Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Gravenimage
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Johan Edlund - voce, chitarra, tastiera
- Thomas Wyreson - chitarra
- Anders Iwers - basso
- Lars Sköld - batteria

Tracklist: 

1. The Temple Of The Crescent Moon
2. Equinox Of The Gods
3. Until The Hellhounds Sleep Again
4. Will They Come?
5. Lucienne
6. Summertime Is Gone
7. Katarraktis Apo Aima
8. Raining Dead Angels
9. Misantropolis
10. Amanitis
11. Meliae
12. Via Dolorosa
13. Circles
14. Amanes

Tiamat

Amanethes

Quando ci si trova di fronte a un nuovo album dei Tiamat non si può non scoprirsi pieni di aspettativa. Infatti se è vero che, almeno per la critica, la band dell’oscuro Johan Edlund non ha più raggiunto i livelli di eccellenza di pietre miliari come “Wildhoney” e “A Deeper Kind Of Slumber”, è altrettanto vero che i Tiamat non sono mai effettivamente caduti nella facile formula “faccio gothic rock perché in questo momento attrae pubblico”. Che suonino, da qualche anno a questa parte, proprio goth rock è incontestabile, ma l’approccio, anche tenendo conto del complesso percorso precedente, è decisamente più ragionato e niente affatto casuale. Insomma, un conto è che molte band suonino gothic per cavalcare la cresta dell’onda, ma fare l’errore di ritenere tutte le band del filone dei buffoni dalla faccia tosta è un grave errore che spesso si commette per colpa dello stato malsano e artificioso che il gothic si è costruito. Basti riflettere sul fatto che prendere in mano un libretto dei Tiamat e uno degli ultimi HIM non è, da un punto di vista puramente letterario, la stessa cosa.

Detto questo, nonostante i Tiamat ci abbiano abituato a continue metamorfosi, ogni nuova trasformazione sorprende. Iniziando ad ascoltare "Amanethes" si rimane colpiti dal cambio di sound operato, che si riappropria di elementi più heavy legati al primo periodo della band. Non si tratta di un ritorno alle origini, bensì di un voluto inasprimento delle composizioni, ottenuta con un potenziamento della distorsione nelle chitarre e della sezione ritmica, che in the "The Temple Of the Crescent Moon "ed "Equinox Of the Gods" da vita a brani orecchiabili, che uniscono carica rock a una elegante ma più spinta vena gothic, fino a sfociare nel death/black più melodico. Convincente questo esperimento alla Moonspell? In realtà poco, perché i brani mancano di mordente e appaiono fin troppo assemblati e artificiosi. La delusione sembra alle porte.

Ma ecco che, con il terzo pezzo, "Until The Hellhounds Sleep Again", assistiamo a un cambio radicale. Un pezzo sinfonico introduce il brano, che con un ritmo rallentato e ottimi arrangiamenti di tastiera, si propone subito come uno dei migliori del platter e incarna la vera anima dei Tiamat: riflessiva, decadente, un po’ ironica e perduta eppure decisa come un’invocazione. "Will They Come", ancora più ingentilita, continua sullo stesso schema, e così, con le dovute variazioni ed eccezioni, tutto il resto di "Amanethes", che in sostanza non prende troppo le distanze dai vari album precedenti. Ciononostante le contaminazioni che emergono sono sempre molteplici, dando una buona varietà all’album, che risente di influenze industrial, ambient, e addirittura folk e (ascoltate "Meliae" se non ci credete), anche se in sostanza l’impronta principale è quella di un rock di stampo dark e ritmi quasi sempre lenti e suadenti. Amanethes è infatti una parola mediorientale che descrive un tipo di composizione molto lenta e triste, che Edlund ha voluto associare, per motivi più concettuali che musicali, al nuovo album.

Purtroppo questa unità stilistica spesso viene meno, e assistiamo a veri e propri scivoloni, in cui i Tiamat si lasciano troppo andare allo sperimentalismo, dimenticandosi di dare unità e continuità all’album, che pur contenendo in sostanza pezzi validi, se ascoltato tutto d’un pezzo rischia di far venire le vertigini. Quello che si può evincere è che i nostri abbiano accumulato molto materiale in questi cinque anni di assenza(anche la durata e il numero di brani nell’album lo testimonia), e l’inevitabile eterogeneità dei risultati non sia stata opportunamente riordinata e revisionata per dar vita a qualcosa di coerente.
Si ha la netta impressione di poter benissimo prendere alcuni pezzi (i due iniziali potrebbero forse finire in un altro album), toglierne altri, rifare la tracklist e il risultato sarebbe decisamente superiore. Amanethes è come un quadro troppo grande, in cui i bei particolari si faticano a vedere per l’eccessiva ampiezza della tela.

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