Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Paolo Cazzola
Genere: 
Etichetta: 
Century Media
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Devin Townsend - Voce, Chitarra, Programming
- Jed Simon - Chitarra
- Byron Stroud - Basso
- Gene Hoglan - Batteria


Tracklist: 

1. Decimator (2:54)
2. You Suck (2:40)
3. Antiproduct (3:56)
4. Monument (4:12)
5. Wrong Side (3:35)
6. Hope (5:02)
7. Far Beyond Metal (4:36)
8. Fucker (3:54)
9. Almost Again (3:44)
10. Polyphony (1:55)
11. The New Black (6:16)

Strapping Young Lad

The New Black

Dove avevamo lasciato gli Strapping Young Lad? Il gruppo capitanato dall’eccentrico Devin Townsend non è certo capace di passare inosservato, e può essere tranquillamente etichettato come uno tra i più particolari e originali degli ultimi anni. Li avevamo lasciati precisamente ad Alien, full-lenght uscito nel 2005, raccogliendo dalla stampa specializzata e in generale dall’ambiente Metal del periodo numerosissimi consensi.
Ma ecco, pochi mesi dopo, un fulmine a ciel sereno: il leader Townsend afferma che il successore di Alien sarà l’ultimo disco degli Strapping Young Lad, lasciando agitati e perplessi tutti i fan della band. La cosa particolare fu che, a distanza di pochi giorni, la notizia fosse stata smentita dal batterista Gene Hoglan, deciso a sottolineare la gran voglia degli Strapping Young Lad di comporre musica.

Il disco in questione non si fa attendere. Questo The New Black, uscito a poco più di un anno da Alien, viene dato in pasto al pubblico con la difficile etichetta di “disco della verità”. Ma se Townsend sembra essere così stanco di comporre e di far parte dell’ambiente Metal tanto da evitare giornalisti e fan, il disco sembra riuscire a far contenti tutti.
La line up di The New Black è praticamente identica a quella di Alien, ovvero con Jed Simon alle chitarre e con Byron Stroud al basso ad accompagnare il già mastodontico Hoglan dietro le pelli. Da ricordare che questa formazione registrò nel 1997 un altro grande classico della band, ovvero l’amatissimo City, probabilmente il capolavoro della band.
Il disco in se non presenta molte differenze dal precedessore come scelte sonore o come struttura delle canzoni, ma nonostante ciò è pur sempre un disco alla Strapping Young Lad: schizzofrenico e ispirato. Il tutto supportato da una produzione come al solito ottima.

Si parte a cento all’ora: Decimator mette subito le cose in chiaro, catapultandoci brutalmente all’interno dell’album. Il buon lavoro di chitarre e il grande tappeto ritmico sorregge questa riuscitissima opener, velocissima e coinvolgente, dotata di buone sonorità e culminante nei cori finali che intonano tre lettere: S-Y-L.
Stessa sorte per la seconda canzone, You Suck. Meno ispirata della precedente, la canzone si basa come al solito sull’ottimo tappeto di Hoglan sul quale si intersecano i riff di Townsend e Simon. La parte vocale non è certamente delle più originali, ma l’effetto “echeggiante” delle strofe e i cori del chorus rendono tutto sommato un effetto piacevole. Si arriva alla prima gemma del disco, ovvero Antiproduct. Qui le influenze dei Nevermore sono molto marcate, e sono proprio queste sonorità a rendere il brano particolarissimo in tutte le sue parti, da quelle più brutali e schizzofreniche a quelle soliste e sperimentali (azzeccatissime). Ecco l’antiprodotto, ciò che è il contrario di tutto.
Monument non riesce a stupire invece. Canzone basata su una ritmica quasi assillante, non colpisce l’ascoltatore più di tanto, anche se dotata di parti più che buone. Nemmeno un ritornello molto facile da memorizzare fa salire il pezzo nella graduatoria, facendolo rimanere una tra le traccie più mediocri del disco.
Cosa che non si può dire di Wrong Side, primo singolo tratto dall’album (è stato girato anche un video della canzone in questione). Infatti la song parte velocissima, e grazie ad un cantato particolarmente “evil” offerto da Townsend, risulta essere una tra le più violente del lotto. Violenza che non stenta a diminuire nemmeno nella parte centrale più melodica e “clean”. Le atmosfere cybernetiche sono palpabili come non mai in Hope, vero e proprio crescendo dai suoni industriali basato sul dialogo voce/tastiere. Una traccia riuscita, non un capolavoro ma molto godibile. Su questo The New Black non mancano però i pezzi più pacchiani e irriverenti, come possono essere Far Beyond Metal e Fucker. Il primo è un pezzo abbastanza veloce e “in your face” con un Townsend particolarmente dedito a parlare di Metal, accompagnato da cori molto efficaci. Il secondo pezzo è una canzone dal riffing tremendamente nevermoriano, sul quale duettano due voci: quella sgraziata di Bif Naked durante le strofe, e quella violenta di Townsend nel ritornello. Ritornello che poi terminerà in un vero e proprio refrain corale che si prolungherà fino alla fine del pezzo.
Almost Again è un crescendo perfetto, iniziato con delle sonorità più soft e curate per poi sfociare in un blast-beat maestoso del solito Hoglan e in un tagliente scream di Townsend. Forse la durata rende poco la bellezza della canzone, che poteva essere uno dei pezzi migliori di tutto il disco.
Si arriva all’atto finale dell’album, ovvero la title track. La canzone in questione è introdotta da Polyphony, un intermezzo elettrico di due minuti scarsi, dai toni apocalittici e malvagi. Qui la voce va a dialogare con una chitarra particolarmente sgraziata, fino a sfociare in un climax che ci conduce verso The New Black, appunto. L’inizio è una vera e propria marcia, scandita dai pesantissimi riff di Simon e della batteria di Gene Hoglan, che si trasforma man mano in un potente pezzo thrasheggiante con pesantissime armonie di tastiera e incursioni di elettronica. Sicuramente uno dei pezzi migliori dell’album, nel quale la voce si complementa perfettamente con il resto degli strumenti.

The New Black è veramente l’album della verità. Se doveva essere l’album che chiudeva la carriera degli Strapping Young Lad, è una fine più che dignitosa. Non si può certamente gridare al capolavoro, ma l’album è un susseguirsi di canzoni buone, claustrofobiche e bizzarre, con degli ottimi picchi qualitativi. Il lavoro dei singoli strumenti è chiaro e conciso (anche grazie all’ottima produzione) e ciò rende i singoli suoni distinguibili e limpidi. L’album quindi, in sostanza è buono, in pieno stile Strapping Young Lad. E speriamo che Townsend stesse scherzando, perché un assenza del genere si farebbe sentire…

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