Esben and the Witch
14/05/11 - Covo Club, Bologna

 

Tutto ha inizio particolarmente tardi. Cosa inusuale per il Covo Club, non c’è gruppo spalla. Nell’attesa qualcuno fantastica su quanto sarebbe stato azzeccato l’affidar la prefazione della “favola nera di Brighton” ai nostrani Be Forest, su Facebook un mio contatto cita Voltaire: Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle.


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Quando la porta che dà sul Gate II finalmente si spalanca sono le undici: è già passata un’ora dall’apertura dei cancelli del locale bolognese. La cinquantina di presenti (che non andrà granchè ad aumentare) si riversa allora in sala particolarmente affamata. Ad accoglierla un palco già predisposto ad adoratorio: scarno, vuoto per tre quarti, tre chitarre ed un basso sul fondo, un timpano ed un piatto incrinato, due idoli di cristallo a segnarne gli angoli che danno sulla prima fila. C’è però da aspettare altri venti minuti: l’ultimissimo check rivela un problema in strumentazione sfuggito in precedenza. Si armeggia allora tra una miriade di pedali che come candele il palco ulteriormente delimitano, echeggia quella radura nascosta nel sottobosco popolato da folletti, fate ed altri cugini tanto caro all’immaginario Esben and the Witch.

Si comincia infine, dopo una breve intro preregistrata, con ‘Argyria’ e ‘Marching Song’. E l’immaginario diviene collettivo. La carica emotiva dei pezzi impatta così forte da far impallidire ogni singola, comunque intensissima, controparte su disco. Il trio porta avanti uno show con zero fronzoli ed una coerenza da dieci. Rachel Davies, la cui solida voce mai vacilla, potrebbe facilmente monopolizzare la scena. Non lo fa, ma anzi spesso e volentieri si defila per dedicarsi in ombra a danze rituali, lasciandola in mano ai due compagni. Ci si accorge allora che oltre che, prima che di gufi, crepuscoli e Siouxsiane memorie, gli Esben and the Witch son fatti d’una estrema, anatomica coesione. Coesione che tocca il suo apice su ‘Lucia, at the Precipice’, con i tre membri che abbandonano gli strumenti intorno e si riuniscono sulle percussioni, quasi il timpano fosse un fuoco da campo, coesione che non stupisce si trasmetta come stasi al pubblico, in costante, devoto silenzio se non per tentare di spellarsi le mani.

Altro doveroso plauso va ai fonici del Covo, la cui non facile gestione di un suono corposo quale quello degli Esben and the Witch, a rischio di eccessivi rimbalzi in spazi ridotti quali quelli in cui ci si trova, giunge all’eccellenza sulla memorabile ‘Eumenides’: lungo la sua lunga coda la chitarra di Thomas Fisher si erge così cristallina che ci si cerca pezzi di vetro addosso. È così che, secondo scaletta e dopo un’ora piena, il concerto termina. Non è però lo stesso per gli evidenti effetti del sortilegio a cui esso ha dato luogo: si continua infatti a luci accese, ordinatamente, a far la fila al banchetto allestito ad arte, con fredde polaroid ad incorniciarlo, dove solitamente sta la console per il djset del dopo-live. Per accaparrarsi almeno una reliquia, un talismano. Uno per uno, nonostante i prezzi non propriamente accessibili. Come fedeli rinati in un nuovo culto pagano.
Quel mio contatto vive in un mondo di fantasia.

 

SETLIST 
1. Argyria 
2. Marching Song 
3. Chorea 
4. Hexagons IV 
5. Marine Fields Glow
6. Lucia, at the Precipice 
7. Warpath 
8. Battlecry/Mimicry 
9. Corridors
10. Eumenides
 
Reviewer: 
Massimo Rancati
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