Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Magic Bullet Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Chris King
- Raymond Brown
- Jeremy Galindo
- Andrew Miller

Tracklist: 


1. A Three-Legged Workhorse
2. Villa del Rifugio (Town of Refuge)
3. Threads
4. Leather Wings
5. The Mighty Rio Grande
6. They Move on Tracks of Never-Ending Light
7. Burial on the Presidio Banks

This Will Destroy You

This Will Destroy You

E' finalmente uscito l'atteso omonimo primo full-lenght degli americani This Will Destroy You, già finiti sotto gli occhi dei cultori del post-rock nel 2005 con il relativamente lungo EP Young Mountain. In quell'occasione, seppur mostrando un approccio modellato su certi canoni ormai divenuti quasi dei clichè (le atmosfere dilatate, i crescendo sonori, l'intensità emozionale seguita da momenti tenui e meditati ecc.) della loro particolare corrente del genere e strizzando l'occhio a gruppi come gli scozzesi Mogwai, gli islandesi Sigur Ròs (primo periodo, in alcuni punti maggiormente melodiosi) o i connazionali texani Explosions In The Sky, i TWDY avevano dalla loro degli arrangiamenti efficaci e gustosi, ricchi di potenziale melodico con cui costruire brani efficaci e variopinti senza scadere nella ridondanza, nella banalità e nel mero manierismo emulativo, ma anzi presentando buoni spunti per emergere senza apparire pallidi cloni, spunti da utilizzare come trampolino di lancio per il debutto ufficiale. Puntando in definitiva al bilanciamento equilibrato fra la finezza compositiva e il raccogliere i semi già sparsi da altre ensemble più blasonate. La risposta a queste aspettative giunge nel gennaio 2008.

Salta subito all'orecchio che la formazione del Texas appare molto più matura e accurata rispetto all'EP di tre anni prima, e che non si sia persa una briciola della cura riposta nel suono. Entriamo direttamente all'interno del disco accompagnati da un muro sonoro che cresce pian piano d'intensità, fin quando non si dissolve nell'atmosfera di sottofondo a tutto: è A Three Legged-Workhorse, il primo brano. Ben presto i tenui giri di note di chitarra iniziano a tessere la loro malinconica poesia sonora, sullo sfondo effetti elettronici ed una batteria calma ma sicura accompagnano l'articolarsi dello strumento, perfettamente lineare come se ogni nota emessa preannunciasse le successive, in una sinergia melodica quasi come intuibile - ma non affatto scontata od ingenuamente stantia. Si può dire invece che la successiva evoluzione del brano è, sì, abbastanza ordinaria, infatti non molto tardi la batteria inizia a farsi sempre più decisa e le distorsioni di chitarra subentrano per costruire un'emozionalità forte e diretta, seguendo uno schema ormai classico, forse anche un po' banalotto, di certo post rock. Pur non essendo una trovata fuori dalla norma, però, i TWDY compensano con un gusto magistrale per gli arrangiamenti, un caleidoscopio di sensazioni e visioni sognanti che il loro rock strumentale riesce a ricreare con eleganza e dolcezza. Villa del Rifugio esplora eteree distese ricche della capacità di sintesi fra la delicatezza e la capacità di emozionare con la sua ricercatezza sonora, con alcuni tocchi vicini all'ambient per l'atmosfericità e contrastata da alcuni effetti elettronici tartaglianti, in opposizione alla morbidezza del resto del brano. Si ritorna sulle coordinate del primo brano con Threads, un po' prevedibilmente speculare nel suo metro di sviluppo, fortunatamente anche nella medesima emozionalità, una perla toccante ed evocativa, soprattutto nel vortice sonoro finale. Leather Wings rinuncia alla parte del crescendo emozionale, difatti è molto più corta degli altri brani (quasi quattro minuti, mentre il più breve, il precedente, è di oltre sei minuti e il più lungo, il successivo, di quasi dodici), concentrandosi solo sulla successione di note di chitarra accompagnate dalla batteria che scandisce instancabilmente il pezzo. Pur mantenendo un'alta dose di melodie il risultato è però un po' statico e ripetitivo, anche se dura relativamente poco. The Mighty Rio Grande è il pezzo più lungo del disco, un'escursione onirica e soffusa fra tappeti di tastiere atmosferiche di sottofondo e tenui, malinconici arpeggi di chitarra alternati a refrain intensi e risonanti. Arrivati a They Move on Tracks of Never-Ending Light, con i suoi intrecci di tenui note di chitarra e di leggeri sintetizzatori, e a Burial on the Presidio Banks, conclusione modellata sul canonico stampo musicale già noto, ci si ricorda di come poche semplici note messe al posto giusto possano essere molto più significative e toccanti di certe composizioni che cercano di risultare articolate e complesse ma che alla fine purtroppo, difettando di brio ed estro compositivo, si rivelano pompose e fini a sè stesse. Dal lato opposto si può dire però che il full-lenght nella sua parte finale inizia ad apparire leggermente monotono, perdendo insomma qualche colpo, cosa che comunque non gli impedisce di scorrere via fluidamente e senza scadere nella vera e propria piattezza (tranne forse nell'ultimo crescendo che suona ormai un po' trito, ed è un appunto su cui diversi gruppi etichettati come "post rock" dovrebbero meditare in futuro per evitare di precipitare nell'auto-indulgenza).

Un disco che consigliamo a tutti gli appassionati in cerca di un disco che, seppur non troppo originale, si mostri più concreto e convincente di altre proposte più sbiadite, perché come songwriting rimane di alto livello, superiore alla media delle uscite.

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