Voto: 
7.8 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Indie Rec.
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Einar “Kvitrafn” Selvik – Musica e Testi, Voce e Strumenti
- Lindy Fay Hella – Voce
- Gaahl – Voce
- Hallvard Kleiveland – Hardingfele

Tracklist: 


01. Ár var alda
02. Hagal
03. Bjarkan
04. Løyndomsriss
05. Heimta Thurs
06. Thurs
07. Jara
08. Laukr
09. Kauna
10. Algir - Stien klarnar
11. Algir - Tognatale
12. Dagr

Wardruna

Runaljod – gap var Ginnunga

Finalmente un side-project di rilievo torna a farsi strada dalla Norvegia Black Metal, negli ultimi anni decisamente in difficoltà nel proporre nuove leve di rilevanza significativa in quel panorama che l'ha vista assoluta dominatrice durante gli anni '90.
L'eccezione possono essere questi Wardruna, che completano sei anni di lavoro con la pubblicazione (per Indie Recordings, etichetta che già l'anno scorso ci aveva proposto l'ultimo, ottimo, lavoro degli storici Enslaved) del loro debut-album “Runaljod – gap var Ginnunga”.
E', questa, la prima parte di una trilogia dedicata all'alfabeto runico che tratterà, in ogni capitolo, otto diversi simboli di quell'antico metodo di scrittura, ancor'oggi misterioso e colmo di fascino.

Il gruppo non è in realtà una vera new-entry della scena, poiché è capitanato da Einar 'Kvitfran' Selvik, ex-batterista dei Gorgoroth (dal 2000 al 2004), e vede tra le proprie fila anche l'attuale cantante di quella band, ovvero Kristian 'Ghaal' Espedal.
Eredità storica che a dir la verità non è che facesse particolarmente ben sperare, visto che in realtà il periodo dei due all'interno dei Gorgoroth è coinciso con il declino della storica band  di Bergen, e Kvitfran è stato capace di lasciare ricordi positivi a chi scrive soprattutto con un suo pressochè dimenticato progetto parallelo, quei Bak De Syv Fjell che nel '97 pubblicarono una splendida demo di dolcissimo, romantico e sognante Black Metal: nonostante constasse di soli due brani e testimoniasse nascita e morte del gruppo, quel 7'' fu forse uno dei pochissimi momenti in cui il Black Metal ha saputo produrre qualcosa di veramente vicino ai momenti più melodici di “Bergtatt” degli Ulver.

Ma quella era tutta un'altra storia, e il passato non è d'aiuto nel decifrare le attuali predisposizioni del musicista norvegese, poichè i Wardruna staccano nettamente dalle precedenti esperienze musicali di Kvitrafn.
A riempire “Runaljod – gap var Ginnunga” è infatti una musica sciamanica e rituale accompagnata da mantra vocali che vorrebbero ricreare quelli che gli antichi popoli norreni definivano galdrar, ovvero canti rituali di natura magico-religiosa. Senza andare a toccare ambienti di ricerca etno-musicale e rimanendo su lidi 'popolari', quest'operazione non è totalmente nuova né per l'ambito Neofolk (anche restando tra i nomi più famosi, si può pensare, per lontana somiglianza, all'album “Rûna” di Fire + Ice, o al brano “Gealdor” contenuto in “The Blade” dei Sol Invictus, o alle pubblicazioni liriche di Freya Aswynn, che fu anche collaboratrice di Current 93) né per certi versi per l'ambiente della World Music o del Folk autoctono di matrice nordica, che ha visto alcuni artisti andare a ripescare stili musicali o vocali che affondano le proprie radici in tempi remotissimi (l'esempio più conosciuto può essere il canto Yoik, tipico del Folk di estrazione Sàmi, reso popolare anche al di fuori del suo circuito da cantanti come, ad esempio, Mari Boine).
Eppure quello che viene fuori dal disco dei Wardruna è qualcosa di sicuramente interessante e particolare.

La passione e l'entusiasmo del musicista norvegese, che ha ri-costruito strumenti locali tradizionali ed è andato a registrare non solo in studio ma anche in location esterne per catture field recordings adatte ai suoi scopi, si riflette nella musica, densa di carica emotiva ed oscurità. La migliore qualità del lavoro è l'equilibrio tra ricerca sonora e 'verosimiglianza' da una parte, e attenzione all'aspetto musicale ed atmsoferico dall'altra, risultando in un album espressivo e ammaliante pur nella sua minimale, ipnotica ciclicità.

I tamburi sono lo strumento più utilizzato del disco, e ne formano la spina dorsale, in tutte le loro varie incarnazioni, da poderose casse dal suono marziale a delicati tamburelli, fino ad arrivare ai sonagli ed alle arpe a bocca; l'accompagnamento è affidato allo stridulo echeggiare dei corni o dei flauti, oppure alle divagazioni Folk del violino locale norvegese (l'hardingfele) suonato da Hallvard Kleiveland: lo strumento è ancora freqeuentemente utilizzato nella musica popolare scandinava e che quindi rende più orecchiabili, attuali e riconoscibili le melodie proposte in alcune  canzoni (“Jara”).

Ma è il canto a essere protagonista, con tre voci a mischiarsi, alternarsi, duettare, evocare, incantare: ci sono urla soffocate in cui riemerge il pedigree Black della band (“Thurs”), droni vocali da meditazione, a volte flebili come sussurri (“Løyndomsriss”), a volte vero e proprio rombo di tuono sullo sfondo dei vari brani; ma c'è spazio anche per un canto corale pulito multilivello (“Laukr”) e per le modulazioni della voce femminile di Lindy Fay Hella (protagonista nel finale di “Bjarkan” ma presente in diversi brani). Non manca la varietà vocale, insomma, mentre il feeling naturalistico e artigianale del disco viene esaltato dal frequente utilizzo di sample o registrazioni di scrosci d'acqua, crepitare di fuochi, scricchiolii di legni e sibilare del vento.

Punto d'incrocio tra le melodie più 'tradizionali' e peculiari degli acts Ethnic Folk (Rock) scandinavi novantiani quali Hedningarna, Väsen o Gjallarhorn (le cui note risuonano nei più attuali arrangiamenti di violino o flauto), la marzialità percussiva ed apocalittica del Neofolk (che rimbomba nei tamburi onnipresenti), il minimalismo e il tono serioso ed oscuro ereditato dal Black Metal e il misticismo esoterico dei mantra vocali norreni che riempiono il disco, “Runaljod – gap var Ginnunga” si rivela un'esperienza più appassionante e piacevole di quanto ci si aspettasse. Niente sdolcinatezza da World Music da Eurovision Contest, nessun particolare debito alla forma-canzone cui tanto tengono i metallari, niente concessioni ad un'archeologia musicale fine a sé stessa, bensì un disco piacevole e sentito, che sa incantare con facilità ma non si limita tra confini prestabiliti, e può tutto sommato vantare – grazie alle sue atmosfere oscure – anche una buona dose di personalità.

Chissà se saprà reggere per tutti e tre i capitoli previsti (sono in cantiere sia il secondo "Yggdrasil" che il terzo "Ragnarok") senza stancare o ripetersi sterilmente, ma per ora i Wardruna questa formula magica l'hanno indovinata.
Bel debutto.

LINKS PER L'ASCOLTO
- Quattro tracce in streaming

- "Dagr" live alla televisione norvegese


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