Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Island
Anno: 
1996
Line-Up: 

- Tricky - songwriting, programming, sampling

Guests:
- Martina Topley-Bird
- Bjork
- Terry Hall
- Neneh Cherry
- Alison Moyet
- Paul Francis Webster
- Sonny Burke
. Cath Coffey
- Dedi Madden

Tracklist: 


1. Tattoo
2. Poems
3. Together Now
4. Keep Your Mouth Shut
5. I Be the Prophet
6. Make a Change
7. Black Coffee
8. Bubbles
9. I Sing for You
10. Yoga


Tricky

Nearly God

"So how does it feel to be God... well, nearly God."

Nel secondo album Nearly God il nostro Tricky, che nel frattempo ha riscosso molta attenzione con Maxinquaye, compie una decisa progressione in avanti sia come compositore che come arrangiatore. Seguendo sempre uno stile minimalista e rallentato, Tricky innanzitutto rende la sua musica più ricca e curata, aggiungendovi  in alcuni casi contrappunti sonori eleganti da chamber-music (archi, pianoforte), in una maniera che ricorda vagamente il contemporaneo Londinium (però con un'ottica più nichilista e depressiva e suoni più cupi e rarefatti, oltre che in misura molto minore), ma anche tutta una serie di basi più versatili che raggiungono piccoli picchi di sperimentalismo sparsi a macchia di leopardo.
Dopodiché, il songwriting di Tricky si fa più rifinito e ponderato, come se le numerose guest d'eccezione l'abbiano in qualche modo influenzato, col risultato che i suoi pezzi suonano più concretamente delle canzoni che raccontano qualcosa, piuttosto che un collage di suoni, percussioni e vocalizzi atmosferici fini a sè stessi. Fra gli ospiti spicca soprattutto Bjork, anche perché in questo periodo fra i due vi è una relazione e Tricky la sta aiutando nella produzione del suo Post.

Ciò che ancora manca però a Tricky per realizzare l'atteso capolavoro è il definitivo affrancarsi da quest'attitudine che mette in primo piano le collaborazioni, i duetti, la raccolta di differenti umori ed impressioni assemblati seguendo lo spunto del momento, elementi ai quali vengono asseriviti la sua capacità di metabolizzare ed interiorizzare emozioni, pensieri e frammenti di memoria, fonderli insieme ed esternarli con canzoni vissute ed intimiste. Tricky dovrebbe piuttosto percorrere il sentiero opposto, sfruttando la sua ricerca dell'effettistica, la cura per le basi sonore e la lunga fila di collaborazioni ed apparizioni vocali per enfatizzare e conferire spessore alla carica emotiva dei pezzi.
Con questo schema, invece, il disco suona ancora alle volte frammentario, mentre i brani finiscono alla lunga per perdere caratterizzazione e spessore per via di questo privilegiare il contorno (accattivante, fumoso, noir) al contenuto (profondo, evocativo, ma stemperato).
Nonostante ciò, il disco si rivela comunque influente e anche se Tricky è forse spesso eccessivamente sopravvalutato come compositore, è innegabile l'importanza storica dei suoi primi dischi. Più di tutto, Nearly God mostra come Tricky abbia un enorme potenziale non ancora espresso a dovere, ma pronto a scaturire con efficacia, a determinate condizioni.

L'iniziale Tattoo è una cover di Siouxsie and the Banshees, un'apertura drammatica dove i violini dolenti (campionati da Schoenberg) e il dub intermittente si fondono per costruire un'atmosfera agghiacciante e decadente. Chitarre noisy, spunti jazzati completano la componente claustrofobica del brano, uno dei migliori di tutto il lotto.
Poems è un lungo viaggio lungo un sentiero debolmente illuminato da alcuni lampioni, in cui emergono dalla notte le voci di Terry Hall e Martina Topley-Bird in un duetto intimista e minimalista.
La successiva Together Now, scritta assieme a Mark Saunders e Neneh Cherry, quasi stona, con bassi dub più spigliati, voce sensuale e giocosamente infantile, andamento quasi r&b, spruzzi di chitarre vellutate a sostenere i vocalizzi sguaiati; è purtroppo troppo ripetitiva nonostante duri meno della metà del brano precedente, che però è dotato di uno spessore emotivo di gran lunga superiore.
Rimedia parzialmente Keep Your Mouth Shut, per la quale Bjork riadatta la sua You've Been Flirting Again: un pezzo cupo e visionario, con downtempo rarefatto immerso in un ambient liquido e notturno, dal quale progressivamente emergono percussioni più elastiche ed effetti rumoristici inquietanti.
Risulta particolarmente caratterizzata I Be the Prophet, quasi un monologo evocativo per Tricky, a cui poi subentra la Topley-Bird mentre effetti raggelanti ed archi ossessivi si stagliano sullo sfondo.
Con Make a Change abbiamo un soul malinconico, plasmato dalla carismatica voce di Alison Moyet, impiantato su archi dolenti, ripresi da Tattoo, ma reso particolarmente inquietante dall'effettistica spettrale.
Black Coffee invece è la rivistazione di un classico jazz di Sonny Burke e Paul Francis Webster, reso particolarmente ossessivo ed epilettico.
La successiva Bubbles suona ipnotica, particolarmente notturna e metropolitana con le sue bollicine elettroniche sullo sfondo e il basso ripetuto in primo piano ripreso da Feed Me, ma finisce per essere troppo monotona.
Suonano altrettanto accattivanti e ripetitivi i beats esotici di I Sing for You, che sarebbe potuto essere un'interessante variante "latina" del trip hop se si fosse concesso più spazio ad elementi come le chitarre acustiche, che invece rimangono appena accennati perché il fulcro di tutto rimane il battito ovattato a ripetersi sotto il duetto vocale.
Concludiamo quindi con la tenebrosa Yoga, in cui si avverte lo zampino di Bjork nell'arrangiamento, un disco storicamente importante anche se ancora un po' inconcludente e disomogeneo per elevare Adrian "Tricky" Thaws nell'Olimpo dei grandi del trip hop, ma che testimonia più del precedente la personalità sfaccettata, inquieta, introversa e profonda dell'artista, così come la necessità di sprigionarla a briglie sciolte senza limitazioni.

Nella versione americana sono presenti due cover come bonus track, cioè Judas dei Depeche Mode e Children's Story di Slick Rick.

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