibizioni live osservate in passato). La scaletta, che vede anche la presenza di Fog Of Fear, altro brano contenuto nel demo del 2004 Alameida e sul debut-album di prossima pubblicazione Always Remember Me, viene chiusa con l'omaggio a Dimebag Darrell, mediante la celebre Domination. Unico appunto e difetto vero e proprio dei Dystopya: l'assenza di una seconda chitarra, necessaria per sorreggere il loro 'wall of sound', magari specializzata negli assoli, visto che Ivan appare più a suo agio nelle ritmiche. Una buona prova, con il valore aggiunto dal fatto che, aprire uno show davanti a sole dieci persone, non è mai emotivamente facile.

Si passa ad una forma più evoluta e strutturata di thrash quando, sul palco del Rainbow, salgono i meneghini Alterhate, da poco ritornati da una positiva data negli States. Primi Machine Head, Pantera, echi di Meshuggah, ma anche puntate alla massima velocità degli ultimi Forbidden, incrociati con elementi che possono essere riconducibili anche a Fear Factory, Korn e Mudwyne, sono il complesso e poliedrico DNA del quintetto che vede come front-man il cantante/chitarrista Sergio e dove spiccano il chitarrista solista Flash ed il terremotante e terroristico (visto il passamontagna che ne cela l'identità!) batterista Jabba. A dominare la scaletta del five-piece di Milano ci sono i brani che compongono il loro demo Destroy, tra cui proprio la title-track, Schemes Of An Old Mentality e Black Demise. I suoni, stavolta, sono subito ottimi, il pubblico è in aumento e la performance del combo lombardo coinvolge e deborda, alternando strutture complesse, parti stoppate in tempo dispari ed attacchi furiosi in pieno stile Bay-Area. Anche nelle linee vocali gli Alterhate si mostrano 'tormentati e contorti', con Sergio che si destreggia tra ottimi howling e voci malate, nettamente influenzate da Jonathan Davis. Purtroppo, è quest'ultima caratteristica che macchia una prestazione di alto valore: le clean vocal appaiono un po' fuori contesto nello strutturato ed ultra-violento thrash tecnico di nuova generazione degli Alterhate. Una gran prova, però, forse leggermente sottotono per quanto riguarda la presenza scenica, ma sono inezie queste. Da tenere d'occhio.

Altra band italiana ed altra, felicissima, conferma della qualità elevatissima che le formazioni di metal estremo tricolore hanno raggiunto. Gli Eviscerate, quartetto bresciano dedito ad un death/thrash molto tecnico e fantasioso, si dimostrano, puntando sui brani del mini-CD autoprodotto Shadows Out Of Time (titolo dal sapore lovecfatiano), forse la band migliore della serata, al pari con gli headliner Tankard (senza nulla togliere all'ottima performance degli Irreverance). La base del death/thrash tecnico dei Sadus viene arricchita dalla velocità thrash di gruppi quali Forbidden degli esordi, Death Angel, ma anche gruppi power U.S. come Agent Steel ed Helstar. Il guitar-work delle due asce di Nicola Panteghini e Mario Monteverde (quest'ultimo all'opera anche per il tagliente growling che ricorda Sadus e Carcass), virtuoso e possente, è la base di brani come Existence e New Birth, dove emerge tutto il retaggio della scuola estrema statunitense dei primi '90, supportato da una sezione ritmica che vede nel bassista Giancarlo Gaia un altro elemento distintivo della band, che richiama ancora alla formazione di Di Giorgio. La batteria di Alessandro Todeschini completa il reparto ritmico alla perfezione; sono i pezzi, oltre alle doti tecniche del combo di Brescia, a lasciare il segno: Black Soul, Stolen Heartbeats e l'opener del già citato mini, What Was Once...Is Nevermore, offrono una formazione matura sotto il profilo stilistico e compositivo, con pezzi che sanno distruggere con la stessa forza dei Dark Angel di Leave Scars ma, allo stesso tempo, esaltare per le prodezze strumentali ed il gusto ed avvolgere con break atmosferici davvero notevoli, specie se accompagnati dagli assoli di Nicola. Se aggiungiamo l'intro, tratta dal 'mitologico' 'Attila Flagello di Dio' (esatto, il famoso 'spelling barbarico'), in perfetta sintonia con la serata e l'intensità di Mario quale front-man, ci troviamo davanti ad una promessa che è quasi una realtà ormai. Grandiosi.

'Quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare'. Per gli Irreverance questo non è un motto ma un vero e proprio dogma. Il four-piece milanese capitanato dal cantante/chitarrista Ricky, forte del suo debut album uscito quasi un anno fa, War Was Won, parte subito in quarta, con il suo thrash old-style di scuola tedesca che ha nei Kreator la base ispirativa di maggior peso. La forza degli Irreverance è sicuramente il gioco di squadra e la coesione di un combo solidissimo dal vivo quanto micidialmente efficace in studio. La loro prima e, finora, unica release ufficiale la fa ovviamente da padrone, dove emergono la title-track, Worst Enemy e Slaughter Of The Innocents, veri ordigni mortali dove le chitarre di Ricky e Luca salgono sugli scudi per la loro quadratura ritmica davvero dirompente. Energia, rabbia e sudore, questo è il violentissimo e veloce thrash targato Irreverance, con spunti di velocità dei migliori Overkill, capace di surriscaldare un pubblico aumentato di numero ma, ad essere onesti, ancora esiguo per un evento musicale di questa portata. La cover della band 'grezza' per eccellenza, Ace Of Spades (degli intramontabili Motorhead) suggella una prestazione efficace e spietata, ottimo riscaldamento per il gran finale Tankard. Anche stavolta gli Irreverance 'hanno vinto la loro guerra'.

Preparate i boccali da 30 mm, le spine calibro 44 magnum ed i bombardieri etilici: lo squadrone della 'morte al malto' sta per colpire ancora. Freschi come delle rose (o delle birre appena spinate?) Gerre, Andreas, Frank e Olaf assaltano il palco ed il pubblico del Rainbow, considerevolmente aumentato (peccato che qui in Italia molta gente snobbi le band di supporto, specialmente se nostrane...) anche se sotto le aspettative, con l'armamento pesante del loro ironic-ethilic-thrash: Chemical Invasion, Zombie Attack, The Morning After e pezzi come The Beauty And The Beast e Ice-olation, tratti dalla loro ultima fatica, The Beauty And The Beer. La chitarra di Andreas, unita alla base ritmica di Frank ed Olaf, tesse trame d'assalto potenti, varie ed efficaci, piene di dinamica e vivacità, con una perizia esecutiva di prim'ordine, che spesso ci si dimentica quando si parla dei Tankard. I Tankard sono soprattutto la maestosa (anche in senso fisico) figura di Gerre, voce, anima...e boccale di questa band. Voce grintosa e sferzante, ma anche precisa potente e carica di efficacia, per testi tra il demenziale e la parodia, tra l'ironia e la satira, Gerre è anche un vero front-man di razza, capace di trascinare il pubblico come pochi, in virtù del suo italiano claudicante ma incredibilmente efficace (specie nei commenti calcistici sulla Juventus). Discorsi, però, che non rubano molto tempo a quella che è la cosa più importante...la musica. I quattro di Francoforte continuano a macinare pezzi nuovi e storici come Stone Cold Sober e, verso la fine, assestano il colpo mortale ai mosher della prima linea d'attacco (dopo che Andreas ha respinto due assalti a colpi di reggiseno blu lanciati da qualcuna...o anche qualcuno, del pubblico) con l'anthem Die With A Beer In Your Hand.

Tankard al massimo, i guest italiani all'altezza ed in ottima forma, pieni di talento (e dopo il concerto anche di birra, magari!!) ma un po' snobbati da una parte del pubblico di casa, atmosfera entusiasta e positiva: con alcune ombre, la data meneghina del Beauty And The Beer Tour si conclude con un riscontro positivo...buon motivo per Gerre e tutta la crew di festeggiare...'Oste, una birra!'

Report - Andrea "Vash Delapore" Evolti
Foto - Andrea "AFTepes" Sacchi

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