Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Modular
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Kevin Parker - chitarra, basso, voce, batteria
- Jay Watson - batteria, synth, tastiere, voce
- Dominic Simper - basso
- Paisley Adams - chitarra, synth, percussioni (live)

Tracklist: 

1. It's Not Meant to Be
2. Desire Be Desire Go
3. Alter Ego
4. Lucidity
5. Make Up Your Mind
6. Solitude Is Bliss
7. Jeremy's Storm
8. Expectations
9. Bold Arrow of Time
10. Runway Houses City Clouds
11. I Don't Really Mind
12. Bonus Track

Tame Impala

Innerspeaker

La psichedelia del nuovo millennio, a quanto pare, abita in Australia. Più precisamente a Perth, a casa Tame Impala.
Giovanissimi e al debutto su full-lenght, i quattro australiani sono la nuova, esaltante rivelazione dello psych-rock internazionale degli ultimi anni; Innerspeaker è l'album in questione e probabilmente sarà la goccia che farà traboccare il vaso del successo di una band da non lasciarsi sfuggire per nessun motivo al mondo.
Tramite una discreta diffusione nell'universo dei blog, i Tame Impala di giudizi positivi ne hanno già ricevuti a bizzeffe, senza contare i non trascurabili responsi da loro maturati in patria; poco più che ventenni e già così pronti per il grande salto, i Tame Impala possono tranquillamente considerarsi la grande sorpresa di questo 2010 alternativo e Innerspeaker uno dei dischi più interessanti, avvolgenti e ipnotici dell'anno.
Distribuito dalla Modular (stessa etichetta dei Wolfmother) e prodotto da Tim Holmes dei Death in Vegas, Innerspeaker è un album dalla forza evocativa semplicemente travolgente. Un'epopea lisergica in cui la psichedelia di fine anni '60 (Grateful Dead e Jefferson Airplane resuscitati) viene ripresa quasi con violenza, filtrandola attraverso chitarroni distorti, tastiere caleidoscopiche, voci fluttuanti e atmosfere dannatamente surreali.

Un gioco del genere era stato abilmente messo in piedi l'anno passato dai geniali Portugal. The Man; una sorta di revival psichedelico che, però, nella dimensione compositiva dei Tame Impala si colora di valenze e caratteristiche piuttosto differenti e diversamente enucleate a livello concettuale e stilistico. Se lo psych pop degli americani è infatti solare, pulito, emozionante e superprodotto, quello degli australiani sembra provenire da un'eruzione sotterranea che porta con sè tutto il fango, le foglie morte, gli alberi spezzati e la densa rugiada di una foresta fantastica. Pozzanghere che però si trasformano in laghi, cieli spettrali che si colorano all'improvviso di arcobaleni; da queste perpetue variazioni, da questa incredibile capacità di abbinare distorsioni urticanti e atmosfere psichedeliche visionarie, Innerspeaker si slega con una fluidità impressionante attraverso una serie di canzoni da vera e propria LSD hit parade.
Le ipnotiche alchemie psichedeliche dei gioielli iniziali It Is not Meant to Be (gioco di specchi sospeso tra King Crimson e Doors) e Desire Be Desire Go (affascinante nelle sue dinamiche ritmiche e nella sua atmosfera old-school filtrata attraverso interessanti inserti distorti) sbattono sin da subito in faccia il cuore più profondo dei Tame Impala, sciogliendosi con eleganza in robusti rituali psichedelici e aprendo la strada all'atmosfera sempre più irreale e delirante delle successive canzoni. Canzoni che con Why Don't You Make Up Your Mind? e il capolavoro Island Walking fanno toccare ad Innerspeaker vette di assoluto straniamento percettivo e di grande coinvolgimento atmosferico, la prima con le sue tastiere lisergiche e le sue fasi distorte, la seconda con dei giochi melodici e strumentali abbaglianti e ben più raffinati rispetto a quelli degli altri episodi. Escluse le appene citate perle, l'album si immerge infatti in un revival psichedelico ruvidissimo e dal grande impatto, non ponendo mai pause e soste alla sua travolgente cavalcata atmosferica: ne sono esempio la potenza onirica e alienante di Jeremy's Storm, il riffing acidissimo di Alter Ego, le tastiere e le voci della fase centrale di Runway, Houses, City, Clouds o ancora le vivaci costruzioni strumentali e ritmiche di Solitude is Bliss e Expectation.

Insomma, psichedelia distorta, visionaria e surreale come non se ne sentiva da tempo, e il fatto che quest'ammaliante esperimento provenga dalle menti di un giovanissimo complesso australiano alla prima fatica discografica, aumenta indubbiamente il valore di un album che, per genuinità e potenza espressiva, rientra di diritto tra le uscite più divertenti dell'ultimo anno. Perderselo sarebbe davvero un peccato.


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