Voto: 
7.2 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
Seahorse Recordings
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Vienne - voce, chitarra, basso, tastiera
- Chicco Aurigemma - chitarra
- L.J. Nefasto - batteria, tastiera, pianoforte

Tracklist: 

1. Yarn
2. Waiting For The Tide
3. Turquoise Eyes
4. It’s Not My Day
5. Valerie Lake
6. Come Back In A Stormy Day
7. A New Play
8. Vanity Mirror
9. Memories Of A Silhouette
10. Joyful
11. Never kind

Vivianne Viveur

Vert

I Vivianne Viveur non sono nuovi di queste pagine: band formatasi quasi nove anni addietro in terra italica, decidono di trasferire l’attività altrove trapiantandosi a Londra, città dalla rinomata fertilità musicale che permetterà loro di raggiungere le persone giuste e la meritata fama all’interno del circuito indie estero.

Il 28 novembre 2008 esce ufficialmente il loro nuovo album dal titolo Vert, registrato ancora una volta al Seahorse studio, che ci riporta nuovamente tra melodie crepuscolari e dolcezze gotiche sporcate di post punk, avvolgendoci in una morbida ma oscura coltre che unisce gli anni ’80 ai nostri giorni.
Una produzione degna di questo nome rende i suoni limpidi e potenti, rendendo facile e piacevole l’ascolto delle stratificazioni strumentali tipiche di questo genere, costruendo un equilibrio che si protrarrà fino all’ultima canzone del disco.
Le note malinconiche di pianoforti e tastiere concorrono nell’inserire i suoni in un contesto romantico e decadente, che attraverso le aperture concesse dai numerosi arpeggi di chitarre creano un ambiente ideale dove la voce eterea di Vienne possa esprimersi, prima che la robustezza e densità della sezione ritmica inceda con fragore.
Echi tipicamente indie possono ritrovarsi nella sfuggente e melodica Turquoise Eyes, le atmosfere vengono alleggerite lasciando che l’irruenza delle chitarre elettriche spazzi via ogni sentore di oscurità con l’aiuto di una dinamica batteria.
Gli anni ’80 si ripresentano sotto forma di sensazione ogni qualvolta sintetizzatori e tamburi meccanici decidono di insaporire il tutto con richiami Wave, come accade nella elegante e gotica It’s Not My Day che deve molto a certi episodi della discografia Cure.
Si cambia completamente registro con Come Back In A Stormy Day, e benché voci riverberate e languide siano sempre lì a ricordarci che la malinconia non accenna ad allentare la sua presa, il finale liberatorio con feroci chitarre post punk che si stemperano in pattern elettronici rappresentano più di una gradita sorpresa.
Questo genere di soluzione viene utilizzata anche per la successiva a New Play, che dopo un inizio tiepido ma vivo, si incendia letteralmente mescolando gli stessi ingredienti ottenendo un finale di grande impatto emotivo.
Una ballata autunnale e molto coinvolgente chiude il disco, Never Kind si distingue infatti per le sue mansuete chitarre acustiche accompagnate da solenni e tristi note di violino che chiudono degnamente un disco assolutamente maturo ma spesso eccessivamente monocromatico.

Musicalmente può essere descritto come art-rock pregno di wave e tinte noir nel quale le influenze anglosassoni emergono senza timore, ma che spesso si ritrova incastrato nella sua stessa oscura eleganza, caratteristica che più di una volta si trasforma in una lama a doppio taglio.
Ogni particolare è infatti curato fin nei dettagli ed ogni canzone è eseguita con tecnica ed esperienza, ma a parte un paio di episodi, il disco si staziona su atmosfere pesanti e talvolta opprimenti, che per chi non si definisce esattamente un appassionato del genere possono tramutarsi facilmente in noia.

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