Voto: 
9.5 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Red Star Records
Anno: 
1977
Line-Up: 

- Alan Vega - Voce
- Martin Rev - Tastiere, Drum machine

Tracklist: 

1. Ghost Rider
2. Rocket U.S.A.
3. Cheree
4. Johnny
5. Girl
6. Frankie Teardrop
7. Che

N.B.: questa recensione e questa tracklist si riferiscono alla prima release del disco; successivamente verranno rilasciate molte varianti che comprenderanno numerose bonus tracks.

Suicide

Suicide

Uno dei massimi complessi di sempre della cosiddetta new wave - termine che comprende molti e diversi acts il cui unico punto d'incontro è il suonare musica fortemente contaminata, discendente dal punk-rock - si forma a New York nei primi anni '70. Questo gruppo, uno tra i più rivoluzionari nel proprio genere e uno tra quelli più all'avanguardia di quel periodo, è quello dei Suicide.

Le origini della band risalgono al 1970, quando Alan Vega, vocalist, comincia a sperimentare nell'ambito musicale con Martin Reverby; il gruppo si forma un anno dopo con il monicker Suicide (in tributo al titolo di una storia del fumetto Ghost Rider, Satan Suicide, amato da Alan Vega), e il primo nucleo comprende anche un chitarrista, Paul Liebgott, che viene però cacciato poco tempo dopo la nascita del complesso.
In un periodo in cui il punk-rock deve ancora affermarsi (la scena di New York infatti nascerà pochi anni più tardi per opera di Ramones e New York Dolls, e solo un paio di anni prima era stato pubblicato il seminale debut omonimo degli Stooges) e la scena musicale è dominata dalle raffinatezze barocche del progressive e dai virtuosismi chitarristici dell'hard rock, i Suicide rifiutano il panorama musicale del loro tempo, facendo propria la lezione di acts quali Velvet Underground - che non sono ancora considerati una band fondamentale per la musica, e anzi non sono stati ancora compresi affatto - e sfogando nella loro musica il nichilismo che aveva caratterizzato la band di Lou Reed. Non più assoli di chitarra lunghi vari minuti, non più cross-over stilistici con classica e jazz: quella dei Suicide è una musica scarna, minimale, che si basa sulle tastiere e le drum machine di Martin Rev (che sono ben lontane dal suonare qualcosa di tecnicamente raffinato o complesso) e sulla voce spettrale di Alan Vega, risultando come uno dei combo più terrorifici della musica del loro tempo. E infatti i primi concerti (pubblicizzati su volantini in cui Alan Vega definisce il loro genere come "punk music", risultando la prima band di sempre a usare tale termine per definire il proprio stile) saranno fiaschi totali: Vega stesso dirà che saranno fischiati in sede live alla sola vista dell'abbigliamento particolare e shockante del duo (molto vicino a quello dei teppisti di strada, ispiratogli dall'atteggiamento in concerto di Iggy Pop, con Vega che addirittura brandisce una catena di una moto).

Ciò non basta per impedire ai Suicide di continuare la loro avventura musicale. Ed è così che nel 1977 vede la luce uno dei massimi capolavori del decennio, il loro debutto omonimo Suicide: un album che traduce in musica il disagio, il nichilismo e il senso di decadenza ereditati da band quali Stooges e Velvet Underground. Gli opprimenti tessuti sonori realizzati da Martin Rev tramite scarni tappeti di tastiera ed esigui quanto martellanti battiti della drum machine mostrano appieno il senso di soffocamento provocato dalla vita metropolitana, mentre le grida laceranti e spettrali di Alan Vega rappresentano l'urlo di disperazione della loro generazione.

L'opener Ghost Rider conferma queste premesse: la voce soffusa e lontana di Alan Vega tributa l'antieroe dei fumetti ma attacca anche l'intera società americana (America America is killing its youth), mentre le violente tastiere ricoprono il ruolo delle chitarre e sostengono con accannimento i sospiri di Vega che si perdono nel tessuto musicale di Rev.
Più minimali e meno violenti sono invece i fraseggi delle tastiere in Rocket U.S.A., che ricordano a volte anche l'organo di Ray Manzarek, aspetto ancor più evidente nella successiva Cheree, dolce e commovente nenia sentimentale, che porta alla mente anche Sunday Morning dei Velvet Underground.
Il tessuto musicale di Johnny sembra un rockabilly malato e deviato e prelude alla perversione di Girl, pezzo in cui ritornano i fraseggi di organo à la Doors e in cui la voce di Vega alterna deboli sussurri a gemiti di piacere lascivi, sempre più perversi man mano che prosegue il brano, per poi lasciare spazio all'indiscusso capolavoro di Suicide. È Frankie Teardrop, psicodramma sulla scia di The End e di Sister Ray, violento, malvagio e deviato, che narra le vicende di un lavoratore disperato, Frankie, sposato e con un figlio, costretto per via della difficoltà di vivere nella metropoli (Well Frankie can't make it, 'cause things are just too hard, Frankie cant make enough money, Frankie can't buy enough food) a compiere un gesto disperato (He's gonna kill his wife and kids; Frankie's gonna kill his kid, Frankie picked up a gun, pointed at the six month old in the crib / Frankie looked at his wife, shot her). Il tutto è narrato con efficacia dal duo: Rev affida a una base minimale, ripetitiva, martellante e nevrotica il compito di accompagnare le parole di Vega (ben rendendo il senso di oppressione trasmesso anche dal testo), il quale invece mostra la prova vocale migliore di tutto il platter, alternando sussurrii tremanti, pause tese e nervose, e laceranti urla da incubo, che mostrano un senso di angoscia e di disperazione incredibilmente genuino e terrificante. Il gesto di Frankie però non si conclude qui: dopo aver compreso la portata del suo delitto, cerca di rimediare con il suicidio ("Oh what have I done?", Frankie put the gun to his head), che da gesto individuale di Frankie diventa sinonimo della condizione della sua intera generazione (Frankie's lying in hell. We're all Frankies, we're all lying in hell), mentre il tessuto di Rev si fa sempre più opprimente e le urla di Vega sempre più agghiaccianti. La chiusura del disco è infine affidata all'eterea e desolante marcia funebre elettronica di Che.

I Suicide (come i loro padri spirituali Velvet Underground) non avranno mai un successo commerciale adeguato alla portata della loro opera e saranno rivalutati solo qualche anno dopo, ma di fatto l'importanza di questo disco è a dir poco epocale: l'attitudine di ribellione e di disprezzo per la società metropolitana del loro tempo (debitrice dell'industrial dei Throbbing Gristle) prelude al clima di insofferenza che avrà la propria più compiuta manifestazione con la nascita della corrente no wave, mentre il loro stile influenzato dal punk ma fortemente contaminato dall'elettronica, non sarà solo fondamentale per tutta la corrente del synthpop e dell'elettronica in generale del decennio successivo, bensì permetterà la nascita della new wave e del post-punk, anticipando moltissimi acts di queste correnti, quali Devo e Pere Ubu.

La band però non sarà più capace di ripetersi, e i lavori seguenti non saranno affatto all'altezza dell'esordio. Tuttavia con la sola importanza di questo Suicide, il duo americano entra di diritto a far parte della storia del rock più nichilista e angosciante.

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