Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Caldo Verde Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Mark Kozelek - chitarra, voce, composizione, tutte le musiche

Tracklist: 

1. Alesund
2. Half Moon Bay
3. Sam Wong Hotel
4. Third And Seneca
5. You Are My Sun
6. Admiral Fell Promises
7. The Leaning Tree
8. Australian Winter
9. Church Of The Pines
10. Bay Of Skulls

Sun Kil Moon

Admiral Fell Promises

Mark Kozelek è un personaggio che nel rock degli ultimi vent'anni ha lasciato un segno indelebile come pochi altri. E' un compositore unico, un compositore dell'anima. Ma, prima di tutto, Mark Kozelek è un uomo con un cuore gigantesco, e se la sua musica - nonostante sia passata quasi una decade dallo scioglimento dei Red House Painters - risulta ancora così 'calda', intensa e vibrante è perchè quel cuore così instabile e fragile non ha mai smesso di battere.
Sun Kil Moon, come tutti ben sanno, è il progetto tramite cui Kozelek ha continuato a dare sfogo alla propria inesauribile vena creativa: una nuova panacea come lo erano stati i Red House Painters negli anni '90, un nuovo laboratorio di emozioni, di ricordi smarriti e visioni, come sempre, in bianco e nero.
Eppure il progetto, dopo una notevole partenza (Ghosts of the Great Highway), si era sviluppato con ben altri intenti, intenti che corrispondevano al bisogno di Kozelek di lasciarsi andare e dirigersi verso nuovi orizzonti, anche mediante un gioco in grado di distrarlo da se stesso: Tiny Cities (2005, insolito album di cover acustiche dei Modest Mouse) sembrava aver trasportato Kozelek lontano dai propri dolori e dalla propria, sanguinante ed inesauribile introspezione. Ma nel 2008 l'altro gioiellino April finì per rimettere immediatamente tutti i tasselli al loro posto originario: tra soavi richiami ai suoi vecchi e mai abbandonati Red House Painters e nuove aperture al blues e alla roots music americana, Kozelek riprese a scavare profondamente dentro se stesso e dentro la propria terra, uscendone fuori con un'altra opera stracolma di atmosfere, emotività e ricordi.

A due anni di distanza da April, Kozelek rispolvera il nome Sun Kil Moon, rimette mano alla chitarra e si prepara a dare nuovamente sfogo alla propria arte: Admiral Fell Promises (anch'esso prodotto dalla sua etichetta Caldo Verde) è il risultato di questo profondo ritorno - comunque non del tutto - alle origini.
Nonostante la ricchezza espressiva, le tematiche e il tenue grigiore della sua musica siano rimasti invariati, il Kozelek di Admiral Fell Promises appare diverso e mutato, ed è in questa variazione di mezzi e intenti che l'ex Red House Painters apre lentamente una nuova pagina della propria carriera. Lo fa portandosi dietro le ultime eco di April ma filtrandole in un mondo ancora più fragile, intimo e incorruttibile, in cui non c'è nemmeno più spazio per una batteria, per un basso, per un pianoforte.
Come non mai solitario, senza nessuno al seguito, armato esclusivamente della propria voce e della propria chitarra acustica, Kozelek si addormenta sotto le lenzuola bagnate dal pianto del suo letto immaginario e narra ancora delle mancanze e dei sentimenti in rovina, mentre al di sotto del suo lirismo si scioglie una soave colonna sonora, unicamente trascinata da dolci fraseggi chitarristici - mai così elaborati, tecnici e ricercati - e da una voce che, come sempre, spezza il cuore in due.
 
"No, this is not my guitar
I'm bringin' it to a friend
And, no, I don't sing
I'm only humming along"


Con queste parole intrise di smarrimento interiore, il capolavoro Alesund apre il drammatico palcoscenico di Admiral Fell Promises, sciogliendosi in una ballata agrodolce appena sussurrata, triste ed evocativa come i suoi più vibranti gioielli cantautorali. Privato di qualsiasi supporto strumentale, Kozelek assume sempre più le sembianze del malinconico menestrello-girovago che ha sempre sognato di essere; ne è testimonianza primaria anche il fatto che, invece del blues, del country e della roots music (elementi che April incorporava con una certa maestria), il musicista americano si avvicini dolcemente (specie nello stile esecutivo) a sonorità quasi flamenco, riempendo i fraseggi chitarristici di arabeschi, motivi spagnoleggianti e suggestioni esotiche.
Di elettrico e di 'rock' non c'è quindi più nulla: Kozelek fa così sparire le proprie orme e si fa timidamente scovare negli antri più profondi della propria intimità e del proprio minimalismo, riavvicinandosi al proprio passato solo per vie trasversali, senza mai dare l'idea di essere rimasto forzatamente ancorato alle proprie origini.
La questione è che, probabilmente, è proprio questa estrema ricerca di purezza e di radici incontaminate che penalizza maggiormente il disco che, se da una parte risulta come sempre vibrante e ad alto contenuto emotivo, dall'altra manca della varietà stilistica e dei contrasti cromatici del precedente gioiello April e dei vecchi capolavori firmati Red House Painters.
Brani come la cullante Church of the Pines, Half Moon Bay (specialmente nei suoi arpeggi più cupi), la toccante You Are My Sun e Australian Winter (meravigliosa nel mood desolante e nella scarica d'arpeggi centrale), rimangono comunque testimonianze di un mondo in cui l'ispirazione compositiva non scema mai, non si smarrisce e si eleva producendo affascinanti miniature cantautorali dai contorni appenna accennati e dal sapore fortemente malinconico.

Admiral Fell Promises può sembrare soltanto come l'ennesimo ritratto di un musicista perennemente smarrito e alla continua ricerca di se stesso; può essere visto come una semplice e reiterata proiezione interiore prima lirica e poi musicale ma, fortunatamente, non è solo questo. Perchè quando Mark Kozelek mette mano ai propri strumenti e alla propria anima, a venirne non è mai un qualcosa di banale, ma poesia. Una poesia che, pur non rievocando i suoi apici qualitativi, emoziona e commuove.
 

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