Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Matteo Mainardi
Genere: 
Etichetta: 
Full Blast
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Guly - Basso
- Simo - Voce, chitarra
- Dav - Batteria
- Braccia - Chitarra
- Klown - Voce, campionature, dj

Tracklist: 

1. Intro
2. Empty game
3. No one
4. Tongue twister
5. 5
6. Bullshit
7. Dust & pain
8. Loco
9. Goodbye

Unsteadycore

Unsteadycore

Generalmente esistono due tipi di cd: quelli che colpiscono subito e quelli che, invece, richiedono svariati ascolti per poterli aprezzare. Bene, questo è uno di quei cd che inchiodano l'ascoltatore sin dall'inizio, trascinandolo nella spirale della dipendenza cronica. Non è facile riuscirci, soprattutto se si è al proprio esordio e se non si ha alle spalle un nome che, solitamente, lo si "costruisce" dopo una serie di riscontri positivi da parte del pubblico. A questo, bisogna unirci anche il fatto che la band in questione, gli Unsteadycore, è italiana al 100% e, più precisamente, della provincia di Lecco; ciò contribuisce ulteriormente a rendere la sorpresa ancora più gustosa e dà maggiori speranze al mondo musicale underground della nostra penisola.

L'album non è troppo lungo (nove songs), considerando anche il fatto che una è la intro; questo però non pesa sull'esito complessivo del cd che, anzi, risulta essere ben articolato e, soprattutto, equilibrato. Intro, non è nient'altro che il preludio al gran frastuono che seguirà ed è costituito da campionature che sembrano proiettare l'ascoltatore in un panorama futuristico. Viene così introdotta la prima song dell'album, Empty Game, dove si possono riscontrare le sonorità tipiche degli Slipknot mischiate a quelle più street dei Down the Sun. La voce è davvero potente e un suo accostamento a quella del vocalist de Ill Nino, non è azzardata. Il pezzo, però, risulta forse essere un pò troppo lungo alternando pezzi potenti a bridge più lenti che non riescono a dare il giusto via alla potenza distruttrice dei riff del ritornello. Niente paura, il bello deve ancora arrivare. Arriva con No One, dove il mix tra melodico e potente riesce alla perfezione dando quella sensazione di brutality che ogni buon metaller ama. La voce è davvero rabbiosa e le chitarre hanno dei suoni molto pieni, basati soprattuto sui bassi. Davvero notevole. Con Tongue Twister si approda a sonorità più urban: non a caso la canzone inizia con una campionatura che ripete in loop una frase con in sottofondo il rumore di una sirena. Il ritornello è a dir poco stupendo e la genialata sta nel mettere, poco prima del preludio sonoro, la voce parlata che lascia poi il via libera a scream e growl che se non rabbiosi, sono ruggenti. In questo pezzo si sentono anche diverse scratchatte che fanno da collante tra un passaggio e l'altro.

5 è, indubbiamente, la song meglio strutturata. I riff delle chitarre sono semplici ma di grosso impatto e, a sostenere i break sonori, c'è lo scratch che aiuta a dare il senso di continuità. Grandiose sono le due voci che cantano alternativamente e la batteria che terzina in modo pregevole il doppio pedale. Con questa canzone, ci si addentra nell'anima del disco; da qui in poi sarà un sussegguirsi di canzoni una più bella dell'altra. Eccoci quindi a Bullshit, dove le caratteristiche principali di 5 vengono ulteriormente approfondite puntando soprattutto sul sottolineare il passaggio da un ritmo tranquillo con batteria e scratch, a uno mostruosamente pestato con tanto di growl brutale; ricorda molto i pezzi dei Down the Sun. Dust & Pain è il brano più commerciale ma, non per questo, quello meno bello. Le sonorità e la struttura della canzone rispecchiano parecchio quelle dei pezzi più calmi de Ill Nino: bella la prestazione della voce che dimostra di essere all'altezza anche per pezzi più armonici che che d'impatto fisico.
Purtroppo siamo quasi giunti alla fine dell'album con Loco. L'inizio è molto semplice ma efficace per creare l'atmosfera, generata grazie all'ausilio di effetti sulla chitarra ma, come dice il tiolo, si arriverà alla pazzia totale. Degni di nota sono gli intervalli versò metà canzone che appesantiscono ulteriormente la song dandole una carica assurda. Good Bye è il brano con cui gli Unsteadycore salutano il suo pubblico. Un pezzo completamente strumentale dove, la parte da padrone la fanno le campionature che, come in Intro, sono di stampo cyber.

Dopo l'ascolto di un album del genere, quello che viene da fare è di cercare subito di andare a sentirli suonare dal vivo. Grandissimo debutto sul quale si può puntare tantissimo e che, soprattutto, non fa pentire l'ascoltatore di aver speso dei soldi. Unica pecca è forse il suono della batteria che, a tratti, risulta essere soffocata dalle sonorità degli altri strumenti. Ma, francamente, non è così grave da balzare subito all'orecchio.

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