Voto: 
5.5 / 10
Autore: 
Gravenimage
Genere: 
Etichetta: 
SPV Records/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Vibeke Stene - voce
- Østen Bergøy - voce
- Anders Høyvik Hidle - chitarra
- Svein Terje Solvang - chitarra
- Rune Østerhus - basso
- Einar Moen - tastiera
- Kenneth Olsson - batteria


Tracklist: 

1. Mercyside
2. Sanguine Sky
3. Open Ground
4. The Ravens
5. Destination Departure
6. Down
7. Fate
8. Lotus
9. Sacrilege
10. In the Wake
11. Deadlands

Tristania

Illumination

I Tristania hanno mancato il bersaglio per la seconda volta di fila. Da questo neonato Illumination non ci si aspettava il miracolo, e la band norvegese ha dunque continuato indisturbata la sua parabola calante, forte della residua fama ormai raggiunta ai tempi dei primi due fantastici lavori di inizio discografia e ora consolidatasi nel clima sonnolento che sta avvolgendo lento e strisciante quello che nemmeno per scherzo si può più chiamare gothic metal.

Stanchezza e spossatezza sono le caratteristiche principali di Illumination, che annoia dall’inizio alla fine. I membri della band si sono accorti di dove tira il vento, così hanno pensato bene di lasciarsi andare nella stessa direzione, proponendo, al pari di altri fratelli e cugini (Sirenia, Theatre Of Tragedy) una sorta di musica dura annacquata e vagamente malinconico/atmosferica, procedendo a passi forzati verso la melodia a tutti i costi, con la sola risultante di vedersi trasformati in fotocopie di carta riciclata dei suddetti gruppi, senza nemmeno una briciola di amor proprio o traccia di personalità. Potrebbe sembrare assurdo ma sono più "Tristania" i Sirenia dei Tristania, perché non solo sono riusciti a trasformare se stessi senza vendere completamente l’anima, ma hanno anche appena sfornato un album di un certo valore.

Sentendo la prima traccia Mercyside si può essere tratti in inganno da un inizio di viaggio che non rispetta affatto lo spirito complessivo, che si rivela presto piatto e senza sorprese come un mare in bonaccia. Le chitarre scompaiono quasi subito, inghiottite dalla voce un po’ lagnosa del singer Østen Bergoy, che si sa, ama il metal e l’hard rock almeno quanto lo faccia la curia vescovile (e si sente), e da quella della Stene che dà buona prova di sé, ma infruttuosamente, travolta da certe atmosfere finto misteriose, finto ammiccanti, finto estreme, finto arabeggianti e via dicendo.
Non si butta via proprio tutto, perché qualche buona idea c’è, in fondo non si ha a che fare con musicisti alle prime armi, ma il tutto appare troppo condizionato dalla volontà di piacere in tutti i modi per poter essere apprezzabile.

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