Opeth + Burst
13/12/2005 - Rolling Stone - Milano

Un binomio alquanto inatteso quello del Rolling Stone di Milano di martedì 13 dicembre. I Burst, band Metalcore reduce dalla pubblicazione dell'ultimo Origo hanno suonato da supporto agli Opeth che, guidati dal grande Mikael Akerfeldt, hanno strappato lacrime ed esaltato tutti i presenti, proponendo anche le canzoni dell'ultimo Ghost Reveries.


Era dal 17/18 aprile 2003, date dei live al Transilvania di Milano e al New Age di Treviso, che gli Opeth non suonavano in Italia: grande attesa ha accompagnato il loro ritorno nel nostro Paese in occasione del tour 2005 di Ghost Reveries e le aspettative non sono state per niente deluse, perché la serata del 13 dicembre al Rolling Stone di Milano si è rivelata un momento magico per i tanti fans accorsi da tutto il Nord Italia a gustarsi la performance di Mikael Åkerfeldt e compagni.
L’atmosfera buia e tetra del celebre locale milanese era sicuramente adeguata alla direzione musicale del concerto: le composizioni degli Opeth, desolate, acustiche e devastanti allo stesso tempo hanno trascinato la folla in un intenso vortice di emozioni e di passione.
Tante le sorprese della serata, ad iniziare dallo strano accostamento Burst - Opeth, forse accomunati solo dalla provenienza. Il genere proposto dai Burst, un Metalcore alquanto originale, ricco di elementi Progressive e Doom, non è paragonabile neanche lontanamente allo stile della band headliner, e questo fatto ha spezzato, seppur per poco, l’alone oscuro creatosi nel Rolling Stone.
Secondo particolare di fondamentale importanza è stato la mancanza dello strepitoso Martin Lopez alla batteria del quintetto capitanato da Åkerfeldt: a rimpiazzare la sua presenza in tutto il tour di Ghost Reveries comunque è intervenuto l’altrettanto valido e virtuoso Martin Axenrot (Witchery, Niflheim, Bloodbath), sicuro e preciso per l’intera durata dell’esibizione.

I cancelli, come prestabilito, vengono aperti alle 19 e gli spettatori già giunti prendono posto chi sulle gradinate, chi sotto il palco del locale: alle 20, puntualmente, i Burst aprono la serata per proporre, nella mezz’ora loro concessa, alcune canzoni tratte dagli ultimi Prey on Life (2003) e Origo (2005). Come sopra riportato, il quintetto svedese, pur suonando un genere abbastanza innovativo, non varia granché il proprio registro stilistico: i brani, nonostante brillino in potenza e aggressività sia nell’appoccio Core vocale sia nell’accompagnamento strumentale, sono simili l’uno agli altri e la loro chiave di lettura può essere quella dell’impatto sonoro sul pubblico. E’ stata la seconda volta che i Burst si sono esibiti nel nostro Paese e l’accoglienza degli spettatori è stata caldissima, sebbene solo una minoranza di loro conoscesse il gruppo di supporto agli Opeth.

Dopo mezz’ora di pausa tra un concerto e l’altro, alle 21 precise si abbassano le luci e i cinque svedesi fanno capolino sul palco, abbracciati dalle urla dei fans: quattro rintocchi di un piatto ed ecco Ghost of Perdition ergersi con la sua coinvolgente maestosità. Da subito Mikael e gli altri dimostrano grande esperienza nel sapersi confrontare con il caldissimo pubblico italiano. Ottime le sezioni più tirate, le riprese appassionanti, gli stacchi acustico/atmosferici e l’approccio vocale del front-man Åkerfeldt, demoniaco nei suoi profondi growls e delicato nel suo mesto clean. Negli intermezzi tra una canzone e la successiva, lo stesso Mikael scherza con i presenti, coinvolgendoli in giochi vocali, parlando di “quanto gli Opeth amano l’Italia - inteso solo come messaggio promozionale” e annunciando che la pizza svedese è di gran lunga migliore di quella italiana. E intanto la carrellata dei pezzi è eccezionale e spazia lungo l’intera discografia della band, dall’impetuosa When all’inedita live White Cluster, dall’orientaleggiante Closure alla maligna Bleak. Un nuovo ritorno al presente Ghost Reveries con il singolo The Grand Conjuration, ben sostenuto nelle linee di basso e batteria e, “per coerenza” (parole di Åkerfeldt) subito indietro alle origini con l’oscura Under the Weeping Moon, tratta dal primo Orchid. Le sferzate di tastiera giungono con The Baying of the Hounds, ben accolta dai fans sotto il palco con grida di esaltazione: siamo ormai arrivati alla fine del concerto e Mikael annuncia, con grande dispiacere per il pubblico, l’ultima canzone in scaletta, ovvero la commovente e spontanea A Fair Judgement, splendida nel suo lungo assolo di chitarra carico di sentimento. Gli Opeth così salutano tutti ringraziando e si rifugiano dietro le quinte, pronti per essere richiamati di nuovo sul palco dalla folla in delirio.
Mikael, che durante il concerto aveva raccolto da un fan un vinile di Long Live Rock 'n' Roll, storico album dei Rainbow, propone un quiz agli spettatori sulla celebre band Hard Rock; dopo le risposte esatte alle tre domande poste, gli Opeth si abbandonano all’ultimo lunghissimo episodio della serata al Rolling Stone, l’intricato e violento Deliverance che, tra growl, tempi dispari e batteria estrema in doppia cassa, coinvolge al massimo tutti gli appassionati, chiudendo in modo impeccabile una data all’insegna di una musica ragionata e complessa, raffinata quanto fuori dagli schemi.
Tanto è cambiato dalla prima esibizione che gli Opeth fecero in Italia nel 1996: il pubblico è aumentato esponenzialmente, i musicisti sono diventati cinque e ormai riscuotono successo anche per la semplice presenza scenica. La maglietta nera dei Celtic Frost indossata da Åkerfeldt è ben diversa da quella semplice T-shirt bianca “da giocatore di scacchi” con cui si presentò nel 1996: tutti questi elementi si sono lentamente trasformati, ma ciò che non è mutato nel tempo è la carica esplosiva che le composizioni sanno trasmettere, una carica che ha stregato i fans e li ha trasportati ancora una volta nel vortice Opeth. La O bianca impressa sul telone nero del Rolling Stone, già ammirata in occasione dei tanti live in giro per il mondo e della data allo Shepherd's Bush Empire di Londra registrata in versione DVD (Lamentations), troneggia ancora dopo dieci anni da quel lontano ma mai dimenticato Orchid.
La realtà momentanea è Ghost Reveries, che può essere amato alla follia o criticato per la sua diversa e strana sperimentazione, ma in live gli Opeth stupiscono sempre, lasciando nella memoria dei presenti il bel ricordo di una serata incancellabile.

Report - Edoardo "Opeth" Baldini
Foto - Davide "ergato" Merli

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