Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Genere: 
Etichetta: 
Full Time Hobby
Anno: 
2009
Line-Up: 

James Petralli – voce, chitarra
Steve Terebecki – voce, basso
Joshua Block – batteria

 

Tracklist: 

1. Radio Milk How Can You Stand It
2. All Consolation
3. Say What You Want
4. El Hard Attack DCWYW
5. I Start to Run
6. Sex Prayer
7. Mirrored and Reverse
8. Paint Yourself
9. I'd Have It Just the Way We Were
10. Everybody Somebody
11. Regina Holding Hands
12. Sync'n

White Denim

Fits

I White Denim sono un trio di Austin (Texas, USA), nati nel 2006 dalla collaborazione dei due ex-Parque Touch Joshua Block (batteria) e James Petralli (chitarra e voce) con Steve Terebecki (basso e voce).

Il primo full-length Workout Holiday (pubblicato nel 2008), preceduto da tre EP e seguito da Exposion (la variante per il mercato americano), li aveva presentati come dei terroristi del garage-rock, una sorta di punto d'incontro tra il blues-punk dei The Jon Spencer Blues Explosion, il noise-rock di Shellac e Scratch Acid, il revival garage-indie dei The White Stripes, il blues sconnesso e dadaista di Captain Beefheart e il soul-funk afroamericano.

Fits (Full Time Hobby, 2009), ancora una volta rilasciato solo per il mercato europeo, ripresenta il trio in gran forma, e anzi, sotto un certo aspetto anche maturato.
La miglior produzione, più nitida e dettagliata, li allontana dal sound maggiormente lo-fi e tipico dell'home-recording delle precedenti release, mentre il calderone stilistico costituente i brani evolve da quella che poteva sembrare più che altro un'originale variazione del garage-punk alla Jon Spencer verso una nuova dimensione, da una parte vera e propria opera di rivisitazione e aggiornamento del classico lascivo blues-funk afroamericano, dall'altra allucinato riassunto e rimpasto di un po' tutte le sonorità della contemporanea scena indie, con una più spiccata sensibilità melodica e psichedelica.

Radio Milk How Can You Stand It esplode subito in un vortice di ritmiche forsennate, basso travolgente e chitarre sgraziatamente brutalizzate, ma evolve inglobando anche scoppiettanti incursioni di sassofono, terminando con una coda martellante a sostenere una melodia vocale soul-funk.
Che All Consolation sia sostanzialmente un blues-rock viene testimoniato dall'assolo chitarristico centrale, per il resto vige una trasfigurazione completa espressa attraverso distorsioni stratificate, improvvisi vortici psichedelici, cori sgraziati e riverberati, ritmiche sconnesse e coda borbottante.
Sorte simile tocca a Say What You Want, introdotta da un riff blues-rock travolgente, graffiata da shouting vocali, acquietata da una rallentata seconda metà psych-rock con tanto di assolo orientaleggiante.
Lo spasmo punk-blues El Hard Attack DCWYW, con combinazione fragorosa di batteria e chitarra, nonché uno shouting vocale prima in spagnolo e poi in inglese, introduce perfettamente il singolo di lancio I Start to Run, sicuramente il momento più catchy, ma forse anche il più evidente omaggio agli shouter afroamericani dei 1950s e 1960s (da Little Richard a James Brown), oltre che una disorientante pioggia di frammenti psych-rock, tex-mex, funk, rock'n'roll ed elettronici sbobinati sopra ad un esplosivo tappeto di basso.
Il vero cambiamento rispetto alle precedenti release si nota però con la sezione centrale, costituita da Sex Prayer e Mirrored and Reverse, due escursioni oniriche in territori psichedelici, sorta di aggiornamento indie-rock dei classici Jefferson Airplane e The Doors, con tanto di battito dance-punk e una certa vicinanza ai Deerhunter di Cryptograms.
Paint Yourself e I'd Have It Just the Way We Were seguono a ruota con un'altra variazione stilistica, stavolta riassumendo gli estremi sonori dell'intero revival post-punk/indie-pop, con un mix di battito dance-punk elaborato, voce modulata e melodica con tanto di acuti in falsetto, chitarre frizzanti impegnate in continue pennellate, echi di The Strokes e Arcade Fire.
I successivi due pezzi vedono un ritorno delle sonorità e dei vocalizzi più "neri", opportunamente sabotati tramite catturanti deflagrazioni blues-rock in Everybody Somebody, e tramite ritmiche zoppicanti coniugate a chitarre acustiche e borbottamenti di chitarre elettriche funkeggianti in Regina Holding Hands, tuttavia il disco si chiude invece con un altro episodio più calmo e tipicamente "indie-rock", ovvero Sync'n, che riesce comunque a far evolvere un classico tappeto di leggiadri onirismi indie-pop verso una meno aggraziata e più rockeggiante coda.

Meno selvaggio e sconnesso rispetto a Workout Holiday, Fits d'altro canto rappresenta una sensibile maturazione stilistica e acquisizione di nuovi linguaggi musicali da parte del trio; probabilmente di minor appeal verso il pubblico del noise-rock più chiassoso o verso gli amanti del lo-fi amatoriale, ma volenteroso di conquistare il più vasto pubblico dell'indie-rock grazie ad una maggior gamma di soluzioni sonore e ad un orecchio di riguardo alla vena melodica.
 

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