Dirty Three
Auditorium Malkovich, Sommacampagna (VR) - 16.11.2012

Era dall’ultimo maggio che aspettavo i Dirty Three, allorquando, a Barcellona (Primavera Sound), sequestrato dai Napalm Death raggiunsi il palco ATP solo verso la fine della loro esibizione. Giusto il tempo di pentirmi per la scelta di campo sbagliata e rendermi conto che anche nella dimensione live i tre australiani erano cresciuti tantissimo rispetto a quando suonavano a La Palma a Roma (il La Palma rock club ancor prima che jazz club, i romani  capiranno di quale era geologica si parla).

Sciamanici! Non sembri un’esagerazione l’uso di certi aggettivi: chi ha visto – almeno negli ultimi tempi – i  Dirty Three ve lo potrà raccontare. Warren Ellis è un uomo incontenibile e funge da musicista, presentatore, entertainer e – in una certa qual misura – anche performer.

La serata comincia con Zun Zun Egui (anch’essi su Bella Union) ma poiché abbiamo sempre avuto un rapporto difficile con gli orari dei concerti, ce li perdiamo. È un vero peccato perché solo pochi  minuti di robusto rock venato di trame psych, pesanti accenti funky e coloratissime istanze world lasciano intuire che  trattavasi di bello spettacolo, ma tant’è!

Intanto Jim White vaga rilassato per la sala, chiacchierando con qualcuno dell’entourage. Con il suo cappotto nero appoggiato al bancone del bar potrebbe essere chiunque tranne quello che tra qualche  minuto sarà sul palco a suonare. La  batteria. Per uno dei gruppi più intensi degli ultimi anni. Ed è anche il mio batterista preferito (almeno in ambito ‘indie).

Warren Ellis – dicevamo prima - è un gran chiacchierone. Apre con un monologo introduttivo lunghissimo  su cui poi ritornerà anche successivamente e sembra avercene per tutti. Per ovvie ragioni linguistiche non riusciamo a cogliere tutte le sfumature del suo sarcasmo ma quando ha parodiato Jim Morrison con la doorsiana litania recitata di Celebration Of The Lizard (Is everybody in? The ceremony is about to begin...) è stato alquanto triste percepire che quasi nessuno tra un pubblico sedicente ‘rock ’abbia capito.  Di contro sembra che lo stesso abbia riso di gusto quando il capobanda dei ‘tre luridi’ abbia citato in un contesto non troppo benevolo personaggi quali Bono Vox, Chris Martin con annessi Coldplay, Bon Jovi, Bon Scott con annessi AC/DC ecc. La chiosa di questa performance nella performance è stata su Facebook e gli eventi su esso pubblicizzati, presa di posizione critica, di accusa ma anche di grande ironia sulla società dello spettacolo.

Quando poi si comincia a suonareWarren Ellis passa da uno stato di relativa quiete ad uno di possessione totale: sembra di assistere ad un esorcismo. Calcia nell’aria, si getta per terra, urla, tutto sempre suonando  il suo violino angelico e demoniaco, stuprandolo come una chitarra elettrica e ricordando un altro personaggio carismatico del rock, il flautista e cantante dei Jethro Tull, Ian Anderson.

I brani eseguiti stasera sono stati pochi ma lunghissimi, spesso irriconoscibili e indistinguibili nella loro dilatazione estrema al punto da trasformarli in tante piccole jam.

Del resto chi conosce i Dirty Three sa che per il tipo di strumentazione adottato e per la mancanza di vocals, dal vivo tutti i brani finiscono un po’ per somigliarsi. Eccezion fatta per Ashen Snow dall’ultimo album Toward The Low Sun, in cui Ellis lascia il violino per posizionarsi al piano elettrico e condurci in un’atmosfera d’altri tempi , da notte di natale di epoca western. Un altro brano eseguito è stato invece Sea Above, Sky Below dall’ormai vecchio Ocean Songs, a dimostrazione di quanto il gruppo non segua esattamente delle precise strategie di marketing quali utilizzare un tour per vendere l’ultimo album pubblicato  e così via.

Si diceva poi di Jim White che è un batterista straordinario. Apparentemente scoordinato rispetto ai suoi due compari, il suo drumming vulcanico e dinamico, continuo e mutevole è  unico nel suo genere per apparire al contempo tribale e sofisticatissimo.  Persino più di certi jazzisti accademicamente marchiati. E poi sorride continuamente a Warren Ellis che – quasi sempre di spalle al pubblico – evidentemente lo guarda.

L’unico ad apparire un po’ indifferente è Mick Turner, il biondo chitarrista alquanto inespressivo, ma nel trio di carismatici ce ne sono anche troppi e forse per quegli strani accordi post-rock e galleggianti occorre anche un po’ di concentrazione.

Non occorre essere retorici incensando ulteriormente una band come i Dirty Three in questa sede quanto ribadire piuttosto che nella troppo vasta e spesso plastificata offerta della musica indie, la differenza la fanno quelle bands che dal vivo danno qualcosa in più ed in questo i Dirty Three fanno eccome la differenza.

Reviewer: 
A. Giulio Magliulo
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