Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Nuclear Blast
Anno: 
2011
Line-Up: 

Josh Middleton – lead guitar, lead vocals
Alex Bailey – rhythm guitar
Carl Parnell – bass
Rob Callard – drums, percussion

Tracklist: 

01. Procession – 6:45
02. Sands Of Time – 5:07
03. Empyreal (Part 1) – 4:52
04. Empyreal (Part 2) [Instrumental] – 1:07
05. A Serpent’s Tongue – 5:23
06. Awakening – 3:59
07. Kingdom Of Solitude – 5:37
08. Where The Sky Ends [Instrumental] – 3:56
09. Dystopia – 5:44
10. Apparitions – 7:15
11. Altered States Of Consciousness – 5:31
12. Beyond The Resurrected – 5:10
13. Eclipsed – 4:46
14. From The Edge Of The Earth – 7:38

Sylosis

Edge of the Earth

Reduci dal sorprendente successo del debut album, quel Conclusion Of An Age che ancora oggi è a parere nostro grandemente sopravvalutato, i Sylosis si ripropongono al grande pubblico in vesti decisamente rinnovate, rigenerate e, quel che è meglio, clamorosamente differenti dal loro unico e precedente lavoro. Punto di svolta probabilmente decisivo per le sorti della band originaria di Reading, nel Berkshire, è stata la dipartita del loro vocalist Jamie Graham, per il quale non si è deciso di cercare un rimpiazzo, temporaneo o definitivo che fosse: a prendere in mano il microfono, così come ad incaricarci del pesante fardello della composizione strumentale, è stato il carismatico leader Josh Middleton, anima e corpo di un act quasi certamente sconosciuto ai più ma autore di un’opera ai limiti del sensazionale che certamente saprà regalare loro la notorietà che realmente meritano. Edge Of The Earth, pubblicato lo scorso 14 marzo per Nuclear Blast, è senza dubbio la migliore pubblicazione metal di questi primi 3 mesi del 2011, un concentrato stupefacente di idee chiare e abilità compositiva nettamente sopra la media che si distende in tutti i suoi 72 minuti senza soporifere diluizioni ma, al contrario, con una ricchezza creativa talvolta stordente, persino asfissiante, che all’inizio complica non poco la comprensione intellettiva delle strutture sotterranee, rischiando seriamente di allontanare gli ascoltatori meno tenaci e curiosi.

Proprio questo è il primo pregio che traspare in tutta la sua evidenza da questa funambolica sfida: Edge Of The Earth, infatti, cresce esponenzialmente ascolto dopo ascolto, insinuando con sempre meno delicatezza la curiosità febbrile di capire di soppiatto i rimandi, scovare sottotraccia i collegamenti, intuire anzitempo i passaggi più arditi. La complessità appena evidenziata denota una crescita artistica saggiamente pianificata che, a partire dal thrash metal fortemente groovy dell’esordio del 2008, ha condotto il quintetto britannico a saggiare le proprie ambizioni prog/post, a tutti gli effetti confortate da una fantasia compositiva non del tutto originale ma certamente intrisa di una personalità già forte e scolpita. Questo non ha significato affatto un immediato abbandono, da parte del quartetto inglese, delle proprie origini thrash in versione Bay Arena old school, al contrario gli ha consentito di ispessire e completare il proprio sound secondo quelle che erano le sue prerogative iniziali, ovvero l’incorporamento, all’interno di questa base più tradizionale, delle tessiture più varie e degli stili più diversi: è per questa ragione che Edge Of The Earth spazia con così forte convinzione dagli incalzanti ritmi del groove metal firmato Machine Head al riffing corposo e potente del melodic death metal riconducibile alla prima stagione degli In Flames, passando per le feroci accelerazioni del deathcore di matrice nordamericana (e non inglese, è bene sottolinearlo), break down marziali post-hardcore e voluminosi stacchi mid-tempo secondo le più recenti formulazioni post-metal, perfetta sublimazione dei rabbiosi segmenti introduttivi. A dispetto dell’ardua compatibilità di tutti questi elementi così eterogenei fra loro, la sapiente mano di Josh Middleton ha saputo offrire loro una coerenza e una linearità semplicemente esaltanti, come se ogni singolo soggetto espressivo trovasse una sua collocazione ideale, abilmente predefinita e sapientemente incastonata in quel mosaico caleidoscopico di sonorità prevalentemente moderne che è a tutti gli effetti Edge Of The Earth. Non si può certo negare che i primi impatti sembrino divergere sensibilmente dalle precedenti considerazioni, ma si tratta di sensazioni temporanee e ampiamente giustificate dalla mole impressionante del disco, forse persino eccessiva; tuttavia, passaggio dopo passaggio, anche le partiture più impervie rivelano la loro piacevole semplicità ed è ancor più entusiasmante immergersi completamente nelle sue onde tumultuose e rincorrerle una dopo l’altra con quell’avidità spontanea che è propria soltanto di chi si innamora.

Proprio questa spontanea infatuazione non deve però minare la lucidità necessaria ad evidenziare anche i difetti, per lo più formali, di questo portentoso album. Come già accennato in precedenza, la durata complessiva di Edge Of The Earth non costituisce di per sé un limite intrinseco alla sua riuscita, né tanto meno può considerarsi un’esagerazione fine a sé stessa, dal momento che le idee partorite dalla mente illuminata di Josh Middleton che riescono a riempirla con una ricchezza persino esasperante; al contrario, sarebbe il caso di complimentarsi sinceramente con la formazione inglese, sia per aver dato alle stampe un’opera totale e totalizzante che meritatamente esige giorni e giorni di passaggi stereo per farsi addomesticare completamente, senza quindi consumarsi a mo’ di candela come tanti dischi ricchi di successo ma poveri di contenuti, sia per non aver affatto giocato al risparmio mettendo nel cassetto parte del materiale composto (pratica fasulla e nefasta, a parere di chi scrive) così da averne di già pronto per il seguito, dimostrazione palese di come Edge Of The Earth sia la rappresentazione fedele di un preciso momento storico della band e come tale, nella sua interezza, andava (ed è stato) pubblicato. 

E’ altrettanto vero, però, che in alcune circostanze i Sylosis compiono scelte decisamente irritanti, a partire all’assurdità totale di Empyreal part 2, vale a dire un minuto di inutile ripetizione strumentale, per arrivare alle superflue introduzioni semiacustiche o alle noiose conclusioni in fading di alcune tracce quali Awakening, Altered State Of Consciousness o la furiosa Dystopia, addirittura slegata dalla propria breve ouverture, che avrebbero avuto senso logico soltanto qualora si fossero ripetute per tutti i singoli episodi dell’album, come a costituire un’unica lunga suite narrativa, ma così non è. Più in generale traspare da alcuni precisi momenti musicali una voglia di strafare certamente ammirevole e comprensibile ma dagli effetti deleteri: fra sciocche forzature (l’assolo iniziale di Sands Of Time, ad esempio), qualche rielaborazione fuori contesto (su tutti il fastidioso crescendo epic/power di Kingdom Of Solitude) e cambi di tempo eccessivamente ravvicinati, talvolta al limite dell’incomprensibile, la conseguenza peggiore è che viene seriamente compromesso il mood generale del disco e l’ascoltatore fatica seriamente a restare immerso nel flusso dello sviluppo narrativo.

Un ultimo aspetto capace di sollevare qualche perplessità di troppo è la performance vocale dello stesso Josh Middleton, al quale, sebbene vada tributato grande merito nell’essersi assunto la difficile responsabilità di cantare, non si può rimproverare il grave difetto di risultare dannatamente calante in alcuni frangenti di massima esplosività canora, producendo così un doloroso effetto-contrazione che finisce per penalizzare sensibilmente la riuscita complessiva di alcuni brani che avrebbero potuto compiere un salto di qualità ancora superiore. Detto che null’altro gli si può effettivamente addebitare e che si tratta per lo più di imperfezioni facilmente eliminabili (o, almeno, limitabili) con opportuni esercizi canori, è altrettanto importante sottolineare come le linee vocali predisposte dallo stesso Josh Middleton lascino intravedere una contraddizione quasi masochista ben difficile da spiegare: se da un lato, infatti, i Sylosis sembrano trovare la propria dimensione naturale nei ritmi più solenni e cadenzati, laddove il sound si trasforma da crudo a corposo e si predispone a sublimare lo scioglimento finale del discorso narrativo, dall’altro l’espressione vocale sembra rifuggire la modalità clean, decisamente più appropriata in quel preciso atto narrativo, come se nascondesse il timore di cedere (talvolta in maniera perfino indispensabile, si ascolti A Serpent’s Tongue) al compromesso storico fra metal estremo e voce piena e chiara – come se si volesse, insomma, dosare cautamente le concessioni alla voce piena e chiara a scopo precauzionale, quasi, onde evitare il rischio di suscitare malumori reazionari in una fan base forse più orientata alle frange estreme piuttosto che ad attenzioni post/prog.        

Pur tuttavia, non si può negare che la varietà allucinante di idee creative e la generosa passionalità con la quale sono state realizzate all’interno delle sue 14 tracce facciano di Edge Of The Earth un esempio perfetto di metal moderno e classico allo stesso tempo, potente ed arioso, accattivante ma non frivolo, cerebrale eppure espressivo – materia viva e fumante, sebbene ancor priva di quelle raffinatezze sottili ma estasianti che sono frutto della pura e semplice esperienza piuttosto che di conoscenze acquisite o talento specifico. Pertanto, se è vero che la prima arriverà col tempo e che di quest’ultimo hanno dimostrato di abbondare, i Sylosis di Josh Middleton si pongono oggi come una realtà assoluta del metal alternativo – una speranza inattesa e grandiosa che, in punta di piedi, ha già segnato distintamente questo promettente 2011.  

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