Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Samadhisound
Anno: 
2003
Line-Up: 

- David Sylvian - Voce, Produzione
- Christian Fennesz - Elettronica, Arrangiamenti, Programming
- Derek Bailey - Chitarra

Tracklist: 

1. Blemish
2. The Good Son
3. The Only Daughter
4. The Heart Knows Better
5. She Is Not
6. Late Night Shopping
7. How Little We Need to Be Happy
8. A Fire in the Forest
9. Trauma (japanese edition's bonus track)

David Sylvian

Blemish

L'inizio folgorante sotto i riflettori del glam e del synth pop con i Japan. La fama, il trionfo, l'esaltazione. Poi il distacco, la riflessione solitaria e la proiezione musicale più intima, sofferta, vera. Dal 1984 in poi David Sylvian, da fascinoso frontman di uno dei gruppi più "in" dell'epoca, si è trasformato in un cantautore unico e - perdonate la banalità - inimitabile. Lo è stato tanto da riuscire a fondere splendidamente cantautorato e avanguardia in uno stile che tanto avrebbe da insegnare a tutti quegli artisti pop (o presunti tali) immersi in continue velleità sperimentali e ricerche paranormali di un ideale musicale artificioso sotto cui in realtà si nasconde il nulla. In Sylvian tutto sembra complicarsi irrimediabilmente, sembra dirigersi verso lingue e suoni alieni ma, dietro il velo di quest'intensa ricerca, si nasconde una profondità espressiva pazzesca. David Sylvian ha un cuore gigantesco, raccolto però in una gabbia di vetro che si spezza ad ogni suono, frammentando e modulando in continuazione il suo linguaggio e la sua ricercata estetica: questo è ciò che il gioiello Blemish del 2003 ha cercato di documentare ed esprimere, radicalizzando il suo percorso "avantgarde" e dandocene una nuova, straniante interpretazione. Riuscendoci peraltro alla grande.

Che Sylvian fosse una personalità piuttosto complessa lo si era capito già dal suo masterpiece Secrets of the Beehive del 1987: a sedici anni di distanza da quell'intenso cristallo cantautorale, Blemish ripropone la frammentazione interiore dello spirito dell'artista, questa volta coadiuvato dalla presenza di due mostri sacri dell'avanguardia europea: Christian Fennesz e il geniale pioniere Derek Bailey, purtroppo scomparso due anni dopo la pubblicazione dell'album. Il risultato dell'esperimento Blemish è uno specchio dalle infinite superfici su cui vengono riflessi frammenti, attimi spezzati e bagliori improvvisi di una musica instabile ma dannatamente profonda. Le invenzioni strumentali di Fennesz (che sceglierà proprio Sylvian come guest nel suo Venice del 2004) e Bailey fungono qui da sbilenco sottofondo sonoro per le toccanti fantasie vocali di Sylvian, proprio a simboleggiare questo contrasto estetico di fondo dal quale scaturisce nient'altro che una grande e ipnotica poesia.

Il cantautorato si spoglia così del folk, il glitch abbandona la sua autoreferenzialità strumentale e vi penetra all'interno rimescolandone le strutture e disintegrandone le forme: il disco rende tangibile sin dai suoi primi vagiti questo senso di smarrimento, affidando all'omonima Blemish il compito di sciogliere il cuore di Sylvian e di rielaborarlo elettronicamente in una mesmerizzante danza glitch splendidamente diretta dal burattinaio Fennesz, ancora una volta dimostratosi geniale artista-ingegnere dal cuore febbrile. A rimanere integra e "pulita" è solo la voce di Sylvian: sotto di essa si consuma una tragedia di suoni vitrei e silenziose correnti effettistiche che nei momenti più tetri quasi sfociano nell'atonalismo (la cacofonia della chitarra di She Is Not e delle stridenti The Good Son e How Little We Need to Be Happy, quasi degli omaggi moderni alla Seconda Scuola di Vienna). Eppure quella di Sylvian è una musica che, anche quando tutto sembra definitivamente dirigersi verso una totale frammentazione linguistica ed espressiva, riesce sempre a tirare fuori il suo cuore più intimo, toccando con i capolavori A Fire in the Forest (innalzata dalle struggenti corstruzioni elettroniche fennesziane) e la più oscura Late Night Shopping vette d'assoluto coinvolgimento emotivo; aperture interiori che superano in un balzo le sbilenche costruzioni dei brani precedenti ma che al contempo si pongono sulla scia degli episodi ambientali più minimalisti, magnificamente espressi dalle altre due perle The Heart Knows Better (psichedelico carillon glitch) e The Only Daughter, esperimento basinskiano che immerge Blemish in un'atmosfera irreale e rarefatta.

Perchè solo i geni possono abbinare profondità espressiva e ricerca sperimentale nella stessa proposta; perchè solo i geni sono in grado di emozionare pur se con i mezzi di un'arte oscura, aliena e indecifrabile per le orecchie comuni. David Sylvian era un bowieano giovanotto in paiette pronto a immergersi nella fama e nel successo del music business ma che ha finito per diventare l'emblematica espressione del cantautore moderno che ha perso tutti i contatti con la propria tradizione. Blemish è l'ennesima testimonianza (nonchè una delle più profonde) di questo passo in avanti, di questa crescita e di questa maturità che hanno trasformato Sylvian in un uomo nuovo e sempre più affascinante. Dentro.
 

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