Voto: 
9.7 / 10
Autore: 
Roberto Boasso
Genere: 
Etichetta: 
Epic Records
Anno: 
1983
Line-Up: 

- Stevie Ray Vaughan - Chitarra, Voce
- Chris Layton - Batteria
- Tommy Shannon - Basso

Tracklist: 

1. Love Struck Baby (02:24)
2. Pride And Joy (03:40)
3. Texas Flood (05:21)
4. Tell Me (02.48)
5. Testify (03:22)
6. Rude Mood (04:40)
7. Mary Had A Little Lamb (02:47)
8. Dirty Pool (05:02)
9. I’m Cryin’ (03:47)
10. Lenny (05:07)

Stevie Ray Vaughan

Texas Flood

Che i suoi modelli fossero, principalmente, Albert King e Jimi Hendrix, lo si può intuire anche solo dall’ascolto delle sue canzoni, senza andare a cercare biografie o interviste varie. Merito che gli va riconosciuto è di averli lasciati come modelli, quei due e tutti gli altri artisti da lui amati, magari omaggiandoli con qualche cover, o suonando con loro stessi in diversi live o dischi (In Session, per esempio, insieme proprio ad Albert King) ma, alla fine, riuscendo comunque a sviluppare un suo caratteristico stile. D’altronde, se così non fosse stato, non sarebbe diventato quella “leggenda” che è ora, inserito ormai unanimemente tra i migliori interpreti che il Blues ricordi, perlomeno in tempi - relativamente - moderni.

Nato in Texas, vicino a Dallas (precisamente a Oak Cliffs), nel 1954, Stevie Ray Vaughan impara a suonare la chitarra con il fratello maggiore Jimmie, poi membro dei Fabolous Tundherbirds. Stevie inizia ad acquisire notorietà e stima soprattutto da quando comincia a suonare con i Double Trouble (dall’omonimo brano di Otis Rush), alla fine dei ’70; con loro formerà un trio rimasto praticamente tale (dal terzo disco si aggiungerà anche Reese Wynans, tastierista) fino alla conclusione della sua carriera - e vita -. La band era composta, perciò, da Vaughan come chitarrista e cantante, da Chris Layton alla batteria e da Tommy Shannon al basso (quest ultimo, però, ne entrò a far parte solo dal 1981, sostituendo Jackie Newhouse).
È nell’82, poi, che arriva l’esplosione a livello internazionale, grazie ad un’incisiva performance dei tre al jazz festival di Montreaux (tra l’altro, quella era la prima esibizione di sempre al festival per un gruppo ancora senza contratto e senza nessuna uscita discografica ufficiale alle spalle). Tanto incisiva che Stevie venne ingaggiato poco dopo da David Bowie, figura leggendaria della musica britannica, per suonare con lui in un disco - Let’s Dance - ed in un intero tour. Il texano rifiutò però la seconda proposta, quella del tour, per dedicarsi a pieno ritmo sulla produzione con i Double Trouble. E così, nel novembre dello stesso anno, 1982, vennero registrati i dieci pezzi costituenti Texas Flood. Album che sarà poi pubblicato, sotto la produzione del celebre John Hammond Sr., nel 1983.

Texas Flood viene spesso citato come la miglior prova in studio dell’eccentrico musicista americano. E, in effetti, questa valutazione è più che ragionevole. Con ciò non si nega certo il fatto che Stevie Ray abbia realizzato altri dischi di valore; anzi, si può affermare legittimamente che tutti e quattro (o cinque, tenendo conto anche del postumo The Sky Is Crying) gli album usciti a suo nome siano d’eccezionale validità. Anche lo spesso sottovalutato Soul To Soul, seppur racchiudente una maggiore incostanza nella qualità dei suoi pezzi. Ma Texas Flood ha qualcosa in più. È vero, i brani sono più semplici, meno elaborati di molti altri pubblicati in futuro, ma - forse proprio per questo - dotati di una maggior carica, passione, energia: le canzoni si presentano molto dirette e travolgenti, ricche di sentimenti, emozioni, melodia.
È anche uno dei lavori in cui sono presenti più tracce composte dallo stesso chitarrista, in questo caso sei. Delle rimanenti quattro, tre sono cover di Larry Davis (la title-track, Texas Flood), Buddy Guy (Mary Had A Little Lamb) e Howlin’ Wolf (Tell Me), mentre per Testify - stando a quanto scritto nel booklet - non se ne conosce l’autore.
Su dieci brani, ben tre sono strumentali: Testify e Rude Mood, dove sono la velocità e il vigore a prevalere, e Lenny, incentrata invece su toni più malinconici e romantici (e, infatti, nasce come omaggio alla moglie di Stevie Ray). Lenny suona un po’ come una versione “arcaica” di Riviera Paradise, traccia inclusa nell’ultimo In Step e ritenuta la miglior strumentale della discografia di Vaughan: le sensazioni provate durante l’ascolto sono infatti moderatamente simili, così come il suono dolce e toccante della chitarra. A queste due composizioni si allacciano, negli altri due dischi, rispettivamente Tin Pan Alley - da Couldn't Stand The Weather -, e Life Without You - da Soul To Soul -, anch’esse valutabili - perlomeno sul piano musicale - come i pezzi più rilassati, più lenti negli album di cui fanno parte. Interessante notare infine il fatto che queste tracce sono state quasi sempre (l’eccezione è simboleggiata da Tin Pan Alley, posta poco oltre la metà della tracklist) inserite alla fine del disco, a fare proprio da brani di chiusura.

Tornando a Texas Flood, alle tre strumentali si contrappongono sette canzoni nelle quali spicca l’appassionata, ruvida voce del leader, che si impone perciò non solo per le sue ineccepibili doti strumentali (è giudicato come uno dei migliori chitarristi della storia), ma anche per un modo di cantare intenso ed emozionante, sia nei momenti più energici e dinamici (Love Struck Baby, Tell Me) che in quelli più tristi e struggenti (Dirty Pool, Texas Flood).
Merita un cenno particolare, poi, la seconda traccia, Pride And Joy, probabilmente il brano più conosciuto in generale di Stevie Ray, brano dalla carica straordinariamente trascinante, nelle ritmiche, nella parte vocale, e in tutto il resto. Di medesima forma è I'm Cryin', penultimo brano, tanto da poterla pensare quasi come una seconda parte, una ripresa di Pride And Joy, malgrado un’incisività forse non all’altezza della sua traccia “parallela”.

Questa prima pubblicazione rappresenta, dunque, un’eccelsa testimonianza dello spirito, della personalità di questo compianto musicista che, in pochi anni, è riuscito ad affermare il proprio nome tra le stelle del Blues, distinguendosi per una strabiliante tecnica chitarristica, un acceso timbro vocale e una spiccata abilità nella composizione, oltre che per una particolare stravaganza nel modo di presentarsi.
Rimane solo un’ultima considerazione da fare: ascoltati nelle versioni live, questi brani - come un po’ tutta la produzione firmata Stevie Ray Vaughan - sono ancora meglio.

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