Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Vincenzo Ticli
Etichetta: 
Sacred Bones
Anno: 
2011
Line-Up: 

NIka Roza Danilova - vocals, producer
Brian Foote - engineer, producer
Davery Riley - engineer
Nick Johnson - drum
Sean McCann - viola, violin
Ryan York - cello, double bass
 

Tracklist: 

1. Swords
2. Avalanche
3. Vessel
4. Hikikomori
5. Ixode
6. Seekir
7. In Your Nature
8. Lick the Palm of the Burning Handshake
9. Shivers
10. Skin
11. Collapse
 

Zola Jesus

Conatus

Al suo terzo lavoro, il talento di Zola Jesus è ormai confermato: è giovane, Nika Roza, ma realizzando tre album nel giro di tre anni è riucita a delineare un genere non nuovo, ma certamente originale. Soprattutto il nuovissimo Conatus, alleggerendo l'aria gotica che sin dall'inizio circonda i suoi lavori, smorza i toni affidandosi alla vena 90's e lo-fi condivisa da molti altri artisti contemporanei, pur mantenendo quel tocco in più che rende inequivocabilmente suoi tutti (o quasi) i pezzi che compone.

Conatus è un album dalle poche melodie semplici e dai ritmi complessi e costanti. Le prime canzoni creano un'opprimente atmosfera nebulosa, un'aura adesiva che si attacca ai timpani e che sostiene un cantato austero e imponente. Dopo l'introduzione pulsante e ventosa di Swords, tocca ad Avalanche essere il primo pezzo ad incarnare il consueto goticismo di Zola Jesus: tre note di inquieti archi sintetici si susseguono con minime variazioni per tutta la sua durata, accompagnate da sussulti elettronici fitti e da una linea vocale ampia, semplice e glaciale nelle sue improvvise strozzature gutturali. Vessel e Hikikomori sono le vette dell'album: la prima trascinante nei suoi beats cadenzati e nella scarna melodia per pianoforte e lame di sintetizzatore, la seconda, al contrario, impreziosita da complicate melodie di archi e tastiere, dissonanti sorelle che si intrecciano su ritmi discreti e profondi bassi implacabili. In entrambe, a spiccare è la voce di Zola Jesus: ferma, lugubre, si abbandona a saliscendi che trasudano un trasporto capace quasi di sciogliere il ghiaccio che, ascoltando queste canzoni, sembra respirabile. Ixode, a metà tra dance e techno, accusa un po' il colpo della ripetitività ma resta evocativa.
Improvvisamente, le nubi si dissolvono e il livore lascia spazio ad una luce tenue, una malinconia sfilacciata e diluita su pezzi che si aprono maggiormente a contaminazioni di vario genere: c'è Seekir, ritmata e rischiarata da tastiere dense e intarsi vocali, c'è Shivers, retta su complicati pattern di percussioni di chiaro stampo glitch che concretizzano evanescenti tocchi di tastiera. Affidati al pianoforte sono l'intimismo delicato di Skin e Lick the Palm of the Burning Handshake, un appassionato brano dal taglio quasi soul, diviso tra la dolcezza intensa delle melodie e la spigolosità dei colpi di frusta che tengono il ritmo.

E' sempre più chiaro che a fare la fortuna di Zola Jesus è proprio la sua consapevolezza del mondo artistico in cui è nata ed il desiderio di distinguersi senza volersene completamente distaccare. Il suo è un semplice synthpop evocativo e vibrante ma dotato di una cupezza ed essenzialità affine a quella dei Cure del primo periodo, ed è proprio questo il carattere di novità che rende inconfondibile la sua musica. In Conatus sono presenti anche tracce di altri generi musicali che se, da una parte, consentono finalmente alla musica di Zola Jesus di aprirsi ad un pubblico più ampio rispetto a quello del circuito più indipendente, dall'altra rischiano di spersonalizzarla: per dirne una, Skin sembra a tutti gli effetti una canzone della contemporanea Bat for Lashes, e Seekir potrebbe benissimo essere un pezzo del nuovo progetto di Jonna Lee, la misteriosa Iamamiwhoami.

Al di là di tutto, Conatus è un prodotto interessante che dimostra che quello di Nika Roza, alias Zola Jesus, è un talento autentico.

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