Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Roberto Vitale
Genere: 
Etichetta: 
RCA
Anno: 
1976
Line-Up: 

- Bryan Connolly - Voce Solista
- Andy Scott - Chitarra
- Steve Priest - Basso
- Mick Tucker - Batteria.

Tracklist: 

01. The lies in your eyes
02. Cockroach
03. Keep it in
04. 4th of July
05. Action
06. Yesterday's rain
07. White mice
08. Healer

Sweet

Give Us a Wink

Dopo una serie di album di grande successo commerciale, ma di scarsa soddisfazione a livello personale, gli Sweet verso la fine del 1975, decisero di rompere il sodalizio artistico che li legava al duo Nicky Chinn/Mike Chapman, responsabili dei loro maggiori successi, grazie a tutta una serie di brani di facile ascolto, che erano in totale dicotomia con quanto scritto e prodotto dal gruppo, cioè un sound corposo, hard rock fino al midollo, in alcuni casi addirittura sconfinanti in qualcosa che si potrebbe tranquillamente definire "proto-metal" (esempio per tutte, la classica "Set me free" inclusa nello splendido "Sweet Fanny Adams" del 1974). La rottura con i loro vecchi produttori non fu indolore, ed il gruppo ne pagò conseguenze notevoli, soprattutto a livello di promozione degli album, che fatalmente perdevano un appeal di tipo commerciale e propagandistico, rivolgendosi ora solamente ai fans della band, che seppure presenti in grande numero, si spaccheranno anch'essi in due tronconi, con quelli che prediligevano le atmosfere più glam che preferiranno spostare le loro attenzioni altrove.
Come già nel precedente "Desolation boulevard", gli Sweet, confermano la loro intenzione di abbandonare lustrini e paillettes e dedicarsi ad argomenti un pò più seriosi, non troppo a dir la verità, rispetto a quanto proposto fino a quel momento, cioè brani dai forti riferimenti sessuali, frammisti ad un machismo a volte dirompente, altre volte ambiguo.

Ecco perchè l'ascolto di "Give us a wink", corredato da una copertina a dir poco spettacolare, almeno per chi, come il sottoscritto, ha avuto la fortuna di maneggiare il vinile, che facendo riferimento al titolo, mostrava una strizzatina di occhi man mano che si estraeva la confezione interna del disco, va valutato in base al particolare momento storico del gruppo; ansioso di spaccare il mondo, dimostrando energicamente che in fondo erano capaci di andare avanti lo stesso senza i loro due ex pigmalioni.
Tale convinzione veniva poi rafforzata dall'enorme successo che qualche mese prima ebbe un loro brano, "Fox on the run", grazie ad un arrangiamento diverso e molto più diretto rispetto a quanto proposto nell'album di origine (Desolation Boulevard), che catapultò i quattro in cima alle classifiche di mezzo mondo, Italia compresa.
Tale modifica prevedeva l'inserimento su una impalcatura chitarristica di qualche spruzzata di sintetizzatore che arricchiva il suono, unito ad un cantato aggressivo e ad una ritmica cadenzata ma piuttosto potente.

Forse è anche per questo motivo, che tali caratteristiche le ritroviamo nei due brani più conosciuti di Give us a wink; la celeberrima "Action", coverizzata non so quante volte in futuro da parecchi gruppi e la più oscura e martellante "The lies in your eyes". In entrambe le canzoni, i testi sono dedicati a Chinn e Chapman, nel primo caso accusati di essere una vera e propria macchina mangiasoldi (ricordate il rumore di un registratore di cassa prima del solo di chitarra ?), nel secondo di non essere stati sinceri con il gruppo, facendo in modo che i due ne sfruttassero la popolarità per fini personalistici.
Gli altri brani risentono di questo clima infuocato, basti pensare alla durissima "Keep it in" forse la canzone più metal composta dagli Sweet, o ancora "Cockroach" con quell'attacco di batteria che fa tremare gli amplificatori.
Lo stesso chitarrista Andy Scott, ha recentemente ammesso che questi sono i brani più heavy mai composti dal gruppo, cosa che conferma quanto gli Sweet tenessero a dimostrare un qualcosa che li mettesse quantomeno alla pari con altri mostri sacri del genere.
Il glam degli esordi lo si ritrova, in piccole dosi, nella scanzonata "4th of July", sicuramente l'episodio minore del disco, mentre di buon livello sono sicuramente "Yesterday's rain" o la divertente "White mice", dove si alternano in parti uguali, parti cantate e soli di chitarra.

Un episodio particolare è sicuramente "The healer", brano fortemente ipnotico che chiude un album non leggendario ma fondamentale per comprendere chi erano veramente gli Sweet, e quali fossero le loro reali intenzioni, dare vita cioè ad un sound prossimo a quello che oggi chiamiamo tranquillamente heavy metal, essere in qualche maniera più hard di gruppi che andavano per la maggiore in Inghilterra in quel periodo (Queen su tutti), con un tocco di proletariato, lasciando perdere tutti i trucchi che ne avevano accompagnato l'esistenza fino a quel momento.
Ecco perchè si tratta di un disco sincero, che va gustato come un buon bicchiere di quel vino un pò invecchiato che inebria le narici non appena viene tolto il tappo dalla bottiglia.


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