Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
Season of Mist
Anno: 
2010
Line-Up: 

- E. (Erik Danielsson) - voce, basso
- P. (Pelle Forsberg) - chitarra
- H. (Håkan Jonsson) - batteria

Tracklist: 

1. Death's Cold Dark (05:29)
2. Malfeitor (06:58)
3. Reaping Death (05:07)
4. Four Thrones (06:16)
5. Wolves Curse (09:12)
6. Lawless Darkness (06:08) 
7. Total Funeral (06:04)
8. Hymn to Qayin (05:57)
9. Kiss of Death (07:46)
10. Waters of Ain (14:31)

Watain

Lawless Darkness

Attivi da dodici anni ormai, gli Svedesi Watain sono a tutti gli effetti tra i migliori esponenti della corrente black metal più recente. Lawless Darkness è il quarto album da parte di questi irriducibili blacksters, se non contiamo i live album, e per la quarta volta ecco che i nostri musicisti fanno centro. Facenti parte della corrente più minimalista ed essenziale del genere, anche in questo caso c’è poco da aspettarsi in termini di evoluzione o contaminazioni poiché la classe sta anche nel sapere dire sempre qualcosa di nuovo in un genere ormai stantio, senza per forza doverlo modificare. Qui risiede il vero punto di forza di questo gruppo e ascoltando questo nuovo lavoro lo potrete saggiare anche voi.

La morte è un tema ricorrente nei testi dei Watain ed anche qui il benvenuto ce lo dà una canzone del calibro di Death's Cold Dark: influenze alla Hellhammer presto si miscelano ai migliori Carpathian Forest per aggiungerci un tocco doomeggiante del tutto particolare. Tuttavia se pensate che questa band si presenti al pubblico come mero collage musicale di altri gruppi, siete completamente fuori strada. Originalità, ottima tecnica strumentale e idee vincenti in un songwriting sempre vario e fantasioso fanno sì che un’ora di disco black metal passi velocemente, lasciando il segno. La produzione sporca, demoniaca al punto giusto è anche coronata da suoni potenti di batteria a donare risalto ai blast beast e alla sfuriate di doppia cassa. Lo scream di Erik Danielsson ha sempre in sé un rimando incredibilmente targato “early 90s”, ossia mai eccessivamente estremo e sforzato, ma sempre legato alle origini.

Un rimando vagamente epico lo si può trovare nelle ottime, ispiratissime linee soliste di Malfeitor con conseguenti rallentamenti e riffs a volte improntati al thrash metal in occasione delle ripartenze. Reaping Death si materializza attraverso sfuriate in blast beats, alzando il livello di brutalità se si fa un paragone con la canzone precedente ma è altresì vero che l’ispirazione non viene mai meno ed ecco che alcune sezioni rimandano al più funereo doom/black grazie a strazianti fasi soliste delle sei corde. Impossibile non essere trasportati dai cori di Four Thrones e dalla sua varietà stilistica che farebbe impallidire chiunque, per poi non parlare dell’aura assolutamente dark che ammanta gli ululati di Wolves Curse in un crescendo di gelo musicale. La ricetta rimane invariata; ecco quindi ancora lunghi momenti doom a base di arpeggi da opporre a fasi di continua doppia cassa al fine di creare per lo più un tappeto a sostenere lunghe note soliste.

Si giunge alla title-track in un baleno ed ecco che ritroviamo atmosfere tanto care ai Judas Iscariot con arpeggi su tonalità distorta ad introdurre linee soliste degne dei migliori maestri del depressive black metal Scandinavo. Si riparte con più dinamicità grazie alla rozzezza (sempre ben strutturata) di una ferale ed oscura Total Funeral per poi continuare sullo stesso stile con la seguente Hymn to Qayin, leggermente più canonica nel riffing ma comunque esaltante e pregna di atmosfere lugubri. La penultima canzone del disco, Kiss of Death mostra una maggiore cura per gli arrangiamenti e le strutture. Qui possiamo ritrovare un buon mix degli stili precedentemente succitati senza cali preoccupanti, anche se si viaggia principalmente su tempi medi. Il disco termina con i quasi quindici minuti di Waters of Ain, traccia epica con ancora ottime fasi soliste da opporre a veloci ripartenze e la voce di Carl McCoy (Fields of the Nephilim) che ci delizia col suo timbro macabro dopo i dieci minuti.

Insomma, ci troviamo a che fare con un album estremo di tutto valore. I Watain sono riusciti a comporre buone tracce, le quali, nonostante la loro durata elevata, si fanno notare piacevolmente e non mostrano evidenti cali o pecche. Personalmente, raccomando questo platter a chi ormai è stanco di sentire copioni dei Dark Funeral ed è in cerca di un black metal sì vario e leggermente melodico in fase solista ma anche sempre oscuro e fottutamente legato alle radici del genere.  

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