Voto: 
8.6 / 10
Autore: 
Massimiliano Barbieri
Genere: 
Etichetta: 
Firebox Records
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Mikko Kotamäki - voce
- Juha Raivio - chitarra
- Markus Jämsen - chitarra
- Matti Honkonen - basso
- Aleksi Munter - tastiera
- Pasi Pasanen - batteria

Tracklist: 

1. Through Her Silvery Body (08:40)
2. Deadly Nightshade (05:48)
3. Out Of This Gloomy Light (05:37)
4. Swallow (05:23)
5. Silence Of The Womb (06:50)
6. Hold This Woe (08:04)
7. Under The Waves (06:46)
8. The Morning Never Came (09:19)

Swallow the Sun

The Morning Never Came

Dalla fredda Finlandia ci arriva questo The Morning Never Came, esordio discografico degli Swallow The Sun edito dalla Firebox Records. Il gruppo ci propone un mix ponderato di Death e Doom con un occhio particolare alla melodia; le influenze risaltano abbastanza: My Dying Bride, Anathema, Katatonia, primi Amorphis e anche qualcosa dei nostrani Novembre uniti a melodie riconducibili al Death melodico ma rallentate, il tutto condito con una tastiera mai invadente che crea un’atmosfera molto solenne. La tendenza, leggendo questa lista infinita di influenze è quella di pensare a un prodotto incompiuto, senza identità, né carne né pesce…niente di più sbagliato. Il tutto si unisce perfettamente, si amalgama sino a fare diventare indistinguibili i vari elementi, come un pittore che unendo due colori ne ottiene un terzo con identità propria. Certo, a tratti, sulla (nera) tela dei Nostri il colore è più tendente ad uno dei due che l’hanno originato ma ciò non può che far piacere donando delle sfumature molto gustose.

Il disco si apre con Through Her Silvery Body, canzone ottimamente introdotta da un pianoforte che sembra lottare tristemente con il silenzio, riuscendo a fatica a romperlo. La sensazione è quella di staticità, tristezza e fredda rassegnazione. Sensazione che viene improvvisamente spazzata via quando al piano si sostituiscono le chitarre che ne riprendono il motivo cambiandone il sapore, una reazione all’apatia, dall’atmosfera quasi epica, certamente solenne. Difficile non rimanere stregati da quel riff. Altrettanto difficile non rimanere stupiti dalla bellezza della melodia che segue, quasi ariosa e sognante, con gli strumenti ritmici a dare continuità alla sensazione di claustrofobica tristezza, sensazione che verrà poi rafforzata da un’ulteriore decelerazione del già lento ritmo che ci immette nel verse. L’entrata della voce incrementa ulteriormente la disperazione che permea ogni singola nota: un growl corposo, rallentato e urlato. Per più di otto minuti e mezzo si viene cullati da queste emozioni e non si può che restarne colpiti. La seguente Deadly Nightshade, dopo un inizio che ricorda i My Dying Bride di The Dreadful Hours, riprende le coordinate stilistiche dell’opener tessendo ottime melodie ma sempre con un retrogusto amaro eppure diverso, un po’ più epico. Out Of This Gloomy Light è ulteriore dimostrazione delle capacità compositive dei Nostri che costruiscono una dietro l’altra ottime melodie, mai banali e quasi camaleontiche poiché, anche se l’atmosfera generale è sempre triste a tratti pare di scorgere atmosfere sognanti, quasi speranzose, da “happy ending”, ma appena si cerca di focalizzare l’attenzione su di esse le si vede scomparire come un fuoco fatuo nella notte. Questa canzone è un susseguirsi di sensazioni contrastanti che va a sfociare in un finale struggente in cui un magnifico assolo trascina l’ascoltatore in un vortice di emozioni grazie al buon gusto della sua melodia.

Si giunge così a Swallow che sorprende sin dall’inizio grazie all’ariosità eterea e imprevista dell’atmosfera, presto sostituita dalla tristezza al momento dell’entrata della voce. Su questo dualismo atmosfera sognante/deprimente si costruisce tutta la canzone che continua a sottoporre l’ascoltatore a piacevoli sbalzi a seconda che i finnici decidano di usare bastone o carota in quella determinata sezione. L’apice in questo senso si raggiunge nel ritornello altamente melodico e ricco di atmosfera seguito dalla sua negazione, una sezione molto ritmata in cui il growl duetta con uno sceaming acido.
Silence Of The Womb inizia in modo davvero grandioso denotando per l’ennesima volta l’estremo buon gusto per le melodie della band. Piacevolissima sorpresa il ritornello, introdotto da un gelido pianoforte, cantato in clean (alla Carmelo Orlando tanto per intenderci) supportato da backing vocals scream. Ottima anche la parte finale in pieno stile My Dying Bride con chitarre fischianti, suoni confusi e una voce disperata degna del migliore Stainthorpe. Nella successiva Hold This Woe acquista ancora più importanza la voce pulita che si occupa di tutti i verse relegando il growl al bridge e al ritornello. Le melodie sono anche un questo caso ottime e le due anime della canzone stessa, rappresentate una da chitarre vibranti sostenute dal pianoforte con voce clean e l’altra da chitarre distorte che ricamano melodie più aggressive con growl, convivono stupendamente nella loro diversità che esalta le caratteristiche di ognuna di esse. Under The Waves è forse il pezzo più debitore ai My Dying Bride di tutto l’album per la preponderanza di ritmi lenti e riffs che pesano come massi sull’ascoltatore, il risultato è comunque tutt’altro che da buttare. Si arriva così all’ottava ed ultima traccia, la title track The Morning Never Came. Nove minuti in cui si alternano atmosfere e riffs aventi come filo conduttore una disperazione rassegnata e congelata. Canzone che da il colpo di grazia all’ascoltatore con l’ennesima dose massiccia di pesantezza dell’anima e pone fine a quest’ottimo esordio.

Questo disco è davvero una ventata di aria fresca (o forse sarebbe meglio dire gelida) in un genere ultimamente un po’ annaspante. Con i suoi continui cambi di registro che alternano momenti onirici ad altri depressivi e acidi tiene viva l’attenzione dell’ascoltatore trasportandolo in paesaggi surreali e dall’asfissiante staticità che ogni tanto viene rotta da momenti più luminosi, nostalgici e in cui sembra ci sia speranza. E quello che sorprende è l’omogeneità che riesce ad avere ogni singola canzone facendo convivere sensazioni per certi versi contrastanti nonché la capacità di Raivio, principale songwriter, di scrivere melodie che non si fermino ai timpani ma riescano a toccare più profondamente l’ascoltatore, e questo è l’obiettivo principale di ogni persona che si prefissi di scrivere buona musica, obiettivo in questo caso centrato appieno. Buona anche la produzione e l’amalgama generale degli strumenti, che risultano convivere in perfetto equilibrio, nonché la singola prestazione di ogni membro del gruppo. Menzione speciale va, oltre che a Raivio per ovvi motivi, a Kotamäki, singer davvero polivalente in grado di dare il meglio sia con un growl cavernoso che con scream vocals e persino clean vocals molto dolci, e a Pasanen, drummer che non risulta mai banale con il suo lavoro ritmico.
Artwork e libretto sono davvero ben fatti ma, cosa abbastanza irritante, nel libretto sono presenti solo pochi testi anche se in fondo non ci si perde niente, poiché da quel punto di vista aggiungono ben poco al genere; infatti il contenuto lirico può essere riassunto in pochi, tipici, punti: paesaggi privi di vita e sommersi dalla neve, ambientazioni horror, donne morte che appaiono di notte, altre vive che non la danno e amenità simili.
Insomma un gruppo che continuando su questa strada potrebbe dare soddisfazioni e nuova linfa vitale al Doom in generale. Anche se linfa vitale e Doom nella stessa frase danno la sensazione di un ossimoro si consiglia agli amanti di certe sonorità di dare una chance a questo giovane gruppo che purtroppo non gode della visibilità che meriterebbe tenendo comunque presente che magari i puristi del genere potrebbero non apprezzare troppo l’eccessiva tendenza melodica del gruppo stesso.

 

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