Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Vincenzo Ticli
Etichetta: 
Tomlab
Anno: 
2005
Line-Up: 

Patrick Wolf - Vocals, Instruments, Written-By
Derek Apps - Clarinet
Jo Apps - Backing Vocals

Tracklist: 

1. The Libertine
2. Teignmouth
3. The Shadowsea
4. Wind in the Wires
5. The Railway House
6. The Gipsy King
7. Apparition
8. Ghost Song
9. This Weather
10. Jacob’s Ladder
11. Tristan
12. Eulogy
13. Land's End

Patrick Wolf

Wind in the Wires

La Gran Bretagna, si sa, è sempre stata fucina di grandi geni musicali: la grande vivacità culturale di un paese potente e influente in tutto il mondo, capace di imporre gusti e stili e praticamente creatore e anticipatore di mode globali ha consentito il fiorire di una produzione musicale d’eccezione caratterizzata da innovazione e, spesso, bizzarria. Basti pensare a band come Pink Floyd, Beatles e Radiohead, o a nomi quali Peter Gabriel e Kate Bush per rendersi conto della varietà di stili e idee che hanno reso grande e affascinante la musica inglese degli ultimi decenni. Ed è proprio l’ultimo grande personaggio citato, quello dell’indimenticabile (ma purtroppo, dimenticata e sicuramente sottovalutata) Kate Bush che sembra essere il fulcro della musica di Patrick Wolf, giovanissimo cantautore e polistrumentista scozzese che negli ultimi anni ha sconvolto critica e pubblico con il suo album di debutto, Lycanthropy, seguito da un lavoro che non ha fatto altro che confermare il suo enorme talento: Wind in the Wires.

Catapultato in un medioevo elettronico popolato di personaggi tormentati, si parte al galoppo conThe Libertine, dagli archi isterici e il pianoforte insistente che fanno da humus ai vocalizzi selvaggi che sanno di libertà, per passare alla dolcissima Teignmouth, una ballata elettronica e ritmata in cui liriche appassionate e pacate si scontrano duramente contro i guizzi spigolosi della drum machine come onde sugli scogli. Un intermezzo, e subito il pezzo principe: Wind in the Wires. Timidamente introdotta da poche note di ukulele, la voce parte piano sostenuta dalla chitarra e la viola, appena udibile nel suo sottile lamento, per poi esplodere in un trascinante crescendo. Ma è il pianoforte l’indiscusso protagonista della canzone: pochi accordi ripetuti e sostenuti con una drammaticità che ricorda certe colonne sonore di film d’essai o, se vogliamo, calzerebbe a pennello con una tragedia shakespeariana. Una canzone che sembra scorrere inesorabilmente verso la sua fine incerta, che penetra nelle orecchie e si insinua tra le sinapsi pungente come fosse elettricità.

Ma la musica di Wolf non è in grado di evocare soltanto sentimenti e sensazioni ma anche veri e propri paesaggi: in The Railway House sembra davvero di trovarsi di fronte ad una sperduta casa vicino ad un binario che taglia la brughiera, e soprattutto il salterello rallentato di The Gipsy King dipinge con sconvolgente vividezza pianure verdi e scogliere a picco sull’oceano, mettendo il vento nei violini e la tipica irrequietezza del viaggiatore nell’ondeggiare dell’ukulele, espressione dell’anima del viandante, di colui che viaggia e pianifica con minuzia il proprio itinerario per poi cambiarlo impulsivamente, prendendo di volta in volta strade diverse per tentare di raggiungere la sua meta, quasi un viaggio interiore verso una serenità destinata, come al solito, a durare ben poco. Sono queste le canzoni più tipicamente folk dell’album insieme a Ghost Song, una ballata marinaresca per violini e organo disturbata da trilli e gorgoglii elettronici che parla di oscure pratiche magiche e viaggi astrali per ritrovare tra le onde del mare la bellezza e l’amore persi ormai da molte stagioni.

Difficile riuscire a trovare un punto debole in un album ben realizzato come questo, che combina pezzi più romantici e intimi con altri più energici e quasi punk (Tristan), non lasciando per nulla spazio alla noia anche perché, durando poco più di 40 minuti, risulta quasi fin troppo conciso. Quel che è certo è che muovendosi con maestria tra il passato e il presente quasi futuristico, costruendo con l’aria scenari nebbiosi e mitici riesce appieno nel suo scopo di ingabbiare l’ascoltatore, di dissociarlo dal proprio corpo e fare viaggiare il suo spirito veloce e selvaggio… proprio come elettricità.

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