Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Kill Rock Stars
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Jamie Stewart - Voce, Chitarra, Synth, Elettronica, Musiche
- Angela Seo - Piano, Synth, Programmi
Guests:
- John Dieterich - Musiche e Arrangiamenti in "Cumberland Gap"
- Greg Saunier - Produzione
- Ches Smith - Timpani, Conga, Moog

Tracklist: 

1. Gray Death
2. Chocolates Makes You Happy
3. House Sparrow
4. Hyunhye's Theme
5. Dear God, I Hate Myself
6. Secret Motel
7. Falkland Rd.
8. The Fabrizio Palumbo Retaliation
9. Cumberland Gap
10. This Too Shall Pass Away
11. Impossible Feeling

Xiu Xiu

Dear God, I Hate Myself

Jamie Stewart è tornato. L'ha fatto con un disco che continuerà a far discutere ampiamente sul suo conto. L'ha fatto con un lavoro che ancora una volta ce ne mostra un lato diverso e ricercato. L'ha fatto e basta: le conseguenze le decideranno i verdetti del mercato e dei fan. In ogni caso, c'è da leccarsi i baffi.
Dear God, I Hate Myself è il settimo tassello (in studio) della discografia del progetto Xiu Xiu ed è l'album che fa proseguire senza difficoltà alcuna la carriera brillante, brillantissima di uno dei compositori più sperimentali e affascinanti del rock del 2000. Chi segue il progetto di Stewart sin dalle origini dovrebbe capire di cosa si sta parlando: allucinato crocevia delle tendenze più d'avanguardia del rock e del pop degli ultimi vent'anni, la musica degli Xiu Xiu ha solcato (con frequenza e intensità impeccabili) gli andamenti più contorti e cerebrali della musica di consumo del nuovo millennio, lasciando come eredità una sfilza di gioielli tra i più eccentrici degli ultimi anni. Nel 2002 Knife Play ne aveva messo in luce l'essenza più malsana e viscerale, nel 2004 il capolavoro Fabolous Muscles ne aveva fatto eruttare il fascino più profondo e penetrante, dopodichè La Forêt (2005), The Air Force (2006) e Women as Lovers (2008) ne hanno continuato a tirare fuori ritratti ai limiti del definibile, scandagliando generi, influenze, atmosfere e sonorità in un urticante mix di fantasie laceranti e inquietanti onirismi.

Dall'esordio Knife Play sono passati già otto anni, eppure Jamie Stewart pare non aver ancora finito le frecce della sua faretra, dimostrando anzi che quest'ultima è letteralmente interminabile, oltre che letale per chi viene trafitto da una delle sue creature. Dear God, I Hate Myself è un disco che del progetto Xiu Xiu continua a conservare il solito eclettismo, la solita vena fantasiosa e le medesime follie compositive seppur in un contesto sonoro differente, tanto per le forme attraverso cui si manifesta quanto per l'intensità drammatica in esse contenuta.
Ad arricchire questa volta il disegno di Stewart è un'attitudine pop nuova e diversa da quella ad esempio messa in mostra da The Air Force: nell'ultimo disco targato Xiu Xiu l'atmosfera si ammorbidisce a tratti ma diviene al contempo più oscura e criptica, avvolta in un sapore simil-gotico straniante e prima d'ora mai percettibile nelle creazioni del progetto di San Jose. In questa sorta di oscuro alleggerimento però trovano ancora spazio le follie e i più azzardati giochi strumentali di Stewart, anche se l'impronta possente delle costruzioni sintetiche tipiche degli esordi scompare quasi per fare posto ad un'attitudine compositiva molto più velata, quasi misteriosa. L'importante è il saper carpire il come, a distanza di anni, il linguaggio e la poetica del progetto Xiu Xiu siano rimasti inalterati per potenza e peculiarità seppur variando forme e contenuti ad ogni apparizione: l'ultimo lavoro di Stewart continua a testimoniare questo stato di cose e, aspetto più importante, lo fa con risultati anche più efficaci dei due precedenti Women as Lovers e The Air Force.

Adesso Xiu Xiu non significa più soltanto synth rock cerebrale e ricercato, bensì coincide con un nuovo pastiche stilistico altrettanto urticante ma elaborato sotto differenti fattezze, più sottili, miniaturali, per certi versi meno ingombranti, in grado di abbinare l'onirismo dell'art rock e l'atmosfera decadente del post-punk ad un'attitudine Pop a sua volta immersa in un insolita eco gotica (a tratti quasi si percepisce lo spleen - qui velocizzato e distorto - degli ultimi Black Tape For A Blue Girl e di Nick Cave). Il gioiello iniziale Gray Death, nel suo emozionante collage dark pop - connubio di oscurità cureiana e riffing alla The Smiths - esprime nella maniera migliore il nuovo mondo espressivo degli Xiu Xiu, sciogliendosi in una decadente danza di chitarre acustiche, synth leggiadri e una voce, quella di Stewart, mai così profonda e sobria, oltre che in grado di trasportare il brano verso le soglie di un'equilibrata introspezione emotiva ed esistenziale. Da qui in poi Dear God, I Hate Myself si riproduce in un perenne contrasto tra quelle che possono essere considerate come le sue tre principali fasi espressive: la straniante atmosfera di House Sparrow, l'avvolgente fascino misterico di Falkland Rd. e quello più diretto di The Fabrizio Palumbo Retaliation (che rimane uno degli episodi più vari e completi del lotto) emblemizzano da una parte il lato più oscuro e quasi mistico del lavoro, mettendone in evidenza la nuova attitudine compositiva (arrangiamenti strumentali più sottili e atmosfera meno caotica) e soprattutto il mood gothic pop che ne arricchisce incredibilmente i singoli particolari sonori. Dall'altra parte si erge invece una dimensione che non si oppone a quella, per così dire, "mistica" ma che piuttosto ne rielabora i parametri espressivi in chiave più diretta e ascoltabile, come dimostrano le atmosfere più easylistening di Chocolates Makes You Happy e dell'emozionante Dear God, I Hate Myself, accompagnate dalla grottesca marcia sintetica electro-pop di Apple for a Brain.
A chiudere il disegno stilistico dell'album vi è infine (la lascio per ultima proprio per questioni di minore importanza, visto che raccoglie elementi nè nuovi nè originali) la fase compositiva più cerebrale ed ermetica dell'album, quella che - richiamando le allucinazioni strumentali degli esordi - ci mostra il lato più intransigente ed eccentrico del progetto Xiu Xiu: la fusione di decadenza cantautorale e allucinazioni elettroniche di Hyunhye's Theme, il delirio effettistico della più sensuale Secret Motel e le cantilene country e gli emozionanti refrain di Cumberland Gap (dietro cui si nasconde John Dietrich dei Deerhoof) fanno così riemergere le evoluzioni strumentali più ardimentose e le atmosfere più contorte e cerebrale del disco, rappresententandone però - come già detto - il volto più conosciuto e prevedibile.

Privo di veri e propri cali (a parte la sconclusionata This Too Shall Pass Away), Dear God, I Hate Myself è come se traesse costantemente energia da un nucleo interiore insondabile e impossibile da consumare: le melodie vengono fuori con un'immediatezza quasi sconcertante e allo stesso modo le atmosfere riescono ad avvolgere in maniera molto più sincera e naturale rispetto alle più ardimentose costruzioni dei precedenti dischi. A prevalere infatti sulle solite schizofrenie è una sobrietà che fino ad ora Stewart ci aveva molto ben nascosto e che adesso si mostra in tutto il suo splendore. Dear God, I Hate Myself è quindi un disco molto più 'passionale' rispetto a ciò che il progetto Xiu Xiu ci aveva fatto vedere negli anni passati; un lavoro per certi versi introspettivo, molto profondo, oltre che in grado di trasformare la folle energia compositiva degli inizi in un linguaggio meno ermetico ma sempre travolgente. Variazione/evoluzione per questo riuscita perfettamente, anche perchè in tal modo la gente smetterà di vedere gli Xiu Xiu come un semplice pasticcio fatto a caso di Suicide, velleità art-rock, deliri sintetici e sonorità post-punk.
Jamie Stewart pare aver trovato una sorta di panacea, un rimedio temporaneo in cui riversare paure, tormenti, fantasmi e inquietudini per poi rileggerli con voce sommessa, senza urlare, davanti allo specchio della propria esistenza.
Un ritorno in grandissimo stile.
 

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