Voto: 
8.3 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
Geffen
Anno: 
1994
Line-Up: 

- Rivers Cuomo - voce, chitarra
- Matt Sharp - basso, voce
- Patrick Wilson - batteria
- Brian Bell - chitarra, cori

Tracklist: 

1. My Name Is Jonas
2. No One Else
3. The World Has Turn And Left Me Here
4. Buddy Holly
5. Undone - The Sweater Song
6. Surf Wax America
7. Say It Ain’t So
8. In The Garage
9. Holiday
10. Only In Dreams

Weezer

Weezer

Pubblicato il 10 Maggio 1994, questa raccolta di umili ma vincenti confessioni musicali di un gruppo di adolescenti non più tanto adolescenti, dispersi nella jungla dei college americani, diede, senza dubbio inconsapevolmente, il definitivo colpo di grazia alla carcassa di milioni di maniaci depressivi avvolti in camicie di flanella e aliti di sigaretta, occupati da poco più di un mese a piangere la morte di chi “si addossò il malessere della Generazione X”.
Raccontata così può effettivamente apparire un’introduzione velenosa e pervasa di cattiveria nei confronti del (apparentemente) sempreverde Grunge, resta il fatto che per una consistente fetta di pubblico, fatto testimoniato dal triplo platino guadagnato da quest’album, l’arrivo dei Weezer fu come un sorso di bibita ghiacciata nel bel mezzo di una torrida estate desertica.

Formatosi a Los Angeles il giorno di S.Valentino del 1992, il quartetto di nerds guidato da Rivers Cuomo e dalla sua Warmoth Stratocaster girovagò per i clubs nei dintorni di Hollywood prima di essere notato dalle persone giuste, aver firmato le carte giuste, ed essere trapiantato a New York, più precisamente presso gli Electric Lady studios, luogo di registrazione del proprio esordio discografico.
Trascorso un breve periodo di preparazione durante il quale vennero registrate diverse demo di canzoni poi escluse dal prodotto finale, il gruppo si esercitò nei tipici “coretti da barbiere” ,così da arrivare vocalmente preparato alla registrazione degli ormai famosi intrecci corali, curioso arricchimento delle loro poderose ballate Pop Punk. Infine, una volta scelto come produttore Ric Ocasek, ex componente dei Cars, si poté dare il via alle danze incidendo ciò che ancora oggi è il più grande Best Seller del catalogo Weezer, il (così ribattezzato dai fans) Blue Album.

Il veloce arpeggio di chitarra acustica di My Name Is Jonas ci catapulta immediatamente tra le atmosfere Pop Punk dell’album, mentre la chitarra elettrica di Cuomo erutta un giro di accordi strasentito in centinaia di gruppi, ma che questa band riesce ad impregnare totalmente di personalità, rendendolo immediatamente suo e costruendo una solida ballatona elettrica attorno ad esso. No One Else si dimostra immediatamente più originale, più esplosiva, caratterizzata da giri armonici originali che fondono perfettamente strofe e ritornelli. Le corpose chitarre Power Pop ora sono in primissimo piano, erigendo un muro di compatte distorsioni tenute a bada da un batteria semplice ma precisa. The World Has Turn And Left Me Here si dimostra ancora più melodica delle precedenti, tanto che avrebbe potuto tranquillamente essere utilizzata come singolo. Anche qui gli arpeggi di chitarra acustica rendono il tutto più romantico e multicolore, e la voce nuda e trasparente del leader viene accompagnata dai cori dei compagni mentre le sostenute chitarre elettriche si stemperano per lasciare spazio alla movimentata Buddy Holly.
Questa risulta essere per l’ascoltatore casuale “la canzone” dei Weezer, quella che li rese famosi anche grazie al video in stile Happy Days e al fatto che Microsoft incluse tale video nel suo Windows 95, come demo per il Media Player allegato al sistema operativo. In effetti è assolutamente un buon pezzo, dalla melodia orecchiabilissima e dalla commerciabilità potenzialmente infinita, chitarre elettriche spiegate per tutta la canzone, linee melodiche immortali e assolutamente originali fanno di questa canzone una gemma assoluta all’interno di un album comunque molto buono.
Segue Undone (The Sweater Song), primo singolo estratto, introdotto da un dialogo tra il bassista ed un suo amico, mentre l’arpeggio malinconico e riconoscibile della canzone si incammina per le retrovie. La melodia può comunque risultare abbastanza prevedibile ed il giro di accordi portante, già sentito e risentito, ne è il principale colpevole, benchè la personalità dei quattro musicisti spumeggi sempre in primo piano, rendendo il tutto godibilissimo.
La successiva Surf Wax America accenna qualche sentore di ripetitività, solito arpeggio di introduzione e solita cavalcata distorta, questa volta però spezzata da un intermezzo tranquillo e oscuro che contrasta molto con gli echi estivi del pezzo e con la sua melodia assolutamente trascinante.
Terzo singolo estratto è Say It Ain’t So, obbiettivamente il miglior pezzo dell’album.
Il suo incedere tranquillo caratterizzato da un ottimo riff di Cuomo, velatamente triste e nostalgico ma immediatamente ricordabile, improvvisamente muta nel ruggito spesso e distorto del ritornello, allo stesso tempo melodico ed arrabbiato, totalmente convincente. La canzone fu ovviamente una grande hit, grazie al suo saper mescolare malinconia e spenieratezza giovanile  anche attraverso un testo enigmatico ma “Pop”, il cui significato nascosto venne velocemente assimilato da molti adolescenti.
In The Garage racconta invece dei giorni passati dal leader a suonare nel suo garage, guardando i poster di band già famose appesi ai muri e, come tradizione nerd vuole, facendosi qualche partitina a Dungeons and Dragons. Anche qui le atmosfere risultano essere abbastanza torbide e più ricercate, espresse da melodie inedite e solide, caratterizzate da qualche ricerca sonora in più. Dopo Holiday, che sembra suonata da un gruppo surf anni ’60 alle prese con distorsori e college rock, si giunge al gran finale dal titolo Only In Dreams, una lunga e sognante ballata dal retrogusto agrodolce e affondata in un bicchiere di tristezza, come al solito molto orecchiabile ma forse troppo lunga per una canzone di questo genere.


Esaurita la tracklist ed affrontato ogni singolo episodio, si può tranquillamente definire quest’album un classico. Un classico del Rock americano, non dell’importanza di album come Grace o Nevermind che ovviamente hanno reso celebri i ’90, ma che si assicura tranquillamente un posto tra le migliori uscite del decennio. Ogni pezzo è supportato da una melodia sempre diversa ed ugualmente irresistibile, i testi calano perfettamente l’ascoltatore nelle atmosfere liceali-collegiali statunitensi, mediante frasi apparentemente surreali ma impregnate di cultura Pop ed incoscienza. Tutto ciò è legato stretto a muri di chitarre elettriche spessi chilometri, senza che a nessun strumento fosse applicato alcune effetto, solo un semplice distorsore è stato infatti  utilizzato per la registrazione dell’intero Blue Album.
La ciliegina sulla torta è infine l’estetica nerd dei quattro, camicie a maniche corte, occhialoni dalla spessa montatura nera, postura anti-sportiva al 100% e quella sorta di timidezza alimentata dall’emarginazione che li portarono a risultare immediatamente simpatici al pubblico, ormai stanco di idolatrare il popolo dei boscaioli e pronto ad accogliere una nuova ondata di musicisti.
Un album solido e dalle melodie molto ben studiate, innovativo per l’anno in cui venne pubblicato e ancora oggi molto personale ma soprattutto spontaneo e genuino. Da ascoltare.

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